Riprendiamo da LIBERO di oggi, 12/01/2024, a pag.1/12 con il titolo "Palazzo di Vetro in mano ai tiranni. Ci vuole una Nato della diplomazia" il commento di Giovanni Sallusti.
Giovanni Sallusti
L'Onu è ormai diventata il megafono di Hamas
Il tratto pazzotico della contemporaneità sta tutto in questa dichiarazione dell’Ufficio politico di Hamas, prontamente rimbalzata dai giornaloni (è come se nel 1944 i quotidiani delle potenze occidentali avessero preso sul serio un comunicato firmato Ss). «Le prove presentate all'Aja dal Sudafrica dimostrano al mondo intero il coinvolgimento dell'occupazione sionista nel commettere crimini di genocidio e pulizia etnica contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza».
Ecco a cosa si presta la Corte di Giustizia dell’Onu: a comparire nelle note degli organizzatori di pogrom, a fare da grancassa con la (residua) autorevolezza del proprio nome alla narrazione degli sgozzatori coranici. Già il fatto stesso che nel massimo organo giudiziario internazionale vada in scena un processo in cui sul banco degli imputati per “genocidio” stanno quegli ebrei macellati, torturati, bruciati vivi il 7 ottobre in quanto ebrei, dà l’idea del coma irreversibile in cui versa quel pachiderma acefalo cui sono ridotte le Nazioni Unite, in tutte le loro articolazioni.
SCONTRO DI CIVILTÀ
La verità, non faziosa, fattuale, è che Onu e addentellati vari sono ormai un’eco di un mondo che non c’è più, l’ordine post-Seconda Guerra Mondiale, con derive smaccatamente ossimoriche (l’ultima è stata il Forum dei Diritti Umani presieduto dagli ayatollah iraniani avvezzi ad impiccare le spose-bambine refrattarie).
Ma il disordine attuale non è mero caos, è attraversato anzitutto da una linea di rottura precisa, quella che il grande politologo Samuel Huntington intuì già alla fine del ‘900, quando scriveva: «Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro».
Eccole, le battaglie del presente: l’islamismo jihadista contro l’unica società aperta del Medio Oriente, l’autoritarismo neo-sovietico di Putin contro uno Stato europeo libero e sovrano, sulla mappa globale il totalitarismo cinese contro la democrazia americana.
Come sostiene l’intellettuale conservatore britannico Douglas Murray oggi è in atto una «guerra all’Occidente» o, più ancora in generale, un conflitto permanente tra chi si riconosce in un modello edificato sulla libertà individuale come valore, sulla democrazia come forma politica e sul libero mercato come prassi economica, e chi quel modello lo avversa alla radice. Tanto che questi ultimi si sono già organizzati in un asse di fatto, quella triangolazione che parte da Teheran, passa per Mosca e arriva fino a Pechino, con tutte le sue filiali minori (il regime nordcoreano e le squadracce di Hamas in primis).
Cosa manca allora, vista la conclamata inadeguatezza delle istituzioni internazionali, sempre più spesso a loro volta filiali occulte? È evidente: la razionalizzazione dell’altro polo, il nostro. Manca una moderna Lega delle democrazie, un contro-asse nitido e conscio della posta in gioco, la difesa della civiltà liberale. Un contenitore sovra-statale, ma limitato a quelle nazioni che condividono la visione del mondo. Dotato di peso diplomatico, coerenza valoriale, potenza militare.
Ora, si potrebbe dire che qualcosa del genere esiste già, si chiama Nato. E sarebbe parzialmente vero, con alcune postille decisive. Anzitutto, essendo anch’esso uno strumento del vecchio ordine (qui sta peraltro la parte oggettivamente fondata della critica che ne fa Donald Trump), non rispecchia completamente la faglia di rottura tra civiltà. Esempio clamoroso: annovera la Turchia del Sultano Erdogan, autocrate islamista e nemico irriducibile di Israele.
Non solo: è proprio l’idea di Patto esclusivamente “atlantico” che va superata. Una Lega delle democrazie del 2024 non potrebbe non includere la Corea del Sud (Paese libero, avanzatissimo e prima frontiera contro i missili di Kim), il Giappone (la nazione più direttamente minacciata dall’imperialismo cinese e più in grado di contenerlo nello scacchiere asiatico), l’Australia (a tutti gli effetti un tassello della civiltà anglosassone e occidentale, a sua volta decisivo per il fronte del Pacifico), e ovviamente Israele, la stortura da cui siamo partiti, la democrazia inquisita dall’Onu.
PATTO PER LA LIBERTÀ
È la cosiddetta Nato globale, un progetto che l’Alleanza evocò già nel 2022, quando aggiornò il proprio Concetto Strategico. Con le parole usate dal segretario generale Stoltenberg in un importante summit a Vilnius del luglio 2023, dove non a caso furono invitati come partner Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud: «I regimi autocratici si stanno unendo, così come uniti dobbiamo rimanere noi che crediamo nella libertà e nella democrazia. La Nato è un’alleanza regionale fra Europa e Nord America, ma la sfida è globale». Sarebbe il caso di accelerare il processo, perché i treni della Storia non passano a piacimento. E questo d’inizio millennio sta per deragliare.
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