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Ugo Volli
Cartoline
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Una visita significativa 03/07/2017
Una visita significativa
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Narendra Modi, primo ministro indiano, con Benjamin Netanyahu

Ci sono nella vita politica internazionale dei momenti che appaiono puramente protocollari, ma hanno una profonda importanza, perché sanciscono uno stato di fatto. Per esempio le visite di stato. Nella maggior parte dei casi si tratta di eventi solamente simbolici, privi di importanza politica. I viaggi dei nostri presidenti in vari paesi europei e sudamericani appartengono a questa categoria: niente viene deciso, su niente si negozia, vi è solo la riaffermazione di una vecchia consuetudine e la visita, magari in fondo propagandistica, alla comunità italiana del luogo. Poi vi sono i viaggi in cui si discute e la situazione politica ne viene modificata, come la recente visita di Trump in Arabia Saudita, che da quel che si è capito ha dato via libera all’Arabia per regolare i conti col Qatar, che protegge ancor più di loro i terroristi, e anche alla modifica dell’ordine di successione del regno, affidando molto potere a un dichiarato nemico dell’Iran. Per parlare di Israele, questo è il caso dei recenti viaggi di Bibi Netanyahu in Africa, dove è riuscito a stringere molti legami economici e politici importanti con stati che fino a questi incontri aderivano automaticamente al fronte antisraeliano nelle varie occasioni internazionali pertinenti.

Infine vi sono dei viaggi in cui il contenuto appare prevalentemente simbolico ma sufficientemente nuovo e ricco da far sì che il viaggio conti proprio per questo simbolo. E’ il caso della visita che in questi giorni fa in Israele Narendra Modi, carismatico primo ministro indiano. Da un lato la visita di Modi ha il senso di sancire l’interruzione di un’ostilità diplomatica che fu inaugurata da Gandhi, ancor prima del Mandato britannico per blandire la parte musulmana del movimento per la liberazione dell’India, fu ribadita dopo l’indipendenza dei due paesi e fu indurita sotto i governi di Neru, che credeva molto al movimento dei non allineati e di Indira Gandhi. Eppure Israele e India stavano entrambi affrontando il difficile compito di liberarsi dal colonialismo britannico, avevano entrambi un nemico interno musulmano che avrebbe tentato una scissione per impedire il ritorno del paese alle sue radici e suscitato quindi delle aggressioni internazionali. Non solo, nelle diverse guerre col Pakistan Israele è stato uno dei pochi paesi a fornire appoggio costante all’India, nonostante il lungo appoggio americano al Pakistan e gli embargo internazionali. Per una sintesi di questi difficili e complicati rapporti, vi consiglio di leggere questo articolo: http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Israeli-Indian-ties-reach-new-heights-498376.

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Le relazioni scientifiche di Israele con i Paesi asiatici

Il nemico principale nel governo indiano è sempre stato il Partito del Congresso, “progressista” e sempre più corrotto nel corso del tempo; mentre per Israele si è sempre pronunciato il settore nazionalista, raccolto nel Bharatanatyam Party, di cui Modi è esponente. Anche in questa alternanza di potere fra una vecchia sinistra che ha il merito di aver fondato lo Stato e l’indipendenza, ma ne ha smarrito il senso, vi è un parallelo con la vicenda israeliana, per cui l’intesa con Netanyahu risulta naturale. E naturalmente l’India deve ancora fronteggiare il terrorismo islamico e la minaccia di aggressione del Pakistan: un altro parallelo significativo, anche se le posizioni di politica internazionale non sono identiche: l’India ha per esempio tradizionalmente un buon rapporto con l’Iran, che è il massimo nemico di Israele e d’altro canto Netanyahu è reduce da una visita di grande successo in Cina, un paese che è in aspra competizione con l’India, anche per via di pretese territoriali risalenti addirittura al tempo degli inglesi. Ma i punti di accordo superano certamente quelli di dissenso.

Il viaggio serve anche a sanzionare una serie di accordi commerciali, dove quelli militari sono i più importanti sul piano economico, ma vi sono contratti molto importanti in campo agricolo, della gestione dell’acqua (grande problema per l’India come per Israele), e in partnership sulle nuove tecnologie dove Israele ha un primato mondiale, ma l’India è un grande fornitore di lavoro informatico specializzato. Insomma fra il piccolo Israele e il grande subcontinente indiano vi è una convergenza per nulla occasionale, che ha già spostato le posizioni politiche, per esempio il voto indiano all’Onu. Del resto, mentre l’India del Partito del Congresso era stata il primo stato extramusulmano a riconoscere la “Palestina” e uno degli ultimi a farlo con Israele e Arafat era di casa, durante quegli anni a Delhi, Modi ha scelto di vistare Israele senza fare la sosta di prammatica a Ramallah per incontrare Abbas: un gesto molto significativo, anche se certo non significa rottura con l’Autorità Palestinese ma focalizzazione esclusiva sui lati positivi del rapporto con Israele.

Insomma, è una visita importante, che vale la pena di sottolineare, come simbolo del nuovo orientamento di Israele. L’Unione Europea si è illusa, anche dopo la perdita di Obama e l’arrivo di un nuovo presidente americano amico di Israele, di poter trattare lo stato ebraico secondo il suo solito atteggiamento coloniale, violando le sue leggi, minacciando neanche tanto velatamente di boicottarlo e isolarlo, interferendo nella sua politica interna come raramente osa fare, per esempio col finanziamento di organizzazioni “non governative” che si guadagnano il pane (per l’appunto fornito dall’Europa) delegittimando e demonizzando Israele. Per fortuna questo gioco non sta riuscendo: non solo perché c’è Trump, ma anche perché per tempo Israele ha capito che doveva incrementare le sue relazioni economiche e politiche con i paesi africani in via di sviluppo e soprattutto con i grandi paesi asiatici (India, Cina, Giappone, Vietnam, per citare i casi di nuove iniziative recenti) che sono immensamente più popolosi e ormai anche più potenti sul piano economico di quelli della vecchia Europa che sta facendo il possibile per farsi male da sé. Anche in questa scelta della diplomazia europea di appoggiarsi ai paesi musulmani tutti totalitari ed economicamente parassiti sulle materie prime e sulla finanza accumulata, invece di sviluppare la partnership con il dinamico, tecnologico e democratico Israele, incoraggiandolo a trovare nuovi mercati e nuove partnership in Asia e Africa, vi è il segno di un cammino di decadenza che purtroppo il nostro continente ha preso, e della capacità israeliana di uscire dagli schemi e inventare nuove strade. Non è un caso che nonostante i problemi di difesa che lo condizionano da anni, Israele negli ultimi trent’anni si sia sviluppato regolarmente molto, ma molto di più di tutte le economie europee.

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