Milano. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è arrivato ieri mattina al Congresso americano per ribadire: l’aiuto degli Stati Uniti è per l’Ucraina una questione di vita o di morte. Alla fine dell’incontro, Zelensky ha ringraziato i senatori, mentre i suoi stessi interlocutori – del Partito repubblicano – iniziavano a dire ai giornalisti assiepati fuori che il problema non è certo il presidente ucraino o la necessità di aiutare i soldati ucraini: il problema è Joe Biden. E’ il presidente americano che deve accettare il compromesso sul confine sud dell’America – è la condizione posta dai repubblicani per dare il via libera ai 61 miliardi per Kyiv – ed è il presidente americano – secondo la versione dello speaker del Congresso Mike Johnson – a non aver mai spiegato qual è la strategia della vittoria contro Vladimir Putin.
Johnson ha ribadito a Zelensky il suo sostegno all’Ucraina contro la Russia ma “la risposta della Casa Bianca è stata insufficiente” ed è chiaro che per lui e per i repubblicani “la prima condizione su qualsiasi pacchetto di spesa supplementare per la sicurezza nazionale riguarda la nostra sicurezza nazionale”. In realtà la polemica di Johnson ha già la sua risposta: la difesa dell’Ucraina è una questione di sicurezza nazionale e la strada per la vittoria è proprio fornire il sostegno militare necessario per respingere le forze russe. E’ quel che ripete Zelensky da quando è arrivato a Washington, spiegando i dettagli della situazione sul campo e degli attacchi russi su tutte le città e le infrastrutture ucraine (oltre al cyberattacco devastante di ieri), ma appunto il problema non è lui, che è come dire a questo leader in guerra che senza il sostegno internazionale deve comunque continuare a combattere per la propria sopravvivenza perché non ha alternative: la tua visita è inutile.
Dopo il Congresso, Zelensky è andato alla Casa Bianca, dove Biden era pronto a rassicurarlo. Ma i prossimi passi sono già scritti: serve un accordo con i repubblicani sull’immigrazione e un voto da organizzare entro una settimana, prima della pausa natalizia. Questi passi sono legati anche a quelli che si faranno in Europa, al summit che si apre domani sera sull’apertura dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Ue. Si teme il veto di Viktor Orbán che ieri ha aperto il primo spiraglio da settimane (in cambio di soldi naturalmente), ma che vuole rivedere gli aiuti a Kyiv e non parlare dell’adesione. E’ per questo preoccupante il tempismo dell’incontro a porte chiuse al think tank isolazionista Heritage Foundation di una delegazione di orbaniani. I panel di lunedì, secondo fonti del Foglio, hanno riguardato il futuro della guerra contro l’Ucraina e le “guerre culturali transatlantiche”. Gli incontri sono continuati anche ieri. L’Heritage fa campagna contro gli aiuti a Kyiv, dà molti argomenti ai repubblicani contrari a mantenere il sostegno a Kyiv, organizza un incontro con gli europei più scettici di tutti – e con il potere di veto – sulla necessità di difendere l’Ucraina e tutto l’occidente dall’aggressione di Putin. Però certo, il problema è Biden.