La guerra nei tunnel di Hamas Cronaca di Fabio Tonacci
Testata: La Repubblica Data: 27 novembre 2023 Pagina: 12 Autore: Fabio Tonacci Titolo: «La guerra nei cunicoli di Hamas»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/11/2023, a pag. 12, con il titolo "La guerra nei cunicoli di Hamas" la cronaca di Fabio Tonacci.
Fabio Tonacci
SDEROT - Circola una battuta tra chi per missione deve esplorare l’immensa rete dei cunicoli di Gaza. «Come si entra nei tunnel? Come i porcospini fanno sesso…con molta, molta, cautela». L’immagine rende bene il concetto. La usa un ufficiale del dipartimento Combat Engineering dell’esercito israeliano, da più di un mese impegnato nell’area di Beit Hanun, Nord-est della Striscia, per attaccare la sua storia. Che è il racconto di quel che c’è sotto e che non si vede, dei bunker scavati a settanta metri di profondità, dei depositi di armi, del labirinti alti due metri e larghi uno ma con l’elettricità, il wi-fi, le telecamere interne, le trappole esplosive e le volte a botte. Degli ingressi camuffati e minati, «perché ci stavano aspettando ». Un’infrastruttura strategica che deciderà le sorti del conflitto, i miliziani di Hamas l’hanno scavata negli anni e nell’ombra, «aiutati da qualcuno» e con un investimento notevole di denaro. «Credetemi», dice l’ufficiale davanti alla mappa che sta disegnando, «a vederla a occhio nudo fa spavento». Le unità Yaholom (“diamante”, in ebraico) specializzate nella guerra nei tunnel sono qualcosa di più del Genio militare. Vengono addestrate nella “Mini Gaza”, una base dove sono stati riprodotti i palazzi, le strade e anche gli ingressi dei cunicoli di Gaza City. Ma, per quanto realistica e realizzata seguendo le immagini dei satelliti e le informazioni dell’intelligence, rimane una simulazione. «La realtà è assai diversa, resa più complicata dalle macerie e dalla dinamite che Hamas ha piazzato ovunque», ammette l’ufficiale, che chiameremo Noam. Accetta di parlare con Repubblica a condizione di non rivelarne l’identità né la divisione diappartenenza. «Centinaia, centinaia…», dice, quando gli si chiede il numero degli ingressi, o meglio dei buchi, scoperti finora nell’area di Beit Hanun. «Ne abbiamo trovati nelle case dei civili, nelle cantine, camuffati sotto le scale, tra gli scarichi della fogna, dietro muri col doppiofondo, in una moschea, sotto le tavole dei pavimenti, in una scuola femminile ce n’erano uno nel cortile e uno in una classe. Sono interconnessi. E chi li ha costruiti li ha mimetizzati. Quando le nostre unità ne hanno preso il controllo, gli abitanti se n’erano già andati». Per non perdersi, per capirci qualcosa e avere il quadro, Noam si è messo a disegnare la mappa della “metropolitana” di Hamas. Gli permette di prevedere dove potranno trovare un altro pozzo, senza aspettare di scoprirlo per imiliziani armati che sbucano all’improvviso. Si intuisce che i cunicoli puntano verso l’ospedale, anche qui come a Gaza City. «Presumiamo perché gli ospedali hanno sempre la corrente, grazie ai generatori, perciò da lì Hamas alimenta il sistema elettrico sotterraneo ». L’ufficiale non sa se camminandonel formicaio scavato nelventre di Beit Hanun, chilometro dopo chilometro, si arriva a Gaza City e oltre, a Khan Younis, dove i servizi segreti israeliani ritengono si stiano nascondendo, «in rifugi a 80 metri di profondità» Yahya Sinwar e Muhammed Deif, la mente e il braccio del 7 Ottobre. «Però posso dire che tutti i quartieri nella mia area di competenza sono collegati tra loro e i tunnel si spingono in profondità verso altre parti della Striscia». La stima dell’estensione totale della “metropolitana” supera i 500 chilometri, una misura che Noam ritiene plausibile. «Ci sono trappole, trappole ovunque… in una galleria bassa avevano messo 50 chili di esplosivo in un serbatoio dell’acqua, era collegato a un sensore che si attivava al passaggio. Più avanti c’era un lanciarazzi puntato sull’ingresso, anch’esso con un meccanismo automatico». La sua divisione, composta da riservisti che nella vita di prima erano ingegneri e specialisti in costruzioni, ha subito già diverse perdite. «Non so se gli ordigni artigianali siano la prova che Hamas voglia far saltare in aria la rete nel Nord di Gaza, a me sembra più un modo per uccidere o ferire chi vi entra». E qui torniamo alla metafora del riccio, alla grande cautela necessaria. Come funziona la procedura, una volta si vede un tunnel? A chi tocca andare giù a vedere? «Mandare i nostri uomini è l’ultima delle opzioni a disposizione, tendiamo a non farlo. Troppo rischioso. Usiamo strumenti e tecnologie per l’esplorazione». Come i droni con le telecamere, li hanno utilizzati all’ospedale al-Shifa. O i cani addestrati. Hanno anche dei sistemi per rilevare la presenza umana e i segnali elettrici. A volte però non hanno altra scelta, servono i soldati. Quando ritengono che il tunnel sia uno snodo che conduce a un comando centrale o a un pezzo cruciale dell’infrastruttura, oppure quando ipotizzano che ci siano degli ostaggi, allora entrano. È succe sso già diverse volte, e succederà ancora, man mano che la “metropolitana” svelerà i suoi incroci, le sue fermate, i suoi percorsi. «L’obiettivo principiale, comunque, è la demolizione. Utilizziamo diversi tipi di esplosivi, i nostri esperti si occupano della detonazione, calcolando anche i rischi per gli edifici sopra». I cunicoli talvolta trapassano le fondamenta delle case, ne fanno saltare uno e crolla mezzo quartiere. «Non saremo in grado di neutralizzare ogni centimetro di questo groviglio infinito, e forse neanche è necessario...», ragiona l’ufficiale. La certezza che Sinwar sia in un tunnel non la dà nessuno, «io penso di sì». Una talpa nella tana che Hamas si è scavata sin dal 2006. Dovunque avverrà la battaglia finale non la vedremo, perché sarà là sotto.
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