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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Egitto, una rivoluzione nel caos 09/10/2011

Egitto, una rivoluzione nel caos
di Zvi Mazel

questo articolo esce in contemporanea su The Jerusalem Post

 (traduzione di Angelo Pezzana)


Zvi Mazel       Mubarak                            Tantawi

La tempesta politica che sta scuotendo l’Egitto è una minaccia per la rivoluzione. Sebbene vi sia guerra aperta tra i Fratelli Musulmani, che reclamano un regime religioso per il nuovo Egitto, e i partiti laici che invece sono per un modello opposto, entrambi sono però uniti contro la legge elettorale e la sua scadenza previste dal Consiglio Supremo delle Forze Armate.

 Il Partito “Libertà e Giustizia” dei Fratelli Musulmani e il “ WAFD” liberale boicotteranno le prossime elezioni del 28 novembre a meno che non vengano cancellate le leggi di emergenza. Il regime di Mubarak aveva frantumato tutti i partiti politici tranne il proprio, per cui era mancato il dibattito politico ed economico. Gli egiziani erano perciò mal preparati ad affrontare i cambiamenti con dozzine di nuovi partiti alla ricerca dei loro voti.

 Dopo otto mesi dalla rivoluzione, nessun partito è in grado di proporre un programma economico coerente e riforme politiche. I Fratelli Musulmani, che sono bene organizzati e possono contare su solide strutture politiche e sociali a livello nazionale, non hanno nulla da offrire se non un regime islamico che la maggioranza della gente non vuole. I loro leader fanno vaghe e contraddittorie dichiarazioni al fine di nascondere le loro reali intenzioni – il Corano quale costituzione e la Sharia come sistema giudiziario – il che significa che l’unica differenza tra il loro programma e quello di Al Qaeda sta nella realizzazione, che loro vogliono in modo non violento.

Ci sono molte auto candidature alla presidenza, ma nessuna possiede quel carisma che può influenzare le masse. Amr Moussa si presenta come il più popolare, ma poteva essere vero nel passato, non più oggi: appartiene troppo al vecchio regime per poter convincere la gente che può guidare il paese verso un futuro migliore. Mohammed El Baradei, rientrato in Egitto, dopo dodici anni all’estero, ex direttore generale dell’Agenzia per l’Energia Atomica e vincitore di un Premio Nobel, non è riuscito a crearsi una base elettorale. Vi sono poi un certo numero di ufficiali dell’esercito, giudici in pensione e personalità islamiche, che hanno però poca visibilità sui media, quindi senza possibilità di successo.

Qui sta il grande dilemma dei militari: non c’è nessuno con la percezione del vincitore. Per cui devono cambiare i piani che avevano approntato immediatamente la presa del potere. Il feldmaresciallo Tantawi, che è a capo del Supremo Consiglio, aveva dichiarato all’inizio che le forze armate non volevano governare il paese e che avrebbero delegato il governo a istituzioni civili appena il parlamento fosse stato eletto, cosa che dovrebbe avvenire fra sei mesi. Ma anche le elezioni erano state programmate per settembre.

 Gli analisti ritengono che ci sia un riavvicinamento tra le Forze Armate e i Fratelli Musulmani, nella previsione che il partito “Libertà e Giustizia”, insieme al vecchio partito governativo di maggioranza, avrebbero guidato il paese. Alla costituzione sono stati apportati pochi cambiamenti nel referendum del 19 marzo, con il consenso dei Fratelli e dei Militari, mentre i partiti laici fecero campagna contro. I “si” ebbero il 70% dei voti, dal che si capì che l’esercito mirava a salvaguardare soprattutto i propri interessi, che sono molti.

 Un nuovo governo democratico, se mai arriverà, potrebbe investigare gli stretti rapporti fra esercito e il regime di Mubarak, rivelandone l’ estesa corruzione, e portare in tribunale un elevato numero di alti ufficiali. Si stima che un terzo dell’economia nazionale sia nelle mani di ufficiali dell’esercito, alcuni in pensioni, altri in servizio.

Per questo la folla, frustrata, è ritornata a Piazza Taharir dopo le preghiere del venerdì, per imporre ai militari un cambiamento di linea, ma con scarso successo. Ad aumentare è stata l’anarchia. L’esercito ha rinviato le elezioni e ha dichiarato illegali gli scioperi e le manifestazioni “contrarie all’ordine pubblico”, arrestando molti dimostranti, processandoli nei tribunali militari. Dopo l’attacco all’Ambasciata israeliana, l’esercito è tornato sui suoi passi, riinstallando le famigerate leggi di emergenza che aveva promesso di abolire.

La spaccatura tra esercito e forze laiche, così come con i manifestanti, si è fatta più profonda, mentre i Fratelli Musulmani venivano in aiuto, anche se in maniera riluttante, all’esercito, nella speranze che le elezioni parlamentari si sarebbero tenute il più presto possibile, con una loro significativa vittoria che gli avrebbe permesso di avere una influenza decisiva nel redigere la nuova costituzione.

Cedendo di fronte alla realtà dei fatti, l’esercito ha stabilito una nuova data per le elezioni: quelle parlamentari si terranno il 28 novembre, annunciando però, nello stesso tempo, una nuova legge elettorale, che ha suscitato una forte ostilità in tutti gli schieramenti. Vi era infatti stabilito che un terzo dei seggi sarebbe andato a “ operai e contadini”, una voce che compariva nella vecchia costituzione, per permettere l’entrata in parlamento dei sostenitori del governo.

 Tutti i partiti si sono anche opposti all’articolo 5, che consente ai candidati indipendenti, cioè senza appartenere a nessun partito, di presentarsi alle elezioni, il che significava l’ingresso in parlamento dei vecchi sostenitori del passato regime. Perciò è stato chiesto che venga proibita la candidatura, per almeno cinque anni, a chi aveva fatto parte del partito di maggioranza del vecchio governo. La legge è stata così emendata dal responsabile governativo e poi accettata dai militari.

Nel frattempo i manifestanti, il cui numero diminuiva sempre di più nelle dimostrazioni del venerdì, continuavano a premere sull’esercito , accusandolo di voler fermare la rivoluzione. Non erano infatti arrivate le riforme economiche e sociali, e milioni di egiziani continuano a vivere nella povertà. Lo scorso venerdì 7 ottobre, solo poche centinaia hanno partecipato alle dimostrazioni. Assenti i partiti laici e i Fratelli Musulmani, forze con le quali l’esercito aveva cercato un compromesso.

 In un recente incontro tra il comandante in capo delle forze armate e i delegati di 13 partiti politici è stata approvata la data delle elezioni e il trasferimento del potere alle istituzioni civili. L elezioni per la Camera Bassa – “magliss elshaab”- cominceranno il 28 novmbre per finire il 4 gennaio ( il paese è diviso in tre grandi distretti elettorali, nei quali si vota in modo successivo). A fine gennaio cominceranno le elezioni per la Camera Alta - magliss ashura – per finire a fine febbraio. All’inizio di aprile, entrambe le Camere eleggeranno un comitato di cento membri per redigere, entro sei mesi, la nuova costituzione. Che verrà poi sottoposta a un referendum popolare. Se verrà approvata, dopo due mesi ci saranno le elezioni presidenziali. Allora, e solo allora, l’esercito rientrerà nelle caserme.

 Anche se questo ingombrante processo terminerà senza intoppi, il che è dubbio, l’esercito manterrà il potere almeno sino alla fine del 2012, lasciando spazio per crisi e anche esplosioni di violenze. Ci sono state critiche e proteste immediate, il piano è stato condannato anche dai partiti i cui delegati era presenti all’incontro e l’avevano approvato.

Gli analisti politici egiziani sono convinti che lo scopo dell’esercito è triplice. Lasciare che i partiti restino divisi a discutere fra loro, dimostrandosi agli elettori deboli e inefficaci, e preparare un candidato presidenziale scelto da loro. Tantawi ha respinto questa accusa, definendola senza base. E’ stato anche detto che l’esercito vuole mantenere il suo potere per mantenere sotto controllo il processo a Mubarak, e impedire così che vengano a galla i rapporti con l’esercito prima e dopo l’inizio della rivoluzione.

La maggior parte dei candidati presidenziali hanno affermato che il periodo elettorale ha una durata eccessiva, che può compromettere la stabilità del paese. Richiedono le elezioni presidenziali in aprile, dopo che è stato eletto il parlamento. Dopo di che l’esercito deve trasferire il proprio potere alle istituzioni civili che redigeranno la nuova costituzione senza alcuna supervisione. Dal canto loro, i Fratelli Musulmani hanno già dichiarato che non permetteranno all’esercito di intervenire nella redazione della costituzione.

L’esercito ha spiegato che vuole fare da supervisore alla redazione della costituzione, non contro le varie posizioni politiche, ma per assicurare che sia garantita una totale indipendenza, come gli ufficiali dell’esercito dipendono solo dai tribunali militari. In altre parole, che le forze armate emergano pulite dalla caduta del regime di Mubarak. Non è detto che questo cambiamento funzioni. La stessa nozione di “indipendenza” non è chiara; in un regime democratico l’esercito dipende dalle istituzioni civili.

Nel frattempo l’economia va di male in peggio, al punto che un ministro ha dichiarato che il paese è sull’orlo della bancarotta. L’Egitto sta negoziando con l’Arabia Saudita e gli Emirati nella speranza di ottenere aiuti. Si è accennato ad un possibile rinnovo del dialogo con il Fondo Monetario Internazionale, che però ha condizionato l’aiuto alle riforme.

Senza una mano decisa al timone, L’Egitto sta navigando in acque sconosciute e pericolose.

 Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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