Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 04/12/2023, a pag.13 con il titolo "Nei miei incubi rivivo le urla di quella donna” Le testimonianze degli stupri nei kibbutz" l'analisi di Francesca Caferri.
Francesca Caferri
Il primo a parlare è Yoni Saadon, 39 anni, sopravvissuto nascondendosi sotto un palco e, soprattutto, sotto il corpo di una ragazza uccisa con un colpo alla testa: «Ho tirato il suo corpo verso di me e ho sparso il suo sangue su di me in modo da sembrare morto anche io. Mi sveglio ogni notte e vorrei dirle che mi dispiace». Da lì, l’uomo ha assistito all’orrore: «Ho visto questa ragazza con il viso da angelo e otto o dieci uomini che la picchiavano e la violentavano. Lei urlava “uccidetemi e basta”: loro ridevano e uno alla fine le ha sparato in testa. Continuavo a pensare che avrebbe potuto essere mia sorella o una delle mie figlie». Ma non era finita. Saadon ha visto anche altri due combattenti che avevano preso una ragazza: «Lei lottava, non voleva essere spogliata. L’hanno buttata per terra e uno ha preso una pala e l’ha decapitata. La sua testa è rotolata per terra. Nei miei incubi vedo anche quella». Ad assistere Saadon e gli altri sopravvissuti c’è fra gli altri Bar Yuval- Shani, 58 anni, che il 7 ottobre ha perso sua sorella Deborah e il cognato, Shlomi Matias, entrambi musicisti e attivisti per la pace, uccisi nel kibbutz Holit: a Lamb ha raccontato che più di un sopravvissuto ha condiviso con gli assistenti lo shock di aver assistito a stupri. A guardare le cose a posteriori, che il 7 ottobre fossero state commesse violenze sessuali è stato chiaro dall’inizio: lo mostravano le foto e i video che quasi in diretta arrivavano dalle zone attaccate. Cadaveri di ragazze seminude con le gambeaperte, una giovane fatta scendere a forza dal retro di un pick up a Gaza con le mani legate dietro la schiena, i piedi nudi, le braccia ferite e una ampia chiazza di sangue sul retro dei pantaloni. Ma in un Paese che per giorni ha faticato a mettere a fuoco la reale entità dell’attacco, tutto ciò si è confuso insieme al resto degli orrori. Poi sono arrivate le testimonianze degli uomini della Zaka (l’organizzazione ultraortodossa che ha raccolto i corpi delle vittime) e dell’esercito: infine dei sopravvissuti. E che non si trattasse di casi isolati ha iniziato a diventare chiaro. Cercando di colmare il ritardo dei primi giorni – che ha portato a conseguenze importanti: sui corpi non sono state fatte analisi specifiche per recuperare le prove delle violenze – da qualche settimana la polizia israeliana ha aperto l’indagine più grande mai avviata sui crimini contro le donne. «Ora ci è chiaro che i crimini sessuali facevano parte della pianificazione e che lo scopo era quello di terrorizzare e umiliare le persone», ha detto qualche giorno fa alla stampa Shelly Harush, comandante della polizia che guida le indagini. Il suo team ha raccolto migliaia di dichiarazioni, fotografie e videoclip: comprese quelle di «ragazze con il bacino rotto, tanto erano state violentate». Harush nei giorni scorsi ha parlato in Parlamento. In un video diffuso dalla televisione parlamentare dice: «Uno dei testimoni, sopravvissuto al Festival di Re’im ha raccontato nella sua deposizione: “Era un ammasso di corpi, ragazze senza vestiti. Donne con i bacini frantumati, gambe a spaccata, per quanto erano state stuprate”. Un altro testimone: “Donne con i jeans allentati fino alle caviglie”. (...) C’erano spari ovunque, in particolare sui genitali degli uomini. Ho visto molti seni e molti genitali maschili asportati”». Un supporto importante al team della polizia è arrivato dalla commissione civile sui crimini di Hamas contro le donne il 7 ottobre guidata da Kokhav Elkayam-Levy, un’esperta di diritto internazionale, che prima ancora delle forze dell’ordine ha iniziato a creare un archivio. Anche lei e il suo team hanno riferito sul loro lavoro in Parlamento. La denuncia degli stupri del 7 ottobre non ha suscitato le reazioni che chi ha lavorato per mettere insieme le prove si sarebbe aspettato. «Come femministe, come specialiste, siamo rimaste scandalizzate dal silenzio della comunità internazionale», ci dice Inbal Berner, terapista specializzata in violenza di genere. In realtà pochi giorni fa le agenzie delle Nazioni Unite hanno emesso un comunicato di condanna sulle violenze contro le donne avvenute il 7 ottobre. Ma per le israeliane è troppo poco. Ed è arrivato troppo tardi: solo dopo che la presentazione del materiale raccolto in Parlamento. E solo dopo che i giornali di tutto il mondo hanno sollevato la questione.
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