Dal kibbutz Or HaNer a Buenos Aires: lo sport per la vita dopo il 7 ottobre Intervista di Claudia De Benedetti a Magal Schujovitzky Wolff
Testata: Informazione Corretta Data: 03 gennaio 2024 Pagina: 1 Autore: Claudia De Benedetti Titolo: «Dal kibbutz Or HaNer a Buenos Aires: lo sport per la vita dopo il 7 ottobre»
Riprendiamo da SHALOM online l'articolo di Claudia De Benedetti dal titolo "Dal kibbutz Or HaNer a Buenos Aires: lo sport per la vita dopo il 7 ottobre".
Ai Giochi Pan Americani Maccabi di Buenos Aires 2023, Magal Schujovitzky Wolff ha già vinto la medaglia d’oro della vita. Si tratta della medaglia più importante, perché 74 esseri umani sopravvissuti ai massacri di Hamas del 7 ottobre, che hanno nel cuore le più terribili atrocità vissute in prima persona, stanno affrontando le gare sportive ed è proprio Magal a guidare la delegazione che vince ogni competizione al di là del risultato sportivo.
Magal ci parli di lei...
Sono di Or HaNer, il mio kibbutz è a 3 chilometri e mezzo dalla striscia di Gaza, è uno dei più grandi della zona di Sha’ar HaNegev. Il 7 ottobre alle 6.30 del mattino abbiamo ricevuto dei messaggi dai kibbutzim di Kfar Aza e di Erez: i terroristi di Hamas stavano attaccandoci. Mio marito e gli altri uomini della sicurezza della Kitat Konenut, ci hanno strenuamente protetto, hanno lottato e combattuto per salvare la vita di ognuno di noi e siamo qui oggi. Ma siamo dei sopravvissuti. Abbiamo perso il nostro mondo, chi un marito, chi una madre, chi una figlia, chi un fratello, chi una sorella, chi il migliore amico. Le nostre case, il nostro kibbutz non ci sono più, i terroristi hanno devastato le nostre vite, le vite dei nostri figli, un dolore indescrivibile.
Or HaNer è stata la mia casa da quando sono nata e continuerà ad esserlo per sempre.
74 persone fanno parte della squadra d’Israele chi sono?
Alla fine di ottobre Riki Kanterewicz, vice presidente del Maccabi Mondiale, che come me ha fatto l’aliyà dall’Argentina, mi ha chiesto di prendere contatto con le squadre che partecipavano ai vari campionati israeliani prima del 7 ottobre. Conoscevo gran parte degli atleti, delle loro famiglie, nei giorni precedenti avevo ricevuto loro notizie: c’era chi era stato ucciso, chi rapito, chi ferito nessuna squadra era più quella di prima. Con il cuore a pezzi ho deciso tessuto una nuova tela.
È partita dai più giovani, per donare loro un sorriso, la forza di credere in un domani, la certezza di rivedere gli ostaggi.
Ho formato 2 squadre di pallavolo di ragazzi con meno di 18 anni. Conoscevo meglio le ragazze perché sono di Be’eri e di Nir Oz: 2 di loro sono state rapite e ritornate a casa dopo 52 e 54 giorni di cattività, non sono potute partire con noi. Abbiamo organizzato un raduno collegiale, dagli alberghi in cui stanno vivendo da sfollate, si sono trasferite nella zona di Tel Aviv per allenarsi insieme per tre settimane, per ritrovarsi sotto la rete della pallavolo insieme.
I militari di IDF che fanno parte delle squadre hanno ottenuto licenze speciali?
Sì. Sono tutti giovani che appartengono a squadre che militano nella seconda serie del campionato israeliano. Torneranno nelle loro unità al termine dei Giochi.
Chi sono Sharon Cohen e Haim Ben Hemo?
Sono due genitori encomiabili che accompagnano la squadra delle ragazze di pallavolo. Tra una partita e l’altra incontrano i membri delle altre delegazioni, sono i nostri testimoni dell’orrore. Spiegano il prima e il dopo. Tutti devono sapere cosa è accaduto e diventare gli ambasciatori della verità.
Come sarà il vostro ritorno in Israele?
Viviamo giorni molto molto difficili. Ognuno di noi tornerà al proprio nuovo quotidiano. Alla vita precaria in una stanza d’albergo.
Abbiamo l’incrollabile certezza di aver regalato agli atleti una pausa benefica, notti lontane dalle sirene, giorni senza l’incubo di scappare nei rifugi.
L’affetto di tutti i partecipanti a questi Giochi Pan Americani è straordinario ognuno di loro ci ha riservato una accoglienza meravigliosa. Siamo entrati nello stadio sentendo un popolo accanto a noi, abbiamo portato la nostra bandiera che è la bandiera di un popolo, abbiamo cantato tutti insieme l’Hatikvà in un abbraccio spontaneo e indimenticabile perché il nostro futuro è il futuro di ogni singolo ebreo in qualsiasi parte del mondo sia.
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