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Il Foglio Rassegna Stampa
17.12.2023 Sinwar, anatomia di un mostro
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 17 dicembre 2023
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Il nuovo saladino. Vent’anni di carcere, ha ucciso con le sue mani, cita Kafka, parla ebraico e ha studiato la psiche d’Israele.»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 17/12/2023, a pag. 2 con il titolo "Il nuovo saladino. Vent’anni di carcere, ha ucciso con le sue mani, cita Kafka, parla ebraico e ha studiato la psiche d’Israele. Sinwar, il capo di Hamas", il commento di Giulio Meotti
Giulio Meotti - Il Foglio Quotidiano | LinkedIn
Giulio Meotti
 

Yahya Sinwar

E’la persona più crudele che abbia mai conosciuto, pensa tutto il tempo a come uccidere gli ebrei, ha occhi da assassino, non è uno psicopatico, ma un uomo molto religioso che conosce tutto il Corano e non lascerebbe mai Gaza se non da morto. Durante gli interrogatori mi disse che la cosa migliore era uccidere ebrei con il machete e il 7 ottobre hanno usato i coltelli. Gli chiesi: ‘Hai 28 anni, perché non ti fai una famiglia?’. Lui mi rispose: ‘Hamas è mia moglie, Hamas è mio figlio’. Penso di essere arrivato a conoscerlo meglio di sua madre dopo 180 ore di interrogatorio”.

Così Micha Koubi, il capo degli interrogatori nelle carceri israeliane, sul leader di Hamas Yahya Sinwar. Dopo il rilascio, Sinwar si affaccia dal finestrino di un autobus con indosso la fascia verde di Hamas, segno della sua intenzione di tornare immediatamente a combattere. Da quando è uscito di prigione, Sinwar si è sposato e ora ha nove figli. “Quando gli è stato chiesto perché non dà un po’ di tregua alla moglie, Sinwar ha risposto: ‘Tre saranno uccisi, tre saranno imprigionati, tre andranno avanti, quindi me ne servono di più’”, racconta Gershon Baskin, l’israeliano che ha fatto da mediatore nel rilascio del caporale Gilad Shalit in cambio di mille terroristi palestinesi.

Cinque anni fa, il leader di Hamas sembrava un altro. Sinwar mandò un messaggio scritto in ebraico agli intermediari egiziani per farlo avere al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Assumetevi un “rischio calcolato con un cessate il fuoco”, scrisse Sinwar.

Sulla scia del 7 ottobre, l’establishment di sicurezza israeliano sta ripensando a quel biglietto sotto una nuova luce: Sinwar voleva creare l’illusione che Hamas avesse rinunciato alla Jihad per concentrarsi sulla governance. “Sinwar ha letto molto bene la coscienza israeliana”, ha detto Michael Milshtein, ex capo della ricerca palestinese per l’intelligence militare. “Voleva che Israele credesse che Hamas si stesse concentrando sulla stabilità a Gaza, promuovendo gli affari civili. Ha piantato questa idea sbagliata nelle menti degli israeliani”. Ora si presume che Sinwar si nasconda nel profondo di un tunnel, “come un piccolo Hitler in un bunker”, ha detto Netanyahu.

Sinwar e gli israeliani si osservano e si analizzano a vicenda da decenni. Nato a Khan Younis, nel sud di Gaza, Sinwar ha fondato l’ala militare di Hamas alla fine degli anni 80 mentre era in corso la prima Intifada palestinese. Da ragazzino ha giocato a calcio con Mohammed Dahlan, il leader di Fatah che ora vive in esilio negli Emirati Arabi. In seguito si assunse il compito di sradicare i collaboratori palestinesi di Israele e fu responsabile dell’uccisione di dodici di loro con le sue stesse mani. A differenza di Haniyeh, Meshaal, Yassin e Rantisi, Sinwar non si è limitato a ordinare stragi: si è sporcato le mani. Per questo è considerato un eroe dalla arab street.

Le autorità militari israeliane, che all’epoca avevano il pieno controllo di Gaza, nel 1989 lo condannarono all’ergastolo. Dietro le sbarre, Sinwar lavora sodo per acquisire una profonda conoscenza della società ebraica e israeliana, leggendo i giornali e i libri del nemico. Racconta Koubi: “Ho conosciuto un uomo molto intelligente che credeva davvero in tutto ciò che faceva”. Helal Jaradat, condannato per aver ucciso soldati israeliani con un coltello e che ha trascorso anni in prigione con Sinwar, racconta: “Voleva sempre sapere cosa stava succedendo in Israele. Seguiva tutti gli sviluppi militari e politici”. “Essere un leader in prigione gli ha dato esperienza nei negoziati e nel dialogo, ha capito la mentalità del nemico e come influenzarlo”, ha detto Anwar Yassine, un libanese che ha trascorso 17 anni nelle carceri israeliane, la maggior parte del tempo con Sinwar.

E mentre era in prigione, Sinwar ha continuato a far uccidere i “collaborazionisti”. Betty Lahat all’epoca lavorava nel carcere di Sinwar: “Continuava a parlare del giorno in cui sarebbe stato rilasciato. Gli ho detto che non sarebbe mai uscito. Ha detto che c’è una data: Allah lo sa”. C’era una data. Il 18 ottobre 2011, quando Israele scambiò mille terroristi palestinesi con un soldato israeliano, Shalit. Tra quelli rilasciati c’è anche Sinwar – del resto è l’uomo che ha stilato la lista di chi doveva uscire di prigione. Per avere indietro Shalit, Israele condonò 924 ergastoli. C’erano terroristi invecchiati come Nail Barghouti, in carcere dal 1978 per aver partecipato a un attacco che costò la vita a un soldato israeliano, e Abed al Hadi Ganaim, che nel 1989 scaraventò un autobus israeliano da un dirupo, uccidendo sedici persone. E poi gli autori di alcuni degli attentati più sanguinosi: Walid Anajas, che uccise una dozzina di israeliani al Café Moment di Gerusalemme; Abd al Aziz Salah, che fece a pezzi due riservisti israeliani che avevano preso la strada sbagliata a Ramallah (sue le mani sporche di sangue mostrate da una finestra alle tv di tutto il mondo); Nasser Yataima, condannato per l’eccidio al Park Hotel di Netanya; Musab Hashlemon, sedici ergastoli per aver spedito due kamikaze a Beersheba; Ibrahim Jundiya, dodici ergastoli per l’attacco alla centrale degli autobus a Gerusalemme; Fadi Muhammad al Jabaa, diciotto ergastoli per la strage in un autobus di Haifa nel 2003; Husam Badran, che fece strage di venti ragazzini russi al Dolphinarium di Tel Aviv e quattordici che pranzavano al ristorante Matza di Haifa. Poiché aveva ucciso altri palestinesi e non israeliani, e non era più giovane, i funzionari israeliani non si opposero alla sua inclusione nella lista.

In una conferenza del 2021 a Gaza intitolata “La promessa della fine dei giorni”, Sinwar ha spiegato cosa avrebbe voluto fare con gli esperti israeliani una volta sconfitto il paese: “Tenete per un po’ gli scienziati e gli esperti ebrei nei campi della medicina, dell’ingegneria, della tecnologia, dell’industria civile e militare e non lasciateli andare via con la loro conoscenza ed esperienza”. Sinwar aveva persino lavorato tramite intermediari per persuadere Israele delle buone intenzioni del suo gruppo. E aveva negoziato permessi di lavoro israeliani per 18 mila abitanti di Gaza, consentendo loro di lavorare a giornata in Israele. Sono stati alcuni di questi lavoratori a disegnare mappe delle comunità e a stilare elenchi di famiglie locali per orientare i militanti di Hamas prima del 7 ottobre.

Fu nel 2018 che Israele avrebbe dovuto capire che Sinwar non era cambiato, quando disse a un raduno a Gaza: “Abbatteremo il confine e strapperemo i loro cuori” (degli israeliani). Ma intanto rilasciava un’intervista a un giornale israeliano, Yedioth Ahronoth: “Israele, sei più forte di noi con le armi in un modo che non è nemmeno paragonabile, ma non vincerai mai e poi mai”. Poi, il “macellaio di Khan Younis” fece sfoggio delle sue letture in carcere: “Una volta c’erano ebrei come Freud, Kafka, Einstein. Erano famosi per la matematica, la filosofia. Oggi per le esecuzioni senza processo”.

Come Sinwar, Barghouti parla correntemente l’ebraico dopo due decenni nelle carceri israeliane. E come Sinwar, anche la famiglia di Barghouti è in guerra con Israele: Abdallah Barghouti era il leader militare di Hamas che fabbricava le cinture esplosive indossate dai kamikaze (sconta una condanna per quaranta omicidi); Ahmed Barghouti era uno dei capi militari di Fatah, mentre Omar Barghouti è il fondatore del Bds, il movimento per il boicottaggio di Israele.

Ma Sinwar non gode di buona stampa come Marwan Barghouti, che sta scontando cinque ergastoli, con l’aggravante per altri quarant’anni di carcere, colpevole di dieci atti di terrorismo, tra cui l’attacco al Sea Food Market di Tel Aviv, l’uccisione di tre israeliani a Givat Ze’ev e l’attacco di Hadera, in cui morirono sei israeliani. Al checkpoint di Qalandiya, fra Gerusalemme e Ramallah, il volto di Barghouti in manette svetta in un graffito. La sua grande foto è anche sui leoni di pietra in Piazza Al Manara a Ramallah. Il Guardian ha ospitato un suo editoriale di sostegno alla Terza Intifada. La stampa occidentale lo paragona sempre a Mandela. Sergio Romano lo ha proposto per sostituire Abu Mazen. La città francese di Valenton gli ha intitolato addirittura una strada e questa estate una piazza in suo nome, e il comune socialista di Coulounieix-Chamiers ha votato a larga maggioranza la proposta di nominare il piazzale del Castello di Izards in onore del terrorista palestinese. Gli è stata concessa la cittadinanza onoraria da venti città francesi. Una foto di Barghouti è stata esposta al municipio di Stains di fronte a una grande folla, compresi dipendenti del municipio, parlamentari e sindaci francesi, accanto alla bandiera francese e al motto “Liberté, égalité, fraternité”.

La famiglia di Sinwar viene da Majdal, come gli arabi chiamano ancora Ashkelon, fondata dai fenici, abitata dai filistei e presa dagli arabi, conquistata dai crociati nel 1102 prima di cadere nelle mani del Saladino. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Onu aveva assegnato Majdal al futuro stato palestinese. Quando arrivarono gli israeliani, il grosso degli abitanti fuggì. Oggi ha più di centomila abitanti ed è diventata un bersaglio di Sinwar.

Sette dei terroristi che sono stati rilasciati per Shalit sono i principali autori del terrorismo contro Israele. “’accordo Shalit ha creato un upgrade dell’intera organizzazione nel processo decisionale, cose che ai tempi di Ismail Haniyeh erano meno possibili perché lui non veniva dalla trincea ma dall’ufficio politico”, ha detto Milstein. Sinwar, Tawfik Abu Naim e Vahi Moshtaha hanno condiviso una cella insieme in una prigione israeliana. Uno dei rapitori di Shalit era suo fratello, Muhammad Sinwar, oggi comandante di Hamas. Fin dall’inizio dei negoziati, Muhammad Sinwar ha legato il rilascio di Shalit alla condizione che suo fratello Yahya fosse incluso nella lista. Sinwar è anche l’uomo dietro la campagna della “Marcia del Ritorno”, si destreggia tra la capacità di riportare la calma a Gaza e il metodo dell’escalation graduale nel tentativo di esaurire Israele. Come Nasrallah, Sinwar ha studiato la società israeliana e i suoi punti deboli, ma a differenza di Nasrallah parla fluentemente ebraico.

Inizialmente Sinwar si rifiutò di riconoscere l’autorità di Betty Lahat o di parlare con lei, una donna. “Quando Sinwar è stato portato nel mio ufficio per la prima volta, mi ha detto in arabo: ‘Non è accettabile che mi sieda nella stanza con te’. Allora gli ho risposto in arabo: ‘Non sederti con me, mi siederò io con te’”. Lahat racconta una persona molto sospettosa. “Ha avuto una prima cerchia di prigionieri che lo circondavano e li ha messi alla prova decine di volte prima di fidarsi di loro. E’ crudele. L’immagine del ‘macellaio di Khan Yunis’ gli si addice molto bene. Anche in prigione mandava i prigionieri a fare del male a coloro che non gli piacevano, ma lui stesso non si sporcava mai le mani”. Sinwar istituì comitati nella prigione il cui compito era testare la credibilità dei prigionieri, li mandava a pugnalare le guardie e ad agitare il carcere, ma sempre da dietro le quinte”. In prigione, ricorda Lahat, Sinwar utilizzò il tempo anche per acquisire un’istruzione. “Si tratta di una persona molto intelligente che ha investito nel suo sviluppo intellettuale e in una profonda comprensione della società israeliana. Ha nominato squadre nella prigione che ascoltavano tutte le stazioni radiofoniche e televisive israeliane e seguivano i politici. Ascoltavano analisi politiche e interpretazioni politiche. Quando abbiamo perquisito la sua cella, abbiamo trovato prezioso materiale di intelligence”.

Quando Sinwar fu imprigionato spiegò a un funzionario israeliano una teoria oggi centrale nella sua guerra. Sinwar disse che quella che Israele considera la sua forza – cioè che la maggior parte degli israeliani presta servizio nell’esercito e che i soldati hanno uno status speciale nella società – è una debolezza che può essere sfruttata. L’idea si è rivelata esatta nel 2011, quando Sinwar era uno dei 1.027 prigionieri palestinesi liberati per un solo soldato israeliano. Sinwar ha messo in pratica la stessa idea quando ha preso in ostaggio gli israeliani il 7 ottobre.

Nel 1988, durante un interrogatorio, Sinwar ha spiegato di aver arrestato un sospetto collaborazionista palestinese con Israele mentre l’uomo era a letto con sua moglie. “Dopo averlo strangolato, l’ho avvolto in un sudario bianco e ho chiuso la tomba. Ero sicuro che Ramsi sapesse di meritare di morire”. Un alto comandante di Hamas, Mahmoud Eshtewi, è stato torturato prima di essere ucciso per omosessualità. Sinwar all’epoca era ministro della Difesa di Hamas. Si ritiene che l’ordine di morte di Eshtewi sia venuto da lui.

Koubi, ex direttore del dipartimento investigativo dell’agenzia di sicurezza israeliana Shin Bet che ha interrogato personalmente Sinwar, ha ricordato la confessione che lo ha colpito di più. Sinwar ha raccontato di aver costretto un uomo a seppellire vivo suo fratello perché sospettato di lavorare per Israele. “I suoi occhi erano pieni di felicità quando ci ha raccontato questa storia”.

Ma Sinwar potrebbe aver studiato male la psiche d’Israele, pensando che non sarebbe mai entrata via terra a Gaza per non pagare quel prezzo troppo alto come nel caso di Shalit. Sinwar agli amici diceva che la sua vita sarebbe finita violentemente, ma che non aveva paura perché nella morte sarà uno shaheed, un martire. Prima però, diceva, “ci sono cose che voglio realizzare sulla terra”. Non finirà i suoi giorni a Majdal, ma sotto terra o in carcere. Gli sopravviverà la ferocia antisemita che il mondo ha visto una mattina di Simhat Torah. Un sondaggio dice che il 70 per cento dei palestinesi sostiene il pogrom di Sinwar. Forse pensano che, se gli israeliani hanno gli orologi, loro hanno il tempo. E che chi ama la morte è più forte di chi ama la vita. Ma con Israele si sbagliano. Per dirla con il capo del servizio segreto interno israeliano Ronen Bar al segretario generale dell’Onu, “siamo lo strato protettivo tra coloro che piangono la morte e che coloro che la adorano”.

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