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Libero Rassegna Stampa
13.01.2024 Gli atenei Usa sono intrisi di antisemitismo
Commento di Giovanni Sallusti

Testata: Libero
Data: 13 gennaio 2024
Pagina: 11
Autore: Giovanni Sallusti
Titolo: «Gli atenei Usa sono intrisi di antisemitismo E ad Harvard gli studenti ebrei denunciano»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 13/01/2024, a pag.11 con il titolo "Gli atenei Usa sono intrisi di antisemitismo E ad Harvard gli studenti ebrei denunciano" il commento di Giovanni Sallusti.
 
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Giovanni Sallusti

"Dipende dal contesto" disse la ex rettrice Magill alla domanda se è accettabile evocare lo sterminio degli ebrei nella sua università

Per capire cosa sta accadendo nelle università americane tocca muovere da un concetto coniato da un gentiluomo britannico, Sir Roger Scruton. Il grande filosofo conservatore definiva “oicofobia” la malattia cronica delle élite accademiche (post)moderne, ovvero il rifiuto irrazionale della propria casa e della propria eredità storico-culturale. Nei templi del sapere della nazione guida d’Occidente, è proprio la civiltà occidentale ad essere quotidianamente sotto processo, in quanto inguaribilmente colonialista, corrotta, oppressiva in sé. Dopo la mattanza nazislamica del 7 ottobre, questa follia politicamente corretta per cui tutto ciò che è Altro dalla tradizione giudaico-cristiano-liberale è Buono in quanto tale ha definitivamente deragliato, è diventata tifo per Hamas, si è fatta antisemitismo schietto e brutale.

Non è iperbole, è notizia di ieri: alcuni gruppi di studenti ebrei, tra cui l’associazione Students Against Antisemitism, hanno intentato una causa contro l’ateneo di Harvard, accusandolo di essere diventato «un bastione di dilagante odio e vessazioni antiebraiche». Nella denuncia accusano espressamente l’università di violare i diritti civili degli iscritti ebrei, di tollerare che siano vessati, intimiditi, aggrediti, con una moltiplicazione esponenziale degli episodi dal 7 ottobre.
La causa è analoga ad altre già in corso contro l’Art Institute of Chicago, la New York University e l’Università della Pennsylvania. Nei luoghi d’eccellenza dell’accademia Usa, quelli che plasmano la classe dirigente della più grande democrazia del mondo, essere ebrei è un problema fisico, esistenziale. È un ossimoro stordente, che calato nella cronaca diventa stomachevole. Piccola selezione delle testimonianze consegnate al Gruppo Repubblicano della Camera dai ragazzi e dalle ragazze (di nuovo) nel mirino per ciò che sono. Bella Ingber, New York University: «Sono la nipote di sopravvissuti all’Olocausto.
Oggi nel 2023, alla New York University, sento appelli a gasare gli ebrei e mi viene detto che Hitler aveva ragione». Jonathan Frieden, proprio di Harvard: «Mentre vado a lezione cammino in mezzo a folle di persone che cantano “dal fiume al mare”» (ovvero inneggiano alla rimozione forzata di Israele dalla mappa geografica).
Eyal Yakoby, Penn University: «Abbiamo cercato rifugio nelle nostre stanze mentre compagni di corso e professori cantavano con orgoglio per il genocidio degli ebrei». Compagni, professori, rettori. È l’intera comunità accademica che ha trascinato negli ultimi mesi la linea della legittima critica all’operato israeliano ben oltre la soglia dell’antisemitismo. La grottesca audizione delle tre rettrici al Congresso di un mese fa ha già innescato due dimissioni. Liz Magill della Penn, Claudine Gay di Harvard e Sally Kornbluth del Mit, alla domanda «invocare il genocidio degli ebrei viola o no le vostre regole di condotta?», avevano risposto con l’imperturbabilità che avrebbe potuto sfoggiare l’Ayatollah Khamenei: «Dipende dal contesto». Magill ha dovuto gettare la spugna subito, la Gay ha lasciato l’incarico ad inizio gennaio, annunciandolo in una lettera dove con sovrumano sprezzo del ridicolo lamentava, lei, di essere stata «oggetto di attacchi personali e minacce alimentate dal razzismo». In quanto donna di colore, sarebbe incontestabile a priori anche quando sdogana l’invito a un nuovo Olocausto: è la regola oicofoba del politically correct. Non tutti la mandano giù, questa surreale forma di autoritarismo buonista e perbene a stelle e strisce, anzi proprio su questo tema, sul tema dell’intolleranza ormai senza inibizioni in cui è sfociata quella paranoia progressista di massa nota come Wokismo, c’è da mettere a referto una spaccatura interna all’élite liberal statunitense. Parecchi milionari storicamente finanziatori di questi atenei d’eccellenza che oggi sembrano altrettante birrerie tedesche degli anni Trenta, infatti, hanno bloccato le proprie donazioni, in polemica con la deriva antisemita. Bill Ackman, finanziere laureato a Harvard, ha imbastito una vera e propria guerra contro-cultuale, non solo chiudendo istantaneamente il portafoglio, ma anche esponendosi contro la Gay e accusando i gruppi studenteschi di «sostenere il terrorismo». Len Blavatnik, la cui fortuna è stimata da Forbes in 32 miliardi di dollari, anch’egli ex di Harvard, ha dichiarato che interromperà le donazioni finché non verrà affrontata l’emergenza antisemitismo. Il miliardario Ross Stevens ha ritirato i 100 milioni annui in borse di studio alla Penn University. E molti altri finanziatori, tra cui esponenti di spicco di quella comunità ebraica tendenzialmente vicina ai Dem, guardano allarmati la nuova sinistra che aleggia nei campus: terzomondista, filoislamista, strutturalmente anti-occidentale. Una spaccatura che fa soprattutto gli interessi di un tizio, di nome Donald.
 
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