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Il Giornale Rassegna Stampa
16.12.2023 Le speranze vane di una pace con Hamas
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 16 dicembre 2023
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Le speranze vane di una pace con Hamas»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 16/12/2023 il commento di Fiamma Nirenstein con il titolo: "Le speranze vane di una pace con Hamas".

Fiamma Nirenstein
Fiamma Nirenstein
Defense Minister Yoav Gallant (r.) and US Security Advisor Jake Sullivan
 Jake Sullivan consigliere strategico di Biden incontra ministro della difesa israeliano Yoav Gallant

Mentre Jake Sullivan, consigliere strategico di Biden, tesseva ieri la sua tela di speranza di pace a nome del Presidente degli Stati Uniti prima a Gerusalemme con Netanyahu, Gallant e tutto il gabinetto, e poi a Ramallah da Abu Mazen, Hamas si è fatto vivo: ha sparato sei missili su Gerusalemme, di cui quattro bloccati da Scudo d’acciaio, uno caduto su un edificio a Beith Shemesh. Ma l’ultimo, per un espressivo scherzo della sorte, mentre qui a Gerusalemme correvamo nei rifugi con le famiglie in casa per la serata di Shabbat, è finito sull’ospedale di Ramallah. Così Hamas ha fornito un’ulteriore tessera che può far capire a Sullivan come stanno le cose: la sua ferocia ideologica contro i cittadini di Israele non ha mai fine, molto oltre il campo di battaglia, dentro le case. È apparsa ancora più ridicola la ciarlataneria di Mousa Abu Marzuk, uno dei “pragmatici” di Hamas, che ha detto che forse si potrebbe, in modo da rientrare nei ranghi militanti dell’OLP che l’ha riconosciuto, riconoscere Israele. Due menzogne in una, la prima percepibile a prima: Hamas è nato per uccidere uno ad uno gli ebrei, è scritto nella sua Carta. In secondo luogo perché l’OLP alla fine non ha mai riconosciuto Israele. Hamas dopo quello che ha fatto il 7 di ottobre può piacere solo a chi vuole distruggere la civiltà occidentale e uccidere gli ebrei. Non a Biden. Il consigliere ha spiegato come gli USA siano vigorosamente al fianco di Israele in guerra e per gli ostaggi, ma si aspettano un rallentamento delle operazioni, chiedendo precisi “stadi” in discesa a partire dalla prima settimana di gennaio; e che ci si avvii come ha ripetuto specie ai giornalisti americani, verso un piano per il day after che al centro metta la PA di Abu Mazen. Questo, come prolusione a un recupero del disegno dei “due stati per due popoli”. Ma Hamas l’ha mandato a dire anche ieri: un declino programmato non fa fronte all’accanimento con cui, per esempio, da Gaza si sparano missili che danno la caccia ai cittadini di Gerusalemme. I lanciamissili, le riserve missilistiche, sono state preparate da Sinwar per una lunga guerra di posizione; il rallentare, darsi delle scadenze, cedere al ricatto onnipresente dell’uso dei cittadini come scudi umani è apprezzabile per il rispetto della gente di Gaza, ma non consente la conclusione della missione. L’insistenza americana porta risultati, come per esempio l’apertura del valico di Kerem Shalom per far entrare duecento camion di rifornimenti; crea più attenzione nel favorire l’evacuazione della gente, anche se Hamas seguita a impedirla. Ma i dieci soldati uccisi due giorni fa sono stati assaliti da dentro una scuola, i rinforzi di Hamas dalle gallerie che hanno eliminato i giovani corsi a salvarli… tutto è ancora Hamas. Migliaia di giovanissime famiglie con vedove e bambini già popolano la scena israeliana, e il loro numero cresce; gli ospedali lavorano a tempo pieno. E anche la scena mediatica lo è: la CNN presenta la testimonianza di un medico senza avvertire che quel medico è parte di Hamas, o ne è terrorizzato. Quanto al Fatah di Abu Mazen, cui, sia pure in versione “riabilitata” Sullivan guarda disegnandolo come un futuro partner, Hamas ormai nel West Bank lo schiaccia. Gli Israeliani in battaglia due giorni fa a Jenin hanno scoperto una quantità senza precedenti di armi pesanti e ha fatto 70 prigionieri sospetti di Hamas. Secondo il Palestinian Center for Policy Survey and Research (PCPSR) 72 per cento dei palestinesi, di qua e di là, sono d’accordo con quello che Hamas ha fatto il 7 di ottobre, e fra questi, l’85 per cento nel West Bank; il supporto per Hamas è triplicato nella PA, gli attacchi terroristici dal 7 di ottobre hanno superato il migliaio. Il 90 per cento dei palestinesi che fanno capo a Ramallah chiedono le dimissioni di Abbas. Gli USA giocano quindi una partita molto rischiosa, la stessa che si è lasciato che Hamas giocasse fino alla trasformazione in belva. Si capisce che Biden debba giocare una carta pacifista adatta al suo elettorato a fronte di un’opinione pubblica di cui l’ONU cinicamente si fa portabandiera, quella della tregua a costo della vita di Israele. Israele certo non vuol perdere il rapporto con Biden, ma quante vite dei suoi soldati in una guerra rallentata questo può costare? E quanto alla fine, questo conviene agli USA stessi?

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