Putin apre un nuovo fronte Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 03 dicembre 2023 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Putin, il fronte dei Balcani»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/12/2023, a pag. 1, con il titolo “Putin, il fronte dei Balcani” l'editoriale del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Vladimir Putin
In questa fine di anno, il Cremlino sente di avere il vento a favore: in Ucraina la controffensiva anti-russa dei generali di Kiev non ha raggiunto i suoi obiettivi ed ora devono rafforzare le difese; in Medio Oriente il sanguinoso attacco di Hamas a Israele - ispirato dall’Iran, alleato di Mosca - è riuscito a congelare i Patti di Abramo sostenuti da Usa e Ue per arrivare ad una composizione del conflitto araboisraeliano; nel Sahel i golpisti nigerini stanno accelerando il distacco dall’Unione Europea, consentendo ai trafficanti di uomini di operare, mentre la Brigata Wagner consolida le sue posizioni dal Mali alla Repubblica Centrafricana. Insomma, su ogni fronte di crisi calda nel “Mediterraneo allargato”, l’Occidente appare in difficoltà, si indebolisce. Se a questo aggiungiamo la decisione di Putin di aumentare di 170 mila effettivi le forze militari russe portandole oltre quota 1,32 milioni - e la sua assoluta sicurezza di andare incontro ad una rielezione a valanga nelle presidenziali del 2024, non è difficile comprendere perché il Cremlino da una parte non sia interessato a trattare sul cessate il fuoco in Ucraina e dall’altra stia lavorando per creare un nuovo focolaio di instabilità ai danni di Usa e Ue. Si tratta dei Balcani, l’area dove Mosca negli anni Novanta sosteneva la Federazione Jugoslava di Slobodan Milosevic nelle aggressioni contro Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo, dove la Nato intervenne nel 1999 con la campagna aerea che bloccò la pulizia etnica serba contro i kosovari e dove ora più Paesi - Bosnia-Erzegovina, Albania e Macedonia del Nord - sono in attesa di entrare nell’Unione Europea. Se i Balcani Occidentali dovessero iniziare il percorso di adesione all’Ue - dopo le elezioni europee del prossimo anno - seguendo le richieste già presentate da Ucraina e Moldavia, Mosca si troverebbe davanti allo scenario che teme di più: la possibilità che anche la Serbia di Aleksandar Vucic, il suo più tradizionale alleato regionale, possa decidere di guardare a Bruxelles con il risultato di estromettere del tutto il Cremlino dall’Europa del Sud-Est. Tanto più che Croazia, Montenegro, Albania e Macedonia del Nord sono già nella Nato e la Bosnia-Erzegovina ha iniziato il proprio processo di adesione. Da qui la campagna che Putin ha iniziato a condurre nei Balcani Occidentali puntando - secondo quanto affermano fonti diplomatiche a Washington e Bruxelles- su “interventi ibridi”: investimenti ed iniziative da parte del gigante energetico Gazprom e della banca Sberbank al fine di sostenere gruppi economici, religiosi e culturali favorevoli ad un ultranazionalismo serbo che è per natura filorusso. Gli interventi in corso sono a favore di una miriade di enti ed organizzazioni: dai club sportivi alle scuole, dai centri religiosi ai mezzi di informazione, dalle associazioni culturali ai gruppi di veterani che, anzitutto in Serbia e più in generale ovunque vi siano minoranze serbe - dal Kosovo alla Bosnia-Erzegovina - intensificano i legami con la Russia per ostacolare ogni avvicinamento all’Unione Europea. Con Belgrado sono cresciuti anche i legami militari grazie alla vendita di droni, missili anticarro e difese antiaeree russe - mentre il centro umanitario “Nis” è sospettato di essere la copertura per operazioni di interferenza di ogni tipo. Senza contare il finanziamento non dichiarato di Mosca a gruppi paramilitari e centri di addestramento di tipo militare destinati a formare i giovani serbi al nazionalismo più acceso. In questa “campagna ibrida” un posto particolare appartiene alla Chiesa ortodossa russa perché sostiene le rivendicazioni della Chiesa ortodossa serba su alcuni dei più importanti luoghi di culto del Kosovo sulla base di contenuti che esaltano la “civilizzazione pan-slava” in contrapposizione all’Occidente, come sostenuto da un nugolo di associazioni caritatevoli ortodosse finanziate dal miliardario Konstantin Malofeev, ritenuto assai vicino a Putin. Se a questo aggiungiamo il ruolo-chiave di Gazprom nella compagnia petrolifera nazionale serba ed il sostegno dichiarato del Cremlino - con finanziamenti e forniture belliche - alla Repubblica Srpska di Milorad Dodik in Bosnia-Erzegovina, che rivendica anche il diritto di avere proprie forze armate indipendenti dal governo di Sarajevo, non è d ifficile arrivare alla conclusione che Mosca sta tentando in ogni modo di ostacolare l’adesione bosniaca alla Nato e quella dei Balcani occidentali alla Ue. Non a caso diplomatici russi hanno recentemente definito l’eventuale entrata di Sarajevo nell’Alleanza come un “atto ostile”. Per prevenire il quale, secondo fonti diplomatiche europee, Mosca sta finanziando anche gruppi ultranazionalisti croato contrari agli accordi di Dayton che nel 1995 portarono alla fine di tre anni di guerra in Bosnia. Insomma, Putin sta tentando in ogni modo di evitare che il Mar Adriatico diventi un grande lago europeo. E questo dovrebbe essere un campanello d’allarme non solo per Ue e Nato ma anche per il nostro Paese.