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Luciano Tas
Le storie raccontate
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Gli intellettuali pacifisti non imparano mai la lezione 10/07/2009
Non è un saggio storico, non è un romanzo, non è un diario o un réportage, ma non importa come definire questo libro straordinario di cui per la verità poco si è parlato quando è uscito da noi per Bompiani overlook (“Cenere d’uomo” di Nicholson Baker, 527 pag. € 20). Si tratta di una panoramica atipica sugli anni che vanno dal1923 alla fine di dicembre del 1941, il mese in cui, dopo l’aggressione giapponese a Pearl Harbor, gli Stati Uniti si trovarono coinvolti nella seconda guerra mondiale, e non solo contro il Giappone, ma anche contro l‘Italia e la Germania che avevano voluto dichiarare guerra agli Stati Uniti per unirsi golosamente quanto imprudentemente alla folgorante avventura asiatica di Tokyo. Diceva a questo proposito Indro Montanelli che in una Roma ancora “Rometta” malgrado l’’Impero, se qualcuno avesse fatto vedere a Mussolini il già foltissimo elenco telefonico di New York in confronto alle ancora striminzite pagine romane della TETI, ci avrebbe pensato due volte prima di muovere guerra al gigante americano. Nicholson Baker compie il miracolo di riempire queste oltre cinquecento pagine con citazioni, dichiarazioni, avvenimenti di un fatale quarto di secolo, ripercorrendone così la storia in una sorta di allusivo condensato che mette impietosamente in risalto non solo le efferatezze perpetrate in quegli anni da Hitler e dai suo complici (come Mussolini), ma anche le miserie o peggio di tutti i protagonisti che ne animavano le scene. Nessuno esce bene da questa impietosa foto di gruppo, da questa cavalcata di cavalli bendati o drogati, a questa folla cieca o inetta o crudele. La grande foto mette infine in risalto una sola cosa di questo insano confronto dell’umanità, un solo risultato, un solo “prodotto”: la cenere. Appunto la “cenere d’uomo”. “Cenere” in ogni senso, anche letterale. Alla fine non si riesce a “catalogare” questo libro, ma la sua lettura è asciutta quanto emozionante, sconvolgente, tra l’apparente distacco dell’autore che sembra dire: “Le cose sono andate così, giudicate un po’ voi”, senza mai cercare di imporre una tesi. I fatti hanno però una forza autonoma che non richiede sottolineature e le parole talvolta non volant. La ricchissima messe di “informazioni”, di citazioni, di fatti, offerta da Baker suscita una serie di considerazioni e di domande. M’intriga tuttavia proporvi, anche a titolo esemplificativo, una sola vicenda che riguarda l’”intellighenzia” americana, che è poi abbastanza simile sotto tutti i cieli e in diverse occasioni ad ogni “intellighenzia”. Qui il microscopio è puntato sull’atteggiamento degli intellettuali americani, in genere sempre impegnati nel politico e nel sociale, di fronte all’avvicinarsi della guerra agli States. Guardiamo solo a due date molto vicine, entrambe del giugno 1941. “La lega degli scrittori americani - scrive Baker – si riunì come ogni anno (.) a New York. Dashiel Hammett fu eletto presidente”, e c’erano Richard Wright, il cui “Paura” “fu scelto come migliore romanzo dell’anno”, Theodore Dreiser (a cui venne dato “un premio per la pace”, Lillian Hellman, Clifford Odets, Orson Welles e così via. Insomma, la crème de la crème USA. Dal convegno uscì una dichiarazione. “Oggi dobbiamo chiederci¬, si leggeva, se la politica dell’attuale amministrazione e il condizionamento degli interessi economici non ci stiano portando verso la guerra e il fascismo in nome della resistenza alla guerra e al fascismo”. Quindi i partecipanti votavano il sostegno ideologico allo sciopero di una fabbrica di aerei militari “e concordarono perché la gente si unisse ai picchetti dell’American Peace Mobilization di fronte alla Casa Bianca”. Wright infine affermava che “la guerra attuale è meramente e inevitabilmente una guerra imperialista, diretta contro i neri e lavoratori di tutto i mondo”. Gran Bretagna e Germania venivano messe da Wright sullo stesso identico piano. Era il 6 giugno 1941 Ora attenzione: il 6 giugno 1941 quasi tutta l’Europa era sotto l’occupazione nazista (con il fascismo italiano complice), la strage contro gli ebrei era già in atto in Polonia, dove a Varsavia mezzo milione di ebrei erano ammassati - e poi progressivamente uccisi - entro le mura costruite dai tedeschi intorno a un quartiere cittadino, la Gran Bretagna era sottoposta a continui indiscriminati bombardamenti. La morte aveva la svastica sulla sua falce. Era il 6 giugno 1941 Pochi giorni più tardi, il 21 giugno, la Germania invadeva l’ex amica e alleata Unione Sovietica, colta completamente di sorpresa. Prima che giugno finisse, ecco riunirsi di nuovo la Lega degli scrittori americani per auspicare “la sconfitta militare degli aggressori fascisti”. Scrive Nicholson Baker: “l’American Peace Mobilization che aveva organizzato i picchettaggio di fronte all Casa Bianca, cambiò il suo nome in American People’s Mobilization sospese la manifestazione”. “Pace”? Ma no, è meglio il meno compromettente “Popolo”. E la Lega degli scrittori affermava che “il prerequisito necessario per ottenere una pace del popolo è diventato l’annientamento militare della Germania”. Dal 6 giugno erano passate due settimane. C’è da riflettere su questo brusco cambiamento di campo. Il 6 giugno la Lega degli scrittori grida “abbasso la guerra, viva la pace, no al coinvolgimento americano”, mentre il 23 giugno afferma la necessità assoluta che vi sia l’annientamento militare della Germania, magari con la doverosa partecipazione americana. (Lo stesso fenomeno si produceva in Francia dove il 20 giugno 1941 il partito comunista francese si crogiolava nel suo flirt con gli occupanti tedeschi e il 22 li malediceva). Forse l’aggressione all’URSS c’entrava per qualcosa. Naturalmente non si può far carico solo all’intellighenzia per certi bruschi cambiamenti di cavallo, ma il fatto è che mentre la gente in genere non scrive e quindi “non lascia prove” per gli intellettuali è diverso: scripta manent. Buon per gli intellettuali che la memoria è corta, cortissima. E tuttavia i rapidi cambiamenti di rotta degli scrittori americani (non tutti) non avvennero per le atrocità della Germania nazista nei paesi occupati, ma perché la Germania aveva invaso un paese come l’Unione Sovietica, il cui carismatico capo, Stalin, non era da meno in nefandezze del suo ex sodale Hitler.

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