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Ugo Volli
Cartoline
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La storia istruttiva di una legge che probabilmente non si farà 31/10/2017

La storia istruttiva di una legge che probabilmente non si farà
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

Vi voglio raccontare una storia di cui probabilmente avete sentito poco parlare, ma che è molto significativa per capire quali siano le difficoltà vere per il governo di Israele. E’ la vicenda del cambiamento dei confini della municipalità di Gerusalemme, che Netanyahu aveva fatto oggetto di una proposta di legge.
E’ un’idea perfettamente ragionevole. Da un lato intorno a Gerusalemme ci sono degli abitati che attualmente sono città autonome, ma che in realtà funzionano come quartieri della città, per esempio Maalé Adumim e Beitar Illit: la legge proponeva di includerle nella competenza amministrativa della capitale, per consentire una programmazione urbanistica che le comprenda.

Dall’altro vi sono dei villaggi arabi oggi cresciuti in vere e proprie città che stanno al di là della linea verde, anche se sorgono su territori annessi cinquant’anni fa da Israele: sono stati separati dalla capitale con la barriera di sicurezza, per evitare infiltrazioni terroristiche, vi sono molte lamentele sulla gestione dei servizi che li riguardano e certamente di fatto sono più collegati a Ramallah che a Gerusalemme.

L’idea della legge era di costituire queste località in comuni autonomi, che si autoamministrassero. Nessun cambiamento di sovranità per nessuna persona e per nessun luogo, semplicemente una riorganizzazione amministrativa, che avrebbe avuto naturalmente anche il senso di garantire che Gerusalemme restasse ciò che è da almeno un paio di secoli, salvo la pulizia etnica giordana fra il 1949 e il ‘67, cioè una città a maggioranza ebraica.

E’ una riforma ragionevole, che potrebbe rendere molto più efficiente e funzionale l’amministrazione della città. Bene, questo piano molto probabilmente non si realizzerà. Perché i palestinisti sono contrari? No, certo non per questa ragione. Tanto si sa che essi sono contrari a qualunque cosa ricada sotto il controllo israeliano di Gerusalemme: l’hanno sempre dichiarato, anche quelli che fanno i Mandela (https://www.theguardian.com/commentisfree/2015/oct/11/israel-occupation-palestinian-territory-peace-diplomacy ).
No, ci sono due altre ragioni. La prima è che sembra opporsi, o chiedere una pausa di riflessione la Casa Bianca. Non si tratta questa volta solo della burocrazia del Dipartimento di Stato, ancora pienamente obamiana e filopalestinista (http://www.jpost.com/Israel-News/Coalition-chairman-US-pressure-delayed-vote-on-Greater-Jerusalem-bill-508723 ).

Sembra che questa volta sia coinvolto anche il circolo interno dei consiglieri di Trump, incluso il cognato Kushner e l’inviato Greenblatt (http://www.israelhayom.com/2017/10/30/us-discouraging-actions-that-will-unduly-distract-from-peace-efforts/ ). Per il momento il capogruppo del Likud nel parlamento israeliano Bitan ha annunciato che l’approvazione ministeriale del progetto di legge era rinviata in attesa di consultazioni con l’amministrazione americana (https://www.apnews.com/050ead65043d42ba8d678f6879c6db04/Israeli-official:-US-pressure-delays-Jerusalem-bill ).
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Ma c’è un altro fattore, questa volta interno. Chi si oppone è l’UTJ, uno dei partiti della maggioranza di governo che rappresenta i charedim (quelli che la stampa chiama ultraortodossi) di rito askenazita, cioè provenienti dall’Europa orientale. Ci sono ragioni religiose sotto questa mossa, preoccupazioni sulla sacralità di Gerusalemme, volontà di tutelare luoghi religiosamente sensibili? Niente affatto. La preoccupazione è che aprendo l’elettorato della capitale ai cittadini di Maale Adumim e di Beitar Illit, che sono insediamenti misti, ne possa uscire ridimensionato il peso elettorale del loro partito e l’influenza sull’amministrazione della città, cioè concretamente i sussidi e i benefici di cui gli charedim godono.

Scegliete voi se si tratta di clientelismo o di preoccupazione sociale per una popolazione che certamente è debole sul piano economico, poco qualificata per il mercato del lavoro e in buona parte priva di occupazione – anche perché non la cerca e preferisce vivere di sussidi per poter solo studiare i testi sacri.

Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Ma quel che conta è che l’ostacolo principale a una razionalizzazione dell’amministrazione di Gerusalemme non viene dai palestinisti e neanche dagli Stati Uniti (anche se questo è un nuovo sintomo di un riallineamento di Trump su posizioni non troppo diverse da quelle delle amministrazioni precedenti). Ma dall’opposizione di un partito che nelle ultime elezioni ha avuto il 5 % dei voti e 6 deputati su 120, ma è ben deciso a mantenere il suo potere di veto. Pensateci e poi capirete perché in queste condizioni è davvero un miracolo che lo stato di Israele viva, prosperi, espanda il suo benessere e le sue relazioni internazionali.

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