Putin, Iran, Hamas l’internazionale del peggio Commento di Bernard-Henri Lévy
Testata: La Repubblica Data: 23 dicembre 2023 Pagina: 29 Autore: Bernard-Henri Lévy Titolo: «L’Internazionale del peggio»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/12/2023, a pag. 29, l'analisi dal titolo "L’Internazionale del peggio" di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
A partire dall’invasione del 24 febbraio 2022 ho trascorso gran parte del mio tempo in Ucraina - e da quei miei soggiorni ho tratto tre documentari per il cinema. Inoltre, negli ultimi cinquant’anni ho coperto la maggior parte delle guerre di Israele, dove sono tornato nelle ore successive all’attacco pogromista del sette ottobre. I due Paesi vivono, naturalmente, circostanze diverse. Mentre la risposta israeliana a Gaza ha causato molte vittime civili, la reazione ucraina non ha praticamente interessato il territorio della Russia, suo nemico. Stando alle sole immagini, è semmai il paragone inverso che viene alla mente: Netanyahu colpisce così come Putin colpisce, e le macerie di Gaza non appaiono diverse da quelle di Mariupol. Ucraina e Israele hanno in comune il fatto di essere stati entrambi aggrediti, mentre i loro aggressori condividono una strategia identica, che consiste nel colpire deliberatamente dei bersagli civili. Sono uniti da un nesso, che si chiama Iran – il Paese che fornisce a Putin i droni Shahed (uno dei quali ha schivato, di fronte ai miei stessi occhi, l’auto di Antem Bogomolov, generale ucraino in capo nella zona di Bakhmut) e che mette a disposizione di Hamas i propri campi di addestramento in Libano, i propri istruttori e, forse, le proprie strategie. E non è tutto: i due aggressori, Putin e Hamas, sono anche collegati direttamente tra di loro, poiché Mosca è l’unica grande capitale in cui i terroristi palestinesi sono stati ricevuti prima (il 10 settembre) e dopo (il 26 ottobre) l’attacco del 7 ottobre. A tutto questo si aggiunga il preoccupante gioco di Erdogan, che moltiplica le sue manifestazioni di amicizia verso Putin e tratta gli assassini di Hamas con fare amichevole, alla stregua di “liberatori”. Si aggiunga, inoltre, l’atteggiamento della Cina, che da un lato si rifiuta di condannare il pogrom e dall’altro non perde occasione per riaffermare la propria “fiducia” verso la Russia di Putin. A coloro che prendono sul serio quell’arte di vedere il mondo “come se fosse un’unica città” che gli antichi greci chiamavano “geopolitica”, la situazione appare inequivocabile: da un lato, in Ucraina e in Israele, troviamo delle democrazie imperfette (ma pur sempre democrazie), nate da una guerra di decolonizzazione contro l’impero britannico e contro l’impero sovietico, e successivamente russo. Dall’altro troviamo invece la grande alleanza che unisce contro i democratici interni ed esterni la Russia a vocazione eurasiatica, l’Internazionale islamista (che si estende dai talebani al Qatar, passando anche da Hamas), la Turchia neo-ottomana, un Iran improvvisamente nostalgico dello splendore perduto e una Cina neo-imperiale che tiene i punti, osserva la capacità degliamericani di soccorrere i propri alleati in Europa e nel vicino Oriente e aspetta il momento buono per aprire (o meno) un terzo fronte a Taiwan. Non si tratta di un conflitto tra civiltà, ma di una guerra politico-ideologica che vede schierati su sponde opposte del mondo intero (proprio così: del mondo intero, che comprende tanto il Sud Globale che l’Occidente) i fautori e i nemici della libertà e del diritto. Del resto, i primi bersagli di questo inizio di guerra mondializzata – Israele e Ucraina - non sono poi inappropriati: ho ripreso alcuni soldati ucraini che hanno come modello Tsahal, e ho filmato dei soldati di Tsahal che combattono nelle fila dell’esercito ucraino. Ho trascorso qualche tempo nelle comunità ebree di Odessa e Dnipropetrosk, nelle quali si prega con una sola voce per la vittoria dell’Ucraina e di Israele; e conosco abbastanza Israele da aver visto la sua società civile schierarsi quasi da subito, e a spada tratta, a favore dell’Ucraina invasa. So che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tardato a prendere atto di questa comunione di destini, ma so anche che il presidente dello Stato, Isaac Herzog, mi ha detto personalmente, sin dalle prime settimane del conflitto, che il suo Paese è naturalmente a fianco dell’unica nazione post sovietica che dopo aver fatto i conti con il proprio passato antisemita si è spinta oltre il lutto e la memoria sino ad eleggere un presidente - Volodymir Zelensky – che non ha mai fatto mistero del proprio giudaismo. Nessuno, inoltre, ignora il fatto che questo eroico presidente, discendente da una famiglia di sopravvissuti della Shoah, che di fronte all’invasore del proprio Paese si è levato come Giuda Maccabeo o come David contro il filisteo Golia, non ha esitato a condannare l’aggressione di Hamas e ad affermare il proprio sostegno allo Stato ebraico colpito al cuore, lanciando l’idea di una visita in Israele. Il terrorismo è una famiglia. Quando si deportano i bambini di Mariupol o si prendono in ostaggio quelli del kibbutz di Kfar Aza o Beeri, ad agire è la stessa barbarie. E di fronte a questa Internazionale del peggio, si impone quella che il dissidente ceco Jan Patocka chiamava la “solidarietà degli scossi”. Israele ed Ucraina, un’unica lotta. È su questi due fronti che si deciderà l’assetto del nuovo Grande Gioco che stabilirà, su scala mondiale, l’espansione o il declino dei valori liberali. E sarebbe pericoloso cedere alla tentazione di fissare un ordine di priorità tra le emergenze, di differenziare tra le sciagure, di tagliare gli aiuti all’Ucraina per favorire Israele, o viceversa.(Traduzione di Marzia Porta)
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