Perché è Orban l’ostacolo alla adesione di Kiev alla UE Cronaca di Luigi Ippolito
Testata: Corriere della Sera Data: 11 dicembre 2023 Pagina: 13 Autore: Luigi Ippolito Titolo: «L’amico di Putin»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/12/2023, a pag.13, con il titolo "L’amico di Putin" la cronaca di Luigi Ippolito.
Luigi Ippolito
Budapest Dall’alto del castello di Buda, di là dal Danubio che scorre maestoso ai suoi piedi, oltre i tetti di Pest, si scorge la pianura orientale, che si perde verso un orizzonte che appare infinito: questo era il limes dell’impero romano, l’ultimo avamposto della civiltà, baluardo contro le barbare tribù pannoniche. E ancora oggi questa è una terra di mezzo, sospesa fra due mondi, che ascolta ansiosa l’eco della guerra giungere da quelle piane sarmatiche, dal confine con l’Ucraina.
Il vertice a Bruxelles
Questa settimana ci si appresta a un tornante decisivo: il vertice a Bruxelles dell’Unione europea che deve dare il via all’adesione di Kiev alla Ue e sbloccare 50 miliardi di fondi per il sostegno alla causa ucraina. Ma a mettersi di traverso è proprio l’Ungheria, che da settimane minaccia il veto: «È chiaro che la proposta della Commissione europea per l’accesso dell’Ucraina alla Ue è infondata e mal preparata», ha tuonato su X (Twitter) il primo ministro di Budapest, Viktor Orbán. Lui è visto da più parti come la quinta colonna in Europa della Russia putiniana: ma dietro la posizione ungherese si cela un groviglio di ragioni storiche, economiche e psicologiche che occorre provare a sbrogliare se si vuole evitare il fallimento di un summit che vorrebbe essere di portata epocale. Già la relazione di Budapest con Kiev è complessa: storicamente buoni dopo l’indipendenza dell’Ucraina, i rapporti si sono guastati a causa della questione della minoranza ungherese, forte di almeno 100 mila persone. Il governo di Orbán accusa le autorità ucraine di aver conculcato i diritti della comunità magiara, che loro considerano parte integrante della nazione e che non vuole finire assimilata.Dunque il conflitto russo-ucraino è visto innanzitutto attraverso questo prisma: «Tocca le nostre vite più che una semplice guerra in un Paese vicino», spiega il vice-ministro degli Esteri di Budapest, Levente Magyar. Ma c’è di più: «L’Ucraina non è pronta per i colloqui di adesione — aggiunge Magyar —: è un Paese in guerra, in crisi, il momento non è maturo». «A Kiev non c’è una democrazia funzionante — rincara la dose Janos Boka, ministro per gli Affari europei — hanno rinviato le elezioni, non hanno una stampa libera». «L’Ucraina non soddisfa nessuno dei criteri della Ue», sintetizza lapidario Zoltan Kovacs, segretario per le Relazioni internazionali del governo. Ma soprattutto, conclude Boka, «l’ingresso di Kiev nella Ue non porterà stabilità, porterà invece la guerra in Europa».
Il legame con Mosca
Dietro le ragioni pratiche e politiche, si scorge però la questione inaggirabile del legame con la Russia. I rapporti fra Budapest e Mosca non sono mai stati semplici, la memoria dell’invasione sovietica del 1956 è più che viva nella coscienza collettiva: «La nostra non è una storia d’amore né un rapporto storico — spiega il vice-ministro degli Esteri — è un approccio pragmatico: finché la Russia non è una minaccia diretta, vogliamo mantenere la cooperazione. E l’imperativo a continuarla è imposto dalla nostra situazione energetica», che vede l’Ungheria quasi totalmente dipendente dalle forniture di gas e petrolio da Mosca. «Per noi liberarci dal gas russo in breve tempo non è fattibile — spiega Attila Steiner, segretario di Stato per l’Energia —. Stiamo diversificando, ma sarà un processo graduale».
Per questo Orbán è accusato di essere il burattino di Putin, così da incontrarlo in maniera tanto calorosa quanto controversa due mesi fa a Pechino. «Ma se il leader di un grande Paese come la Russia chiede di vedere il premier di una piccola nazione — si giustifica Zsolt Nemeth, influente presidente della commissione Esteri del Parlamento magiaro — quest’ultimo cosa può fare, dirgli di no?».
Un conflitto locale
Eppure è tutto il giudizio sul conflitto russo-ucraino a essere assai diverso da quello, ad esempio, che prevale in Polonia o nei Paesi baltici: gli ungheresi non lo percepiscono come una minaccia diretta ed esistenziale, lo vedono come un conflitto locale di cui non si sentono parte e in cui non vogliono entrare perché, dicono, «abbiamo sperimentato troppe volte la natura selvaggia della guerra».
Per questo a Budapest danno voce esplicitamente a quella stanchezza che comincia ormai a serpeggiare anche in Occidente: «La strategia della Ue è puntare alla vittoria dell’Ucraina — sostiene il ministro per gli Affari europei — ma così si potrebbe andare avanti per sempre: e siamo pronti a continuare all’infinito? Non c’è una strategia coerente, l’Europa illude Kiev che l’ingresso sia dietro l’angolo. C’è invece un’alternativa? Dobbiamo discuterne».
Per gli ungheresi occorre trovare una soluzione al più presto per fermare il bagno di sangue, perché secondo loro «non esiste una soluzione militare al conflitto», come dice il ministro per la Difesa di Budapest, Kristof Bobrovniczky: «Gli altri Paesi continuano a rovesciare armi in Ucraina, noi invece no». «Chiediamo negoziati senza precondizioni — indica Levente Magyar — perché ogni accordo è meglio della guerra: anche noi in passato abbiamo rinunciato a parte dei nostri territori», come accadde alla fine della Prima guerra mondiale, quando l’Ungheria venne amputata dei due terzi.
Ed è forse questa la chiave di tutto: la condizione di un piccolo Paese che vede la cifra della propia sopravvivenza nel trovare posto fra le sfere di influenza delle grandi potenze, tra cui è stato sballottato per secoli. Un Paese troppo a Oriente per l’Occidente e troppo a Occidente per l’Oriente: e che ora è chiamato a scegliere.
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