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Il Giornale Rassegna Stampa
21.12.2023 Colloqui seri sulla tregua. Ma l’Onu non trova l’intesa
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 21 dicembre 2023
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Colloqui seri sulla tregua. Ma l' ONU non trova l' Intesa»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 21/12/2023 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Colloqui seri sulla tregua. Ma l' ONU non trova l' Intesa".

Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein


Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU.


La guerra di Gaza è in un momento delicato: a Shejaia e a Jabalia, al nord, il lavoro dell’esercito sembra avere concluso una fase; qualche battaglione di paracadutisti esce per qualche giorno, si misura lo sforzo militare e economico di tenere al fronte 250mila riservisti, e ogni mattina si mescola al dolore con cui si devono annunciare i nomi di due, tre, cinque soldati che hanno perduto la vita nella notte. Oltre alla battaglia, bruciano gli ostaggi: due video di Hamas, hanno mostrato la desolazione, lo stato di bisogno di cinque rapiti che supplicano di salvarli. La tragedia dei tre ostaggi uccisi per sbaglio dai soldati è ancora più crudele: adesso si è scoperto che i soldati, cinque giorni prima avevano ucciso i terroristi a guardia degli ostaggi, poi costretti a girovagare disperati alla ricerca di aiuto, finché l’esercito non li ha scambiati per uomini di Hamas. È troppo doloroso: Israele agisce per riportare i suoi a casa. Dopo una riunione delle famiglie con Netanyahu, Israele è apparsa decisa a fare le sue proposte, mentre Hamas aspettava, puntando sull’effetto perversamente manipolativo delle sue mosse. Ma il suo teatro proviene da sotto le rovine, Sinwar ha bisogno di una tregua: e così, mentre Israele segnala disponibilità, stavolta si è mosso Ismail Haniyeh dal Qatar, dove sta comodo e protetto. È andato fino al Cairo per una nuova trattativa: sarebbe uno scambio fra ostaggi “umanitari” e grossi prigionieri di sicurezza, e una tregua accompagnerebbe dallo scambio. Sinwar sa che se riesce a pilotare dentro il West Bank tre o quattro autobus di prigionieri di sicurezza, non le donne e i giovani di poca fama ottenuti fino ad ora, diventa il re del terrorismo palestinese e della jihad internazionale. Secondo la sua perversa visione, questo lo consegna alla schiera dei martiri di Allah, esalta la santità della sua guerra, rimotiva chi abbia dubbi. Inoltre, se ottiene una tregua lunga, può rilanciare il lavoro nelle gallerie (al sud, perché al nord non sono più tante) e cercare di conservare una presa futura sulla Striscia. Israele sa benissimo che la posta è alta, chi dice “tregua” e “pace” e pensa alla lunga durata, non capisce, non parla di Hamas, le sue aspirazioni sono diverse. Quindi, tutto è incerto, salvo il fatto che gli americani tifano per una pronta risoluzione, e che mentre riaffermano il loro sostegno a Israele, pure disegnano, come fa un documento del Dipartimento di Stato, una prospettiva in cui Israele passi a una fase “meno intensa” in cui si immagina la partecipazione a un futuro governo della Striscia da parte di Palestinesi anti-Hamas. Un’ipotesi che Israele mentre accetta l’idea che le fasi sono in evoluzione, non considera realistico: nell’Autonomia Palestinese l’appoggio a Hamas supera l’80 per cento, e gli attacchi terroristici dal 7 di ottobre sono stati circa 1300. Ma lo scambio dei prigionieri è imperativo, anche se Netanyahu ha sentito ieri il bisogno di sgombrare il campo: “Combatteremo fino all’ultimo” ha detto “fino alla vittoria, Sinwar ha solo la scelta fra la resa e la morte, i nostri tre fini sono la cancellazione di Hamas, la liberazione dei rapiti, la cancellazione di qualsiasi pericolo proveniente da Gaza”. E parallelamente, si tratta: stavolta si tratterebbe di 40 ostaggi, tenendo conto di dove Hamas ruppe gli accordi la volta scorsa, ovvero davanti alla promessa di riconsegnare le prigioniere; insieme a loro, si parla del ritorno di persone anziane, malati e feriti. In cambio forse sarà una settimana di tregua; i tempi sarebbero aumentabili nel caso si possa allargare lo scambio. Quello che vuole fare Sinwar, lo sanno soltanto Haniyeh e i suoi amici, prima di tutto il Qatar e l’Iran; l’Egitto è più importante del solito in quanto ospite. È una trattativa che al solito implica un grande rischio: che l’esercito si scompigli, e la gente perda la forza e l’unità che l’ha guidata dal 7 di ottobre. Il governo intanto dice che la trattativa non si farà con le mani in mano.

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