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Ugo Volli
Cartoline
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La diffusione del terrore e il modo per prevenirlo in Europa 03/07/2016

La diffusione del terrore e il modo per prevenirlo in Europa
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: il terrorismo trae nutrimento dall'islamismo

Cari amici,

che cosa hanno in comune i venti morti del ristorante di Dacca, i 42 dell’aeroporto di Istanbul, i quaranta circa dell’ultima ondata terrorista in Israele fra cui una bambina di tredici anni ammazzata a coltellate nel suo letto da un terrorista che le si era infilato in casa? E poi i morti di Orlando, quelli dell’aeroporto di Bruxelles, quelli di Parigi, tutti gli altri che non cito per non farvi un elenco lunghissimo? Le cose in comune sono due, una riguarda le vittime e l’altra gli assassini. Le vittime erano persone comuni, intente ad attività comuni, innocenti senza nessun rapporto con i loro assassini; i killer erano islamici, dichiaratamente intenti a battersi per la loro religione. Alcuni possono essere collegati con l’Isis (che peraltro significa stato islamico) altri no; ma quasi tutti hanno condotto il loro macabro rito di omicidio-suicidio gridando lo slogan dei combattenti musulmani dai tempi di Maometto. “Allahu akbar”, cioè “Allah è grande”. Nel nome della stessa religione sono onorati e trattati come martiri dai movimenti politici che sono loro vicini, inclusi i “laici” e “moderati” protetti dalla comunità internazionale come l’Autorità Palestinese.

Che cosa c’entri la divinità e la sua grandezza con l’assassinio di una bambina nel sonno o con il massacro di turisti al ristorante o all’aeroporto, è una domanda per noi naturale, ma del tutto ingenua. C’è una continuità storica ininterrotta che risale alle campagne di Maometto contro ebrei e arabi “infedeli”, c’è un fondamento teologico che nega il diritto alla vita per chiunque non si converta (salvo che si sottometta, si umili e paghi una tassa esuberante per aver salva la vita). Più vicino a noi c’è negli ultimi decenni una scia di sangue ininterrotta, che ha cancellato la vita ebraica, cristiana e di altre fedi in tutto il Medio Oriente e che si estende ad altre regioni musulmane una volta più moderate, dal Pakistan al Bangladesh all’Indonesia alla Nigeria). C’è una guerra in corso più volte dichiarata, da Al Qaeda, dall’Isis, da mille piccoli gruppi. E c’è la piccola mistificazione (anch’essa teologicamente giustificata come “taqyiia”, legittima dissimulazione religiosa) da parte dei membri di comunità islamiche troppo minoritarie per combattere, come ancora accade nel discorso pubblico in Europa. Ma appena i musulmani diventano un po’ più numerosi e si raccolgono in zone dove sono maggioranza relativa, diventano aggressivi, trasformano questi territori in “zone di sharia” e impediscono con la forza i comportamenti che non gradiscono, quelli delle altre religioni ma anche della nostra libertà, in particolare la libertà di abbigliamento e di vita delle donne. E quando una zona è stata islamizzata, essa diventa patrimonio dell’islam, incedibile e sovrano, anche se si tratta di un piccolo luogo con una fortissima tradizione non islamica. E’ il caso di Israele, che va eliminato in quanto non islamico. Ma lo stesso è accaduto per tutti i territori tradizionalmente armeni, assiri, copti, che non sono riusciti a difendersi con le armi dalla snazionalizzazione islamica. La “questione palestinese” non va intesa come la liberazione nazionale di un inesistente popolo palestinese, ma come la spinta a recuperare un territorio già conquistato dall’islam, per cui tutti i pretesti valgono, compresa l’invenzione di un popolo mai registrato nella storia.

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Un quiz impossibile da risolvere per Obama. E' così difficile da pronunciare "terrorismo islamico"?

E dall’altra parte che accade? Il presidente degli Stati Uniti ha proibito ai funzionari pubblici di parlare di “terrorismo islamico” e anche di “islam radicale”, a costo di falsificare i dati. Per fare solo un esempio, in occasione della strage di Orlando dalle trascrizioni del dialogo che l’assassino ha avuto con il numero di emergenza della polizia sono stati contraffatti tutti i riferimenti islamici: per esempio lui ha detto “Allahu akbar” e nella trascrizione c’è scritto “dio è grande” (http://townhall.com/tipsheet/katiepavlich/2016/06/20/justice-department-replaces-allah-with-god-in-censored-orlando-terrorist-transcript-n2181111). In Europa un’operazione del genere è stata ordinata alla polizia tedesca in occasione dello stupro di massa di capodanno a Colonia (http://www.independent.co.uk/news/world/europe/cologne-police-ordered-to-remove-word-rape-from-reports-into-new-year-s-eve-sexual-assaults-a6972471.html), fa parte delle regole prescritte alla polizia in Svezia (http://www.spectator.co.uk/2016/01/its-not-only-germany-that-covers-up-mass-sex-attacks-by-migrant-men-swedens-record-is-shameful/). C’è il tentativo di trasformare in reato le critiche all’islam sotto il nome molto significativo di “islamofobia”, che vuol dire letteralmente “paura dell’islam”, come se avere paura in generale potesse essere un reato e non fosse perfettamente ragionevole temere la fonte ideologica di tante terribili stragi e altri crimini di massa. (Perché attenzione, essere contro l’islam non è razzismo, dato che non si tratta di appartenenza etnica, ma dell’adesione a un movimento; e non è neanche intolleranza religiosa: perché l’islam non solo non è una razza ma neppure solo una fede, è una forma di vista regolata da norme che fra l’altro prescrivono l’oppressione e l’assalto agli infedeli.)

Poi c’è tutta la tematica dell’”accoglienza”, in cui brilla l’Unione Europea e la Chiesa terzomondista di Bergoglio. L’Europa fino a una ventina d’anni fa aveva la fortuna di essere poco investita dal conflitto con l’islam, essendo lontano dalla zona di confine. Si combatteva in Caucaso da almeno 150 anni; c’era un conflitto violento intorno al Kossovo e alla Bosnia (islamizzati dalla colonizzazione turca); c’era tensione nelle periferie di paesi ex coloniali (Francia e Gran Bretagna in testa) che avevano fatto la stupidaggine di prendersi in casa non solo i loro cittadini respinti dai paesi ex coloniali, ma anche abbondanti immigrazioni da questi paesi. Senza badare al disastro politico e sociale di queste immigrazioni, i governanti europei hanno sostanzialmente abbattuto i confini rispetto al mondo islamico, richiamando in Europa milioni di persone senza richiedere permessi, qualifiche professionali, quote e senza neanche selezionare i veri rifugiati da zone di guerra rispetto agli innumerevoli migranti economici. La storia dovrà indagare su questo suicidio collettivo, la cui prima responsabilità è di Angela Merkel, ma su cui molti governi, compreso il nostro, si sono allineati.

Fatto sta che siamo entrati in una fase in cui non esiste un paese europeo che non sia sotto attacco. Non è solo il terrorismo, è anche la vita quotidiana. La Svezia, che era una volta il “paradiso” della libertà sessuale e comunque del rispetto dei diritti delle donne, è diventata la capitale mondiale dello stupro (http://www.gatestoneinstitute.org/5195/sweden-rape; fra il 1991 e il 2011 l’incidenza di questo reato si è moltiplicata per 5, tanto che si prevede che una donna ogni 4 è stata o sarà stuprata: http://www.frontpagemag.com/point/175434/1-4-swedish-women-will-be-raped-sexual-assaults-daniel-greenfield), in grandissima parte per opera di immigrati musulmani (https://majorityrights.com/weblog/comments/muslim_rape_wave_in_sweden/). Questa catastrofe autoinflitta è stata coordinata e fortemente voluta dall’Unione Europea, dalla sua burocrazia e dai partiti “progressisti” che la appoggiano. Per questo l’uscita dall’Europa o meglio la sua dissoluzione e riduzione a mercato comune è un compito urgente di autodifesa, forse il solo modo per prevenire la guerra civile di stampo arabo che l’invasione musulmana rischia di provocare. Quelli che criticano la Brexit ci pensino.

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Ugo Volli


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