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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il mondo arabo: dei burattinai democraticamente eletti? 24/11/2009
 Il mondo arabo: dei burattinai democraticamente eletti?
di Zvi Mazel

(traduzione di Emanuel Segre Amar)


Zvi Mazel

 

 

La Siria ha lottato per anni, a lungo e duramente, per tenere il Libano sotto il proprio dominio, ma nel 2004, dopo l’assassinio di Rafik Hariri, già primo ministro, la sua influenza ha subito un duro colpo. All’epoca il delitto venne attribuito ad elementi pro-siriani, e la conseguente condanna decretata dalle potenze occidentali e da quelle arabe costrinse Damasco a ritirare le proprie truppe dal territorio libanese.
Cinque anni dopo, il 7 giugno 2009, il figlio del primo ministro ucciso, Saad Hariri, ha ottenuto una netta vittoria nelle elezioni libanesi.
E adesso, cinque mesi dopo quel successo, Hariri è finalmente riuscito a formare un “governo di unità nazionale”, ma solo dopo forti pressioni internazionali e defatiganti negoziati che sono riusciti a mettere insieme rappresentanti di entrambe le parti, quella di maggioranza e quella di opposizione.
Ma se ci si domanda se Beirut si è liberata dal controllo di Damasco, la risposta non può essere né semplice né tranquillizzante.
I partiti di opposizione avranno 10 ministeri nel nuovo governo, cioè un terzo del totale. Di questi, due saranno assegnati a Hezbollah, un’organizzazione che riceve gli ordini dall’Iran. Ed anche se l’organizzazione, di per sé, è legale, tuttavia la sua milizia non lo è, ed avrebbe dovuto essere sciolta da lungo tempo come previsto dagli accordi di Taef che misero fine alla guerra civile libanese.
Hezbollah ha resistito a tutte le richieste di disarmarsi, e sta anzi facendo l’esatto contrario costruendo con sicurezza la propria potenza armata. E sta cercando di ottenere nuovi armamenti che sovvertirebbero gli equilibri regionali, come, ad esempio, dei missili terra-aria con la capacità di abbattere gli aerei, e come i già acquisiti 40.000 missili in grado di colpire quasi tutto il territorio israeliano. Armi e munizioni stanno tuttora filtrando attraverso i confini siriani, poco protetti, e l’esercito libanese si deve oramai confrontare col timore di conflitti potenziali sia con la Siria, sia con Hezbollah.
E tutto ciò è evidentemente in violazione con la risoluzione 1701 che ha posto fine alla seconda guerra libanese.
Anche prima che Hezbollah venisse incluso nell’ultimo governo libanese, Israele ha ripetutamente annunciato che la responsabilità per eventuali attacchi sul suo territorio, anche se portati dalla organizzazione, sarebbe ricaduta direttamente sul governo, e che quindi il Libano tutto ne avrebbe subito le conseguenze.
Che cosa potrà fare il nuovo governo per cambiare questa pericolosa situazione, ammesso che possa fare alcunché? E’ pur vero che le elezioni di giugno sono state corrette e democratiche, e che la coalizione tra sunniti, cristiani e drusi ha ottenuto 71 dei 128 seggi in Parlamento, mentre i restanti 57 sono andati agli sciiti di Hezbollah, ad Amal ed alla fazione cristiana guidata da Michel Aoun, che si è staccata dalla maggioranza. E tuttavia va ricordato che Hezbollah ha chiaramente dichiarato che si opporrà, anche con la forza, a qualsiasi governo al quale non partecipi anche l’opposizione.
Il gruppo ha anzi portato avanti richieste molto significative. Un terzo dei ministeri devono essere assegnati alla minoranza, secondo le pressioni di Hezbollah, che anzi deve vedersi garantito il diritto di veto su qualsiasi decisione. Queste delibere avrebbero garantito ad Hezbollah ed ai suoi alleati un controllo effettivo su tutte le decisioni importanti, nonché l’impossibilità effettiva per il governo di disarmare l’organizzazione, di controllarne i legami con l’Iran, di accertare la presenza di guardie rivoluzionarie in Libano, ed anche di collaborare con il tribunale internazionale che sta indagando sull’assassinio di Rafik Hariri; e molto altro ancora sarebbe stato garantito alle forze di minoranza.
Saad Hariri è ben conscio del fatto che l’esercito libanese non è in grado di competere con Hezbollah, che ha già occupato Beirut ovest nel 2008 allo scopo di obbligare l’allora primo ministro Fuad Siniora a formare un governo di unità nazionale nel quale all’opposizione fosse assegnato un terzo dei ministeri. E Hariri conosce anche molto bene i problemi di una nazione composta da un mosaico di popolazioni e di religioni, e che perciò si regge su fragili equilibri. Qualora la popolazione sciita, che costituisce il maggior gruppo nel Paese, non fosse rappresentata all’interno del governo, questo non avrebbe un attimo di tregua.
Pertanto, quando il Presidente Michel Suleiman gli ha dato l’incarico di formare il nuovo governo, Hariri ha immediatamente dichiarato che avrebbe fatto il possibile per chiamare a farne parte anche l’opposizione. E tuttavia ha anche aggiunto che non le avrebbe concesso il diritto di veto, come preteso, dal che ne è scaturita la necessità di lunghe e difficili trattative. Il primo compromesso ha lasciato i partiti della maggioranza con solo 15 ministeri, garantendone all’opposizione 10, e lasciando i restanti 5 a uomini nominati dal Presidente Suleiman, che, pur essendo su posizioni molto vicine alla Siria, è generalmente considerato un uomo neutrale.
Di conseguenza Hariri, nonostante la maggioranza elettorale conseguita, avendo solo il 50% dei ministeri non potrà apportare importanti cambiamenti che richiedono una maggioranza dei due terzi.
Ciononostante, i partiti dell’opposizione non erano ancora soddisfatti; dopo questa prima vittoria, hanno chiesto ancora non solo il diritto di veto, ma anche la possibilità di scegliersi i propri portafogli e di nominare i loro ministri. Hariri ha rifiutato di accettare delle richieste che vedeva come irragionevoli, poste, per di più, da una coalizione che, alla fine, aveva pur perso le elezioni.
Le discussioni terminarono quando Michel Aoun insistette che il proprio genero, che non era stato eletto, potesse ricevere il ministero delle comunicazioni. Questo ministero, in effetti, riveste una particolare importanza perché Hezbollah deve costituire un proprio network, e il ministero sarà chiamato a fissarne le regole, o almeno dovrà tentare di farlo.
A porre ulteriori complicazioni hanno pensato i Drusi e il loro leader Walid Jumblatt, un alleato chiave di Hariri, quando hanno deciso di tirarsi fuori da questa coalizione. Egli ha comunque deciso di non agire in contrapposizione col nuovo governo, ma piuttosto di farne parte pur senza garantire il proprio appoggio automatico.
A quel punto la situazione è apparsa senza speranza, ed un intervento esterno è apparso essere assolutamente necessario. Insieme ai paesi arabi moderati il mondo si è voluto occupare della questione nel tentativo di convincere la Siria a far pressione sui suoi amici libanesi affinché riducessero le loro pretese. Il re dell’Arabia Saudita Abdullah, che si era tenuto lontano dalla Siria fin dal giorno in cui Rafik Hariri era stato assassinato, invitò Bashar Assad a venire nel suo regno, e poi si recò egli stesso a Damasco; la Francia e gli Stati Uniti inviarono dei loro emissari in Siria; ed infine l’emiro del Qatar compì uno specialissimo viaggio a Teheran e, secondo voci tuttavia non confermate, convinse gli iraniani ad accettare la lista dei ministri come era stata proposta, aprendo in tal modo la strada alla formazione del nuovo governo libanese, pur mantenendo il diritto di veto lontano dalle mani dell’opposizione.
Chi o che cosa ha finalmente fatto scattare la molla? E’ difficile a dirsi. Ma quel che appare chiaro è che Hezbollah, aiutato ed incoraggiato dalla Siria e dall’Iran, ha potuto bloccare per cinque mesi la formazione di un governo che aveva l’appoggio della maggioranza di un parlamento eletto in elezioni libere e democratiche. In tal modo due nazioni che fanno parte del cosiddetto “asse del diavolo” sono state in condizione di decidere del destino del Libano senza tenere in minimo conto la volontà popolare.
Saad Hariri ha vinto una battaglia importante, ma non si fa alcuna illusione su dove stia davvero il potere. Nel discorso che annunciava la formazione del governo, ha enfatizzato la necessità di unità nazionale per poter fare i conti coi problemi del paese in campo sociale ed economico. Il Libano sta tuttora lottando con le conseguenze della guerra civile degli anni ’70, e anche con le ripercussioni della Seconda guerra del Libano. Hariri ha puntualizzato che, se il suo paese starà ben fermo nei confronti di Israele, non tollererà comunque alcuna iniziativa bellica di Hezbollah, né azioni provocate dai suoi uomini.
Il nuovo governo ha stabilito come propria priorità la formulazione del programma politico, ma ci si chiede se tale programma conterrà la privazione delle armi per il movimento Hezbollah. Gli osservatori ritengono che ci vorrà molto poco per provocare delle crisi con i movimenti. Con ogni probabilità il governo deciderà che i “movimenti della resistenza” – modo eufemistico di chiamare Hezbollah – avranno il diritto di difendere la nazione da aggressioni straniere (leggasi Israele), ma che l’argomento delle armi dell’organizzazione sarà oggetto di discussioni nell’ambito di un “dialogo nazionale”, come sempre è avvenuto nel passato.
E tuttavia il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, che si rivolgeva contemporaneamente a Hariri, ha messo in guardia il governo dal prendere delle decisioni che possano mettere in pericolo l’unità della nazione. Ha anche minacciato di distruggere l’esercito di Israele, pur dichiarando di non avere intenzione di iniziare alcuna guerra. Ha parlato a lungo di Israele, ed anche delle relazioni con l’Iran e con la Turchia, e con quest’ultima si è anzi congratulato per il suo raffreddamento dei rapporti con lo stato ebraico. Le sue dichiarazioni sono apparse come una forte ingerenza, da leader di una milizia illegale, nelle questioni che rientrano piuttosto nelle competenze di un governo.
Un ulteriore segnale dell’influenza siriana lo si può vedere nel fatto che, non appena Hariri annunciò la formazione del suo governo, Michel Suleiman, senza neppure aspettare la ratifica formale da parte del parlamento, si è recato a Damasco. Ci si aspetta che anche Hariri compia lo stesso viaggio, ma dopo la formale ratifica.
Hariri dovrà governare con grande prudenza per poter avviare quelle riforme economiche assolutamente necessarie, ma ci si deve chiedere di quanta libertà potrà godere. Potrà forse ignorare la situazione politica tanto tormentata del suo paese e della regione intera? E come la metterà con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza numeri 1559, 1680 e 1701 che richiedono che Hezbollah consegni le sue armi? E che ne sarà del flusso continuo di armi che arrivano all’organizzazione dalla Siria? Ed inoltre, che ne sarà dell’intenzione, neanche poi tanto segreta, che ha tuttora l’organizzazione di attaccare Israele, senza tenere in minimo conto il costo per il Libano?
Mentre il nuovo primo ministro si occuperà dei problemi interni, dovrà forse accorgersi che le decisioni vengono prese a Damasco o a Teheran, in spregio totale dei suoi sforzi, portando la distruzione sul Libano.

Zvi Mazel è stato ambasciatore di Israele in Egitto e in Svezia



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