Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma Analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 25 novembre 2023 Pagina: 1 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 25/11/2023 l'analisi di Fiamma Nirenstein con il titolo "Armi mute dopo 50 giorni. Ma la guerra non si ferma".
Fiamma Nirenstein
Non sono stati sonni tranquilli quelli nella Striscia: nel buio profondo del silenzio delle armi, dopo la liberazione dei primi ostaggi, i soldati di Israele e i terroristi di Hamas seguitano a fronteggiarsi. È un intervallo in cui tutto può succedere, i soldati avvertiti di conservare la massima allerta, sono rimasti tutti ai loro posti dentro il nord e sud di Gaza; i terroristi preparano in segreto le loro prossime mosse, qualsiasi gesto cinico e perverso è possibile. È sempre la guerra fatale nata da una strage mai vista dal popolo ebraico dal tempo della Shoah, e adesso giocata sulla pelle dei sopravvissuti, specie i bimbi piccoli, la carta preferita di Sinwar. Inutile illudersi: la tregua non è in vista, solo un ‘ intervallo legato agli ostaggi, non si sa per quanti giorni oltre i quattro fissati. L’interruzione delle operazioni di guerra è per Hamas un guadagno che però segnala una sconfitta strategica: contro le aspettative di Sinwar, che si aspettava un’operazione limitata negli scopi e nel tempo come per le guerre precedenti, Israele ha cambiato volto. La decisione è stata quella di combattere una guerra di sopravvivenza che non consenta mai più a Hamas di conservare il suo potere sul territorio e la gente di Gaza. Fino ad ora il nord, centro decisionale strategico, è stato circondato, Sheik Jilin, Shati, Beit Hanun, Rimal e parte di Zeitun e Jabalia sono state conquistate. Le unità che le dominavano sono state eliminate, e così buona parte della leadership intermedia. I dieci battaglioni nel nord non esistono più. È difficile contare quanti dei membri delle 140 compagnie composte ciascuna da 100 armati sono stati cancellati, ma il panorama urbano è un incredibile spettacolo di devastazione, i rifugi, le abitazioni e le armi sono a pezzi. La ragnatela di tunnel sotto gli ospedali così da garantire la protezione di scudi umani, la grande invenzione di Hamas è stata in gran parte scoperta, e sgomberati di armi e di uomini. Prima del cessate il fuoco l’esercito ha fatto saltare gli ingressi per impedire che gli uomini di Sinwar tentino di tornare a prendere possesso del nord e dei loro covi. Hamas ha chiesto di tornare a nord alla massa sfollata a sud dopo che Tzahal aveva chiesto di lasciare le zone di guerra; ci sono stati dei tentativi di tornare a nord fermati dall’esercito che ha fatto due morti. Sinwar ha dunque accettato lo scambio costretto da una clamorosa sconfitta sul campo, costretto anche a vedere indietreggiare gli amici che si aspettava intervenissero, dall’Iran agli Hezbollah a Assad fino agli iracheni che insistono solo nel bombardare le basi americane. Adesso Hamas cercherà di prolungare il silenzio e il divieto di sorveglianza aerea manipolando con la vita degli ostaggi il calendario e l’opinione pubblica israeliana e mondiale. Spera di riorganizzarsi e di spingere l’opinione pubblica internazionale sulla strada della tregua che consentirebbe all’organizzazione jihadista più pericolosa del mondo di restare in possesso di Gaza. Sinwar giocherà qualsiasi carta che serva a legittimare l’idea che occorre una tregua: ci saranno pesanti provocazioni per esporre Israele alla disapprovazione pacifista, azioni cosmetiche come quella di liberare 12 tailandesi, un regalo agli egiziani che sponsorizzano l’evento. Ma Israele, pure nell’indicibile emozione del successo, per niente scontato, nel mettere i cittadini al primo posto, specie i bambini sa che la maggioranza deve ancora tornare, e che i soldati restano per ora sulla sabbia di Gaza, finché Hamas non sia sconfitto.