Riprendiamo da La Repubblica di oggi, 28/12/2023, a pag.25, con il titolo "Strategia dell’annientamento" il commento di Gianni Vernetti
Gianni Vernetti
Il male esiste e ha un volto
Il pogrom del 7 ottobre nel Sud di Israele con gli stupri seriali, le torture, le violenze indiscriminate contro i civili e il tragico bilancio di vittime è stato realizzato da Hamas con la leadership militare di Yahya Sinwar a Gaza e politica di Isma’il Haniyeh a Doha, ma è soltanto uno dei capitoli di un disegno più ampio ideato, progettato, finanziato e armato a Teheran.
Come ama ripetere la guida suprema Ali Khamenei, il regime degli ayatollah ha un progetto chiaro: “estirpare il cancro sionista”, eliminando per sempre la presenza ebraica dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. E per raggiungere questo obiettivo l’Iran ha destinato enormi mezzi economici e militari, che hanno anche piegato in questi anni l’economia del Paese.
Come Hamas ha usato i fondi delle Nazioni Unite, dell’Ue e della cooperazione allo sviluppo di decine di Paesi, Italia inclusa, per costruire tunnel, depositi militari e far vivere nel benessere una piccola setta di combattenti, grazie a una dittatura militare islamista che ha sequestrato in questi 18 anni la Striscia di Gaza, così il regime di Teheran ha consolidato la casta guerriera dei Guardiani della Rivoluzione con budget illimitato, gestione di un’economia parallela, a cominciare dai settori chiave della raffinazione, intrusione violenta nella vita privata dei cittadini con l’imposizione di regole anacronistiche implementate dalla Polizia della Morale e della Virtù e dalle milizie paramilitari dei Basij.
Le rivolte del “pane” del 2018 con le piazze che chiedevano lo “stop dei fondi per Gaza, Libano e Yemen” e le rivolte delle donne contro l’imposizione del velo da parte del regime, hanno colto due elementi fondanti la teocrazia iraniana: l’esportazione del proprio modello islamico-dittatoriale in tutto il Medio Oriente e l’obiettivo di silenziare con la forza ogni pulsione verso la normalità, la modernità e l’apertura all’Occidente.
L’Iran è il mandante dell’attacco terroristico del 7 ottobre e senza il sostegno politico, finanziario e militare di Teheran Hamas non esisterebbe. Ma la sfida non si è fermata a Gaza.
Pochi giorni fa il ministro della Difesa di Israele Yoav Gallant ha dichiarato di fronte alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset che Israele è stata «attaccata in sette differenti teatri e si è finora impegnata a rispondere su sei di questi», evocando in qualche modo la guerra dei Sei giorni del 1967 e quella dello Yom Kippur del 1973, quando Israele venne attaccata contemporaneamente da una coalizione di Paesi arabi guidati da Egitto, Siria e Giordania. Oggi la sfida è su più teatri regionali, ma il centro di comando è unico, e si trova a Teheran. La sfida dell’Iran è chiara e si fonda su una strategia fondata su quattro assi: la Mezzaluna Sciita, il Controllo degli Stretti, il programma nucleare e la competizione con le monarchie sunnite del Golfo. Il primo asse si svolge lungo l’arco (la “mezzaluna”) che collega Teheran con Beirut, dove l’Iran ha finanziato e armato una pluralità diproxies per ottenere unacontiguità territoriale e minacciare direttamente la frontiera di Israele: si tratta di Hezbollah nel Sud del Libano, uno “stato nello stato” dotato di 160.000 missili e di milizie inquadrate in un esercito che non risponde a Beirut ma ai Guardiani della Rivoluzione a Teheran.
Israele ha evacuato decine di migliaia di cittadini dall’Alta Galilea in attesa di un possibile conflitto e punta a far applicare la disattesa risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza, che prevede un arretramento a Nord del fiume Litani di ogni presenza militare. In Siria, il regime di Assad è stato salvato da Mosca e Teheran, e l’esercito regolare, insieme alle milizie di Hezbollah, minaccia Israele dalle alture del Golan, attacca al Nord i Curdi, laici e sunniti, e le forze speciali americane stazionate nel Rojava. Il quadro è completato dalle milizie sciite irachene di Hashd al-Shaabi in Iraq che hanno attaccato in questi giorni le basi Usa a Erbil e Hilla, impegnate nel contrasto di Isis. Il secondo asse della sfida di Teheran a Israele e all’Occidente è rappresentato dal tentativo di controllare gli Stretti di Hormuz e di Bab el Mandab. Ed è proprio nella “porta del Mar Rosso”, attraversata ogni giorno da una parte rilevante del commercio globale, che l’Iran sostiene le milizie di Ansar-Allah, i cosiddetti Houthi, la minoranza sciita dello Yemen, che hanno lanciato missili balistici verso la città costiera di Elat e attaccato navi cargo di nazionalità diverse. È in corso di formazione una coalizione marittima internazionale per debellare le azioni degli Houthi che rappresentano una minaccia alla stabilità globale: l’Italia con la sua base militare a Gibuti sarà coinvolta direttamente in questo sforzo militare, anche grazie all’esperienza maturata nelle missioni europee contro la pirateria. Le milizie Houthi sono l’ultimo tassello di quell’Asse della Resistenza che fa capo a Teheran e che dopo l’attacco del 7 ottobre è diventato uno degli attori del conflitto allargato di cui parlava Gallant alla Knesset. Il terzo asse è rappresentato del programma nucleare dell’Iran che, secondo un’indiscrezione del Wall Street Journal,ha triplicato la produzione di arricchimento dell’uranio, congiuntamente allo sviluppo del proprio programma di missili balistici a lunga gittata.
Infine, il quarto asse è rappresentato dalla competizione fra l’Iran e le monarchie sunnite del Golfo. Non è un mistero che l’attacco del 7 ottobre avesse un duplice obiettivo: colpire Israele e far fallire i negoziati in corso per estendere gli Accordi di Abramo all’Arabia Saudita. La possibilità che il custode dei luoghi santi di Mecca e Medina giungesse a un accordo di pace con Israele, dopo Emirati, Marocco e Bahrein, avrebbe rappresentato una svolta per tutto il mondo islamico, capovolgendo radicalmente la narrazione dell’impossibilità della convivenza fra ebrei e musulmani in Medio Oriente e offrendo un contesto innovativo di dialogo politico per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese.
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