Roma. “L’esercito fiuta la fine e cerca di ottenere risultati prima che venga dichiarato un cessate il fuoco nella prima metà di gennaio. E’ probabile che gran parte dei riservisti ritorneranno a casa. L’esercito sarà impegnato a organizzare una fascia di sicurezza di un chilometro”. Il più insider dei giornalisti israeliani, Nahum Barnea, ieri su Yedioth Ahronoth esprimeva un po’ dello scetticismo sul fronte militare che avanza a rilento.
E mentre Israele sembra aprire a una “Autorità palestinese riformata” per il dopo Hamas, le due condizioni per la vittoria israeliana ancora non si vedono: la liberazione dei 130-140 ostaggi rimasti e l’eliminazione di Yahya Sinwar e Mohammed Deif, che si è scoperto non era affatto disabile. Finora solo la trattativa con il Qatar ha garantito la liberazione degli ostaggi. A due mesi dall’inizio dell’operazione di terra, Israele non ha ancora il pieno controllo del nord della Striscia. Solo ieri, Tsahal ha conquistato Shejaiya a est di Gaza City. Nel centro della Striscia, le operazioni sono appena iniziate con l’ordine ieri a Bureij di evacuare a sud. Intanto sono 471 i soldati israeliani uccisi dal 7 ottobre, di cui 139 nell’invasione di terra (più della prima e della seconda guerra del Libano messe assieme).
E mentre il segretario dell’Onu, António Guterres, usciva “sconvolto” dalla visione del video di 47 minuti sulle atrocità di Hamas, la battaglia si spostava dentro al Consiglio di sicurezza, dove gli Stati Uniti avrebbero ottenuto i cambiamenti desiderati su una risoluzione degli Emirati, che ieri è stata approvata, con l’astensione americana, e sostiene una pausa nei combattimenti per consentire l’ingresso degli aiuti, senza richiedere il cessate il fuoco. Sia Washington sia Gerusalemme si oppongono al cessate il fuoco che andrebbe solo a vantaggio di Hamas, che parla di 20 mila palestinesi uccisi, senza distinguere fra terroristi e civili. Gli Emirati, l’unico paese arabo nel Consiglio, avevano chiesto la “cessazione delle ostilità”, rielaborata a favore di “pause e corridoi umanitari estesi”. La risoluzione chiede di “creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità”. In pratica gli Stati Uniti danno a Israele un altro po’ di tempo. Un mese, forse. La fine della guerra passerà, oltre che da Khan Younis, anche dai bizantinismi dell’Onu.