È un dovere morale perché, ha ripetuto ieri la Casa Bianca, «il giusto numero di civili uccisi in un conflitto è zero». Ma è anche un imperativo strategico, perché da come verrà condotta l’eliminazione di Hamas da Gaza dipenderanno il consenso globale sulla crisi, e la definizione di un dopo che riporti la stabilità nella regione. Il ministro della Difesa Gallant ha risposto dando un segnale diverso rispetto al passato: «Presto saremo in grado di distinguere tra le diverse aree di Gaza. In quelle dove abbiamo raggiungo i nostri obiettivi potremo iniziare una transizione graduale verso la nuova fase e cominciare a far tornare la popolazione locale ». Austin, dopo aver visto Netanyahu, ha stabilito alcuni punti fermi. Primo: «Il sostegno degli Stati Uniti per Israele è incrollabile e proseguirà. Continueremo a fornire l’equipaggiamento necessario, incluse munizioni, veicoli tattici e sistemi di difesa aerea. E appoggeremo gli sforzo di liberare gli ostaggi». Secondo: «Occorre occuparsi delle necessità più urgenti. Dobbiamo fare in modo che quantità maggiori di aiuti umanitari siano consegnate ai 2 milioni di sfollati a Gaza», ad esempio grazie a misure come l’apertura del valico israeliano di Kerem Shalom. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ieri sera aveva in programma di discutere una risoluzione scritta dagli Emirati Arabi per facilitare l’assistenza, ma era possibile che slittasse perché gli Usa obiettano alla presenzanel testo della richiesta per il cessate il fuoco.
Terzo punto enunciato da Austin: «Questa è un’operazione israeliana e io non sono qui per dettare i tempi o i termini». Però dietro le quinte Washington si aspetta nel giro di tre settimane un cambio di strategia, dai bombardamenti diffusi che colpiscono anche i civili a operazioni mirate contro i terroristi e la loro leadership: «Hamas usa i civili come scudi, colloca i quartier generali e i siti logistici vicino a ospedali, moschee, chiese. Ciò aumenta la complessità e costituisce un ulteriore onere per le forze che porteranno avanti questa lotta. Richiede una forza molto professionale, che deve imparare ogni passo del percorso». In altre parole, reparti speciali capaci di entrare e uscire rapidamente dalla Striscia per condurre raid mirati, con l’aiuto dell’intelligence Usa.
C’è poi un quarto punto: se questa strategia funzionerà, aiuterà anche a preparare il futuro, che secondo Washington richiede un ruolo dell’Autorità nazionale Palestinese riformata per il governo e la sicurezza di Gaza, e la ripresa dei negoziati di pace, anche se Netanyahu finora si è opposto ad entrambe le cose: «Gli Usa continuano a credere nella soluzione dei due Stati».
Poco dopo, durante un briefing con i giornalisti, il portavoce della Casa Bianca Kirby ha confermato la linea: «Il premier Netanyahu ha il diritto di parlare per se stesso, e lo fa. Per quanto ci riguarda, la nostra posizione non è cambiata». Nelle stesse ore a Varsavia il capo della Cia Burns ha visto il collega del Mossad David Barnea e premier qatarino Mohammed Al Thani. L’obiettivo non era solo riprendere la trattativa per liberare gli ostaggi, ma allargarla a categorie finora escluse, come uomini e militari. Un passo fondamentale per chiudere la guerra, diventato ancora più urgente dopo l’incidente dei tre prigionieri uccisi dagli israeliani. Kirby però ha invitato alla prudenza: «Stiamo lavorando con tutte le forze per una soluzione, ma l’accordo non è imminente».