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Ugo Volli
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Le ragioni di un successo (e del fallimento dei nemici) 10/04/2016

Le ragioni di un successo (e del fallimento dei nemici)
Diario di viaggio, di Ugo Volli

Una delle cose che più colpisce il viaggiatore che arriva in Israele è la prosperità del paese, il suo evidente successo economico. Non sono solo i negozi delle zone centrali di Tel Aviv o di Gerusalemme a esibire il benessere, o le code di macchine che intasano le autostrade a molte corsie che solcano il paese e penetrano nelle città. Vi sono segni più periferici, come la trasformazione delle tradizionali austere guesthouse di buona parte dei kibbutzim in strutture alberghiere di alta classe (soprattutto indirizzate al turismo interno), il numero delle costruzioni nuove che si scorgono dappertutto e spesso sono monumentali grattacieli, la ricchezza e la varietà delle merci anche nei piccoli supermercati periferici, la bellezza dei giardini che sorgono dappertutto in un paese che sorge in buona parte sulla sabbia del deserto ed è anche soggetto a un periodo di siccità notevole. Spesso questa prosperità assume forme più americane che europee, coi grattacieli, ma anche coi grandi centri commerciali che punteggiano i principali percorsi extraurbani. In parte si tratta di segnali finanziari che colpiscono il consumatore, per esempio un cambio con l’euro che è passato dal moltiplicatore cinque di qualche anno fa, al quattro di oggi.

Sotto questi segnali di successo c’è un’economia in ottima salute. In mezzo alla crisi mondiale, la crescita economica lo scorso anno è stata del 2,6 per cento, un dato relativamente basso nella storia recente di Israele che però paesi come il nostro possono solo sognare; e per l’anno in corso la previsione è superiore, al 2,8 per cento. La disoccupazione è ai minimi storici, un 5,3 per cento che non ha quasi pari al mondo (http://www.timesofisrael.com/israel-records-stable-growth-lowest-jobless-rate-in-decades/). La valutazione del debito israeliano è A+ per S&P, A1 per Moody, con una previsione di stabilità, un livello nettamente superiore a quello della maggior parte dei paesi europei, inclusa l’Italia (http://www.tradingeconomics.com/israel/rating). Queste valutazioni potrebbero naturalmente essere più alte se il contesto geopolitico e strategico di Israele non fosse in questo momento la regione più instabile del mondo. La crescita delle nuove industrie tecnologiche continua senza soste e così l’afflusso di capitali stranieri che le alimentano o semplicemente le comprano.

Le ragioni del successo sono abbastanza chiare. In primo luogo Israele è un paese libero e liberale, che garantisce gli investimenti e ha eliminato nel corso degli anni una buona parte dei vincoli burocratici che erano l’eredità del passato laburista (anche se vi sono movimenti che arrivano fino alla Corte Suprema cercando di bloccare la liberalizzazione). In secondo luogo l’economia contemporanea è in tutti i campi basata sulla conoscenza e il più importante fattore propulsivo per Israele è la ricerca scientifica e tecnologica, cioè il sistema universitario che è di altissimo livello, ben finanziato e connesso con le aziende e la ricerca militare. Infine vi è una cultura imprenditoriale diffusa: indipendenza e assunzione consapevole del rischio, voglia di indipendenza e gusto per l’avventura anche intellettuale ed economica sono virtù diffuse fra i giovani israeliani e apprezzate dall’ambiente.

Il decollo economico di Israele è partito e continuato anche quando era vera la vecchia battuta attribuita a Golda Meir (Mosè avrà avuto molti meriti, ma non era una grande investitore, visto che ci ha portato nel solo posto in Medio Oriente dove non c’è il petrolio); ora, se non il petrolio il gas sembra molto abbondante; ma l’economia non si basa sullo sfruttamento delle risorse naturali, come per gli altri luoghi ricchi (ma molto diversamente ricchi) del Medio Oriente, come i paesi del Golfo. Ognuno dei risultati di cui vi ho parlato è stato conquistato con il lavoro, la ricerca, l’intraprendenza, la responsabilità personale, l’invenzione – e chiunque gira per Israele e parla con la gente vede benissimo questo spirito.

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Ahava, leader mondiale per i cosmetici

E’ anche questo che rende vuoto il tentativo di emulare contro Israele il boicottaggio nazista del lavoro ebraico, che oggi si chiama BDS e lo rende sostanzialmente inefficace. Sicché, quando anche quando un pezzo di industria israeliana molto amata dai turisti, come l’impresa dei cosmetici del Mar Morto che ha nome “Ahavah”, cioè amore, ed è stato oggetto di pesanti boicottaggi viene venduta all’estero, in particolare ai cinesi, com’è stato annunciato di recente (http://www.jpost.com/Business-and-Innovation/Despite-BDS-flap-Ahava-valued-at-NIS-300m-finds-buyer-415020), questo fatto è preso più come un segno di successo contro i nemici di Israele che come un loro successo.

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Ugo Volli


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