Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/01/2024, a pag. 12, con il titolo "Paesi arabi e Stati Uniti in pressing su Israele per un piano di pace che Netanyahu respinge" la cronaca di Paolo Mastrolilli.
Paolo Mastrolilli
Netanyahu, mai come oggi al centro delle sciagurate proposte di pace che porteranno ad altre guerre.
NEW YORK — Da una parte gli Usa e i paesi arabi, sauditi in testa, che lavorano ad un piano per normalizzare i rapporti con Israele, ricostruire Gaza e stabilizzare l’intero Medio Oriente, in cambio della creazione dello Stato palestinese; dall’altra il premier Netanyahu che si rifiuta di ascoltarli, almeno in pubblico. Sta diventando questa la dinamica del conflitto che continua, con la costante minaccia di un allargamento favorito dall’Iran attraverso le sue milizie (e sfiorato ieri ancora una volta con la risposta pachistana ai raid iraniani) proprio perché Teheran teme l’isolamento a cui sarebbe condannata da questa soluzione. Ieri due media, il Financial Times e la Nbc ,hanno riportato le linee generali del piano in discussione, anticipate nei giorni scorsi anche dall’ Huffington Post .La sostanza è simile a quella che da settimane trapela in tutti i briefing condotti da alti funzionari dell’amministrazione Biden. Prima del 7 ottobre, gli Usa stavano mediando tra Arabia e Israele per arrivare alla normalizzazione delle relazioni, in cambio di garanzie di sicurezza per i sauditi contro la Repubblica islamica, sviluppo dell’energia nucleare a scopi civili, e concessioni per i palestinesi che riaprissero la strada alla creazione di uno Stato. L’accordo era così vicino che a metà ottobre il segretario di Stato Blinken sarebbe andato a Riad per discuterlo con i leader locali, sulla base delle indicazioni ricevute dall’Autorità palestinese. Difficile credere che la strage di Hamas non avesse nulla a che vedere con l’interesse degli ayatollah a far saltare il negoziato. I sauditi lo sanno bene, e quindi a Davos il loro ministro degli Esteri Faisal bin Farhan ha ribadito che restano interessati alla normalizzazione con Israele. Nel frattempo però la contropartita si è alzata, includendo non solo concessioni come la fine degli insediamenti, ma l’avvio della creazione dello Stato palestinese o il suo riconoscimento all’Onu. Il piano quindi prevede questi passi: cessate il fuoco a Gaza; rilascio di tutti gli ostaggi; normalizzazione delle relazioni tra Arabia e Stato ebraico, che in sostanza prelude alla pacificazione con l’intero mondo arabo sunnita; passi “irreversibili” per la creazione dello Stato palestinese, ma sotto l’Autorità di Ramallah, senza alcun ruolo per Hamas. Secondo il Financial Times i paesi arabi lo hanno discusso con gli Usa e i governi europei, e sono pronti a presentarlo a giorni. Le rivelazioni della Nbc non sono molto diverse, ma includono il lavoro di spola fatto nella regione da leader repubblicani come il senatore Lindsey Graham, confermando quindi che esiste un appoggio bipartisan a questa soluzione. L’ostacolo più insormontabile, almeno in pubblico, resta Netanyahu, che ancora ieri ha bocciato l’idea così: “In qualsiasi accordo futuro, Israele deve controllare con sicurezza tutto il territorio a ovest del Giordano. Questo si scontra con l’idea di sovranità. Cosa ci possiamo fare?”. Quindi ha aggiunto di aver comunicato anche a Biden la sua opposizione alla creazione di uno Stato palestinese: “Il primo ministro deve essere in grado di dire di no ai nostri amici”. Il ragionamento è che l’attacco del 7 ottobre dimostra come, se avesse accettato in passato la creazione dell’entità prevista dagli accordi di Oslo, avrebbe costruito la base per aggressioni finalizzate a cancellare Israele. Alcuni osservatori ritengono che la posizione di Netanyahu sia definitiva, e quindi il piano potrà avere un futuro solo quando lui non sarà più alla guida del governo. Altri sospettano che sia tattica, perché ha effettivamente le mani legate dagli alleati, che farebbero cadere l’esecutivo se accettasse qualsiasi concessione ai palestinesi. Non manca però chi spera che davanti ad una proposta davvero conveniente per la sicurezza, la prosperità economica e il futuro di Israele, che includa anche garanzie sulle proprie prospettive personali e giudiziarie, se non politiche, il premier potrebbe considerare di sacrificare la sua coalizione per entrare nella storia.
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