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Ugo Volli
Cartoline
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Il simbolo della disumanizzazione 15/08/2016

Il simbolo della disumanizzazione
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

i simboli sono importanti, contribuiscono potentemente a creare le motivazioni e la concezione del mondo che appaiono normali in una certa società.
L’idea di Marx che si trattasse solo di “sovrastrutture”, determinate totalmente dalla sottostante struttura economica, ci appare oggi vagamente insensata, falsificata com’è stata da un secolo di guerre ideologiche, cioè basate sui simboli, molte delle quali provocate e condotte dagli eredi legittimi dello stesso Marx.
Non bisogna pensare che simboli siano solo la croce, la falce e il martello, magari i mandala buddhisti.

Sono simboli anche attività sociali più generali e meno iconiche, come le elezioni (che indicano l’uguaglianza), i concorsi di bellezza (che implicano una certa idea del corpo umano, i conventi (con la loro vita già contemplativa come il paradiso che si vuol raggiungere) le vacanze (che dicono molto della concezione del tempo, del piacere e del lavoro nella nostra cultura). O lo sport. A differenza del gioco, lo sport non è universale, ma caratteristico della cultura occidentale moderna. Erede lontano ma assai approssimativo dei giochi greci e dei tornei cavallereschi, lo sport è stato inventato dagli inglesi a metà dell’Ottocento, diventando in poco più di mezzo secolo, con la complicità dei mezzi di comunicazione di massa, una delle principali attrazioni della società dello spettacolo, ma anche un modo di vita in qualche modo obbligatorio.

Lo sport si deve fare o almeno guardare, non solo perché fa bene alla salute (farlo, non guardarlo), ma anche perché incarna valori e presenta modelli, in una società povera degli uni e degli altri come la nostra. Questi valori costituiscono il senso del simbolo sportivo: fair play, parità delle condizioni di partenza, duro lavoro, grande rivalità e agonismo in un quadro però di accettazione e perfino amicizia con l’avversario.
Violare le regole per vincere, trattare l’avversario come un nemico da distruggere, stabilire differenze etniche o nazionali al di là delle rappresentanze ufficiali, usare mezzi sleali come il doping: tutto questo “non vale” non ha valore, perché l’etica dello sport è la leale competizione fra avversari che dopo la lotta si danno la mano, perché riconoscono il valore l’uno dell’altro proprio nell’impegno agonistico. Sono entrambi sportivi, e dunque si riconoscono come persone umane, soggetti di valore.

Vi ho fatto questa premessa, e mi scuso se vi è sembrata un po’ lunga, per capire con voi quel che sta accadendo alle Olimpiadi (ma non è certa la prima volta che capita). L’accusa falsa di aver rubato le divise degli atleti della “Palestina” (figuratevi); il rifiuto della squadra libanese di sedere nello stesso pullman con quella israeliana. L’abbandono preventivo di un judoka sempre libanese e il rifiuto di un altro, invece egiziano di stringere la mano al concorrente israeliano che gliela tende dopo la partita... eccetera eccetera. Non si tratta solo di sgarbi o di mancanza di spirito olimpico. Ma di disumanizzazione degli ebrei che si espongono in quanto tali (http://spectator.org/bds-to-the-olympics-dehumanize-the-jew/ ).

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La stella di Davide che portano sull’uniforme viene usata come il marchio giallo nazista, il segno che chi lo portava non era davvero umano e si poteva fare di lui ciò che si voleva, quella condizione che Agamben ha descritto col marchio di “homo sacer”. Sfortunatamente l’organizzazione olimpica ammette i sottouomini giudei - sembrano dire i boicottatori - come sfortunatamente il mondo tollera l’esistenza di Israele.
Ma i veri uomini non accettano questa situazione, si rifiutano di riconoscere come pari chi per loro dovrebbe essere uno schiavo, al massimo un dhimmi, un servo “protetto” (nel senso in cui i magnaccia si chiamano protettori, cioè sfruttatori).

Tutto questo avviene nell’indifferenza generale, anzi con l’attiva solidarietà di molti comitati olimpici. A chi non lo sapesse vorrei ricordare che l’Italia, ospitando i giochi del Mediterraneo a Pescara nel 2009, non volle (o disse di non potere) garantire la presenza di Israele (e leggete qui con quanta ipocrisia http://www.focusonisrael.org/2009/02/25/giochi-del-mediterraneo-litalia-esclude-israele-dalla-competizione/ ).

Non è naturalmente il solo ambito in cui questo rifiuto si eserciti, basta pensare alla vicenda dell’albergo Kempinski di Berlino, luogo peraltro caro ai gerarchi durante il III Reich, che ha tolto Israele dall’elenco dei prefissi telefonici. Ma lo sport è particolarmente simbolico e conta di più.
Ancora una riflessione: il gesto dello judoka egiziano è particolarmente significativo perproprio per la sua nazionalità. Israele è in pace con l’Egitto da più di 35 anni, e in questo momento sta attivamente collaborando col governo del Cairo su molti fronti, prima di tutto nella lotta al terrorismo. Ma questa pace non serve non dico a creare una normale amicizia fra i popoli, ma neppure a evitare clamorosi esempi di disumanizzazione come quello di cui stiamo parlando.

Vale la pena di pensarci, perché questo smentisce l’illusione che basti qualche pezzo di carta e anche qualche collaborazione militare per far cessare l’odio. Non è così, anche perché l’odio antisemita nella mente degli arabi, di cui gli atleti di cui sto parlando è un simbolo, nasce da una propaganda ideologica quotidiana, martellante, demonizzante. Se non ci credete, andate a verificare voi stessi le centinaia di esempi che si trovano sul sito del Palestinian Media Watch (https://www.palwatch.org/pages/aboutus.aspx ).
E’ questo il problema, che non si risolverà se non con una vera e propria rivoluzione ideologica nel mondo arabo. Israele può ben collaborare con Egitto, Giordania, perfino coi sauditi. Ma i loro media, le loro scuole, le loro moschee considerano doveroso disumanizzare e far odiare gli ebrei. E badate, non solo gli ebrei, che sono i più esposti, anche i cristiani che capitano loro sottomano, come ben sanno quelli che hanno la sfortuna di abitare nell’immenso spazio fra l’Algeria e il Pakistan.

La prima cosa da fare è rendersene conto, dirlo, non nasconderlo come spesso fa il papa. La seconda cosa è usare la potenza materiale e militare che l’Europa e gli Stati Uniti hanno a sufficienza (a differenza di Israele) per costringere questi paesi a smetterla. Ma perché questo accada bisogna rovesciare (legalmente, beninteso, con le elezioni) i complici dell’islamismo che governano l’Europa e gli Stati Uniti. E’ un lavoro abbastanza lontano dal razzismo olimpico da cui sono partito, ma è la sola strada che ci sia aperta oggi.

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Ugo Volli


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