Il piccolo Kfir Bibas non c'è più
Diario di guerra di Deborah Fait
Kfir Bibas
Il piccolo Kfir che si pensava avesse compiuto 10 mesi ostaggio delle belve maledette, è probabilmente morto, con lui anche il fratellino Ariel di 4 anni e la loro mamma. Scrivo probabilmente perché è una particolarità dei terroristi palestinesi torturare le famiglie con notizie false. Kfir, Ariel e i loro genitori sono stati rapiti il 7 ottobre mentre intorno a loro venivano uccise, in poche ore, 1400 persone. In un’immagine si vede la mamma che tiene stretti a sé i due bambini mentre li portano via e si vede Yarden, il papà, con una brutta ferita da coltello in testa. Tutti morti, un’intera famiglia spazzata via da umani assetati di sangue, da mostri satanici. Purtroppo la famiglia Bibas non è l’unica che quel sabato maledetto è stata cancellata, ve ne sono altre. Da una casa bruciata l’Idf ha portato fuori cinque sacchi bianchi con altrettanti cadaveri, i genitori e tre bambini, li hanno chiusi prima di uscire perché non si vedesse lo scempio fatto dei loro corpi mentre erano ancora vivi. Kfir, quel bambino ridente con i capelli rossi e un pupazzetto rosa tra le manine non c’è più. Tutti noi tremavamo per lui, così piccolo, tenero e indifeso e adesso sappiamo che gli hanno rubato la vita prima ancora che potesse imparare a viverla. Ma la crudeltà demoniaca dei palestinesi si può vedere anche nel rilascio degli ostaggi. Li accompagnano verso le auto della CRI e si vede che sono obbligati a salutare sorridendo, La conferma si è avuta quando, mentre consegnavano dei ragazzi, si è sentita una voce fuori campo dire in ebraico “continuate a salutare”. Si perché i terroristi parlano anche ebraico grazie a tanti anni di prigione fatti nelle carceri israeliane. È straziante vedere quei bambini, quei vecchi camminare come inebetiti verso la salvezza mentre intorno a loro masse di “eroici palestinesi” urlano Allahu akhbar e mostrano i pugni. Piano, piano vengono fuori alcune testimonianze, i bambini parlano a bassissima voce, sussurrano perché in prigione non potevano parlare. Il papà di Emily ha detto che per sentirla deve avvicinare l’orecchio alla sua bocca. Sono stati bastonati, sono stati costretti a vedere i filmati dell’orrore del 7 ottobre, persone torturate e urlanti, persone che i bambini forse conoscevano perché loro vicini di casa. Hanno visto bambini come loro con arti tagliati e sanguinanti, hanno visto stupri. Hanno visto i mostri ridere a crepapelle mentre uccidevano e torturavano. Mangiavano un po’ di riso e del pane e nemmeno tutti giorni. Se dovevano andare al bagno dovevano aspettare ore finché il guardiano di turno si degnava di accompagnarli. Tutto questo e molto di più è stato fatto a persone come me e come voi, a bambini come i vostri, a bambini che fino al 6 ottobre correvano e ridevano felici e abbracciavano la mamma e i fratelli, gli amici. Quelle persone, non solo i piccoli ma anche gli adulti, non torneranno mai più come prima, la loro vita è rovinata forse per sempre. Sono tornati dall’inferno e anche se equipe di psicologi e psichiatri si stanno occupando di loro, non potranno mai più essere sereni. Dicono che i bambini recuperano presto, forse è vero ma come potrà essere la vita di un dodicenne che vedeva i suoi carcerieri fargli il segno -ti taglio la gola- se piangeva. Come potrà mai vivere sereno dopo aver visto scene di stupro su una nonna o sulla sua stessa madre o su una bambina. Israele non potrà mai più essere come prima, quei maledetti hanno ottenuto ciò che volevano, non possono ammazzarci tutti, non possono distruggere Israele e allora tentano di gettarci nella disperazione. Però non hanno fatto i conti con la forza del popolo ebraico, con l’ottimismo che ci ha sempre salvati dall’abisso, con la nostra voglia di fare sempre meglio per il nostro paese. Non hanno fatto i conti con l’amore che tutti abbiamo per Israele. L’amore per la terra che loro non hanno perché non gli appartiene. Al kibbutz Be’eri, uno dei teatri del pogrom del Sabato Nero, si è già incominciato ad arare per seminare il grano. Israele è questo e ha già vinto, la vita che noi amiamo avrà sempre la meglio sulla morte. Hamas ha chiesto un’escalation delle manifestazioni nella “giornata della solidarietà con il popolo palestinese che dovrebbe tenersi in questi giorni. Hanno rilasciato questa dichiarazione “Chiediamo alle masse della nostra nazione araba e islamica, e alle persone libere del mondo, di intensificare tutte le forme di movimento di massa, eventi e marce in solidarietà con la Striscia di Gaza." Sono certa che le masse obbediranno agli ordini perché non c’è differenza tra loro e gli assassini. Chiunque stia con Hamas, chiunque stia con l’eroico popolo palestinese assassino è complice. Chiunque li giustifichi è complice. Chiunque dica ma…se… però…, è complice. Chiunque osi dire che Hamas non è i palestinesi e viceversa che i palestinesi non sono Hamas, è complice della mattanza di 1400 persone innocenti, è complice degli stupri, delle mutilazioni, delle famiglie cancellate, dei bambini ammazzati o, se vivi, rovinati per sempre. Ma la vita in Israele vince sempre!
Deborah Fait