Al giorno 83 della guerra fra Israele e Hamas, il pericolo di un allargamento del conflitto, che dal 7 ottobre non fa dormire le cancellerie internazionali, torna in primo piano. I riflettori sono puntati sul Nord di Israele e sul Sud del Libano, zona dove da ottobre l’Idf e i miliziani di Hezbollah non hanno mai smesso di confrontarsi. Ma se dopo i primi giorni il rischio di un’escalation sembrava essersi trasformato in un pericoloso ma contenuto braccio di ferro, l’assassinio mirato di Sayyed Reza Mousavi - comandante delle Guardie rivoluzionarie iraniane - a Damasco a Natale ha cambiato le carte in tavola.
Si spiega così l’intensificarsi degli scontri, l’intercettazione di un drone da parte di Israele al confine Nord e l’allarme rosso che è scattato nelle cancellerie occidentali e nei quartieri generali delle Nazioni Unite: a frapporsi fra i due belligeranti c’è, in teoria, una forza internazionale di Caschi blu che dal 2006 conta circa 10mila uomini, attualmente sotto il comando spagnolo. Ma si tratta di osservatori con una possibilità di azione molto limitata: il rischio che si trasformino in ostaggi è stato reso evidente dagli incidenti delle ultime ore, con due blindati finiti nel mirino di gruppi di locali nel Sud del Libano (zona controllata da Hezbollah) e un militare ferito.
Nell’Unifil servono al momento anche 1256 militari italiani: e anche all’Italia erano rivolte le parole minacciose pronunciate durante una commemorazione dal Numero due di Hezbollah Naim Qassem: «È imperativo far fronte alla coalizione del male, rappresentata da America, Israele, Francia, Gran Bretagna, Italia, Germania e altri, con la coalizione del bene, rappresentata dalla resistenza in Palestina, Libano, nella regione e nei paesi onorevoli come Iran, Yemen, Iraq e altri», ha detto.
Dal lato israeliano del confine l’allerta al momento è massimo: «La situazione deve cambiare – ha detto ieri in una conferenza stampa Benny Gantz, l’ex capo di Stato maggiore ed ex leader dell’opposizione che ora siede nel gabinetto di guerra, portando spesso avanti posizionipiù moderate di quelle del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant – il tempo in attesa di una soluzione diplomatica è sta finendo. Se il mondo e il governo libanese non agiscono per fermare gli attacchi sui residenti del Nord e per tenere Hezbollah lontano dal confine, lo faranno le Forze armate israeliane».
L’infuocarsi del confine Nord è stato nei giorni scorsi al centro del colloquio a Washington fra Ron Dermer, braccio destro di Netanyahu e ministro degli Affari strategici, e Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa: così come lo è stato il tema del “dopo” ovvero cosa sarà di Gaza una volta finito l’attacco israeliano. Il ministero della Salute della Striscia (controllato da Hamas) ha fissato l’asticella delle vittime a 21.320. Cifra elevatissima che tuttavia non scuote, se non in minoranza, l’opinione pubblica israeliana: ieri l’esercito ha espresso rammarico per il “danno a persone non coinvolte” causato dall’attacco al campo profughi di al-Maghazi, dove vivono 33 mila persone: il 24 dicembre in un bombardamento sono morte 70 persone. Ma l’offensiva nella parte Sud e centrale di Gaza si è intensificata, mentre l’Onu rinnova l’allarme per la mancanza di cibo e acqua.
Il tema di cosa sarà della Striscia dopo l’attacco è stato ieri per la prima volta ufficialmente al centro della riunione del gabinetto di guerra israeliano: sulle scrivanie il piano per il cessate il fuoco proposto nei giorni scorsi dall’Egitto (e già in parte rifiutato da Hamas) ma anche – scrive ilJerusalem Post - una nuova proposta arrivata dal Qatar, che ha mediato la prima interruzione dei combattimenti a novembre. Cuore del documento, di cui non si hanno dettagli, è il rilascio degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas: 130 circa, fra cui 19 donne e due bambini.
Ieri il Kibbutz Nir Oz ha invece annunciato la morte di Judi Weinstein, cittadina israeliana ma anche americana e canadese, uccisa il 7 ottobre insieme al marito. I corpi sono nelle mani dei militanti a Gaza.