Il tribunale dell'Aja
Roma. 62 anni dopo il processo contro Adolf Eichmann, uno degli architetti dell’Olocausto, la prossima settimana gli avvocati del governo israeliano saranno nuovamente alle prese con un’accusa di genocidio, ma questa volta come imputati e non come accusatori. Israele è furioso per l’accusa a cui dovrà rispondere alla Corte di giustizia internazionale.
A rappresentare Israele, Malcolm Shaw, l’esperto inglese di genocidio e diritto internazionale. La Corte dell’Aia baserà il suo giudizio sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948, alla quale Israele ha aderito non appena lo stato ebraico è stato istituito perché la convenzione è stata scritta sulla scia dell’Olocausto, nella speranza di prevenire un altro genocidio. Funzionari israeliani sostengono che l’accusa di genocidio è troppo perché uno stato nato sulle ceneri dell’Olocausto e che ha appena subito la peggior strage di ebrei dall’Olocausto possa ignorarla.
Il governo del Sud Africa, che ha fatto causa a Gerusalemme, si considera un baluardo contro quello che definisce “imperialismo occidentale”. Ma nel 2017, il Sud Africa ha ignorato un mandato di arresto della Corte penale dell’Aia per l’allora presidente sudanese Omar al Bashir con l’accusa di genocidio, consentendogli di entrare nel paese. A novembre, il parlamento sudafricano ha affermato che il governo dovrebbe espellere i diplomatici israeliani. La Corte può ordinare a Israele di fermare i combattimenti a Gaza. Sebbene non abbia poteri coercitivi, i procedimenti della Corte possono stabilire che Israele ha commesso un genocidio, provocando così il suo isolamento e il boicottaggio, fino alle sanzioni sulla scena internazionale, come accadde al Sud Africa dell’apartheid. Inoltre, in via informale, i procedimenti presso la Corte internazionale di giustizia possono anche influenzare i procedimenti presso la Corte penale internazionale. Se la Corte di Giustizia dovesse stabilire che Israele sta commettendo un genocidio, il pubblico ministero presso la Corte penale potrebbe prendere in considerazione l’idea di intraprendere azioni contro alti funzionari israeliani coinvolti. “Una corte che non è riuscita a completare nemmeno un processo”, scrive Foreign Affairs. “Il sospettato di maggior profilo, il presidente sudanese Omar al Bashir, si è sottratto all’arresto”. Milleduecento persone impiegate all’uopo all’Aia, un budget annuale di cento milioni di dollari, la spesa numero due dell’Onu dopo le truppe peacekeeping, per appena sette processi in corso, alla Corte il primo procuratore Luis Moreno Ocampo non ha concluso un solo processo in dieci anni.
La stessa Corte di giustizia dell’Aia ha giudicato “illegale” la barriera antiterrorismo che Israele ha eretto nel mezzo della Seconda Intifada e che ha fermato le stragi di civili degli attentatori suicidi di Hamas. Negli anni Ottanta, l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, Jeane Kirkpatrick, disse: “La Corte, francamente, non è ciò che suggerisce il suo nome, una Corte di giustizia internazionale, ma un ente semilegale, semigiuridico, semipolitico a cui le nazioni a volte obbediscono e a volte no”.
Chissà se la Corte aveva anche legiferato sull’illegalità della barriera di separazione fra Israele e Gaza, che la mattina del 7 ottobre per 1.200 israeliani ha significato la vita o la morte.