Mieli, Barghouti, Rampini, uno dei tre ha ragione
Diario di guerra di Deborah Fait
A destra: Marwan Barghouti
Non si può affermare che Paolo Mieli non sia amico di Israele ma, non so perché, quando lo ascolto sono sempre sul chi va là, come se mi aspettassi da un momento all’altro una parola, una frase che avrebbero demolito tutto un discorso iniziato bene. Quando lo vedo in Tv, e in questi giorni di guerra è ospite quasi fisso dei vari talk show, me lo immagino con la papalina cardinalizia sulla testa. E parla, parla, parla sempre sulla stessa tonalità, cantilenando come se dicesse messa. Alla fine di ogni suo discorso non ci si ricorda più l’inizio o ci si è quasi addormentati. L’altro giorno durante un’intervista al Corriere della sera, ha detto una bestialità che avrebbe fatto svegliare un morto. Ha incominciato col raccontare che, secondo lui, Marwan Barghouti, per gli amici detto il Mandela palestinese, sarebbe uno papabile, per restare in tema clericale, a sostituire Hamas a Gaza. Non contento di questa prima cazzata, ha proseguito definendo “spericolata”, non criminale, la presenza delle armi negli ospedali di Gaza. Sono allibita e sto pensando allo spettacolare intervento di Federico Rampini, storico di primo livello come Mieli ma il suo contrario nelle interpretazioni, rilasciato anch’esso al Corriere della Sera, sui marxisti accecati dalla rivoluzione khomeinista in Iran.
Federico Rampini
Chiederete cosa c’entra Paolo Mieli con i marxisti innamorati di Khomeini. C’entra perché anche lui, come tanti in Italia e nel mondo, è suo malgrado abbagliato dalla crudeltà bestiale di Hamas e, pur criticandolo aspramente, non riesce a definirlo criminale, non riesce a gridare al mondo che Hamas è un’organizzazione di cannibali, di tagliagole, di fanatici religiosi fino all’omicidio- suicidio in nome di Allah. A volte lo ammette ma poi sembra addirittura intimidito da tanto ardire. I migliori, quelli che non hanno ancora il cervello fuso dall’ideologia, si limitano a dire che “Hamas non rappresenta i palestinesi”.
Paolo Mieli
È stato eletto da loro ma non li rappresenta. Strana sta cosa però è dall’inizio della guerra che la sento a mo’ di mantra. E adesso vediamo chi è Barghouti, Marwan Barghouti, lo stragista più stimato dalle sinistre mondiali dopo Arafat, e eletto a capo dei Tanzim, la milizia armata di Fatah, fondata nel 1995. Arafat aveva bisogno di un corpo di polizia più ordinato dei soliti casinisti fedaiyn, i tagliagole per antonomasia agli ordini del rais. Il comando fu dato al terrorista più “valoroso”, e Barghouti fu considerato all’altezza della situazione, pronto ad arrivare ovunque i suoi scagnozzi ne desiderassero la presenza. Non si accontentò della semplice branca armata di Fatah, ne creò una seconda denominata Brigata dei Martiri di AlAqsa e le stragi durante la seconda intifada non si contarono, morti e feriti insanguinarono le strade di Israele. Nel momento in cui i Tanzim/Martiri di AlaAqsa circondavano qualche civile israeliano, arrivava il capo e ordinava la fucilazione sul posto. Così persero la vita, tra i tanti, due ragazzi di Tel Aviv che, ingenuamente, fidandosi di palestinesi che conoscevano, erano andati a fare un pranzo a base di humus in una famosa trattoria di Tulkarem. I loro supposti “amici”, serpenti a sonagli, chiamarono i “poliziotti”, li misero al muro, telefonarono al capo e l’ordine fu: fucilazione. Nel 2002 Israele riuscì a catturarlo e da quel momento divenne il simbolo dei palestinesi, dei loro supporters, dei loro donatori di soldi, delle sinistre mondiali. Siccome tutti questi signori, innamorati dei palestinesi in odio agli ebrei, avevano adottato in pieno la grande menzogna di Arafat, cioè che Israele fosse un paese che praticava l’apartheid, diedero al terrorista-stragista Barghouti il soprannome di Mandela palestinese. Subì un processo, che lui non riconobbe perché non riconosceva Israele come stato sovrano, e si beccò non uno, non due ma ben cinque ergastoli anche per l’assassinio di un monaco greco ortodosso e di numerosi attentati a Tel Aviv e nella capitale Gerusalemme. In galera, da vero macho, decise di fare lo sciopero della fame ma, ahi lui, fu ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre, in gabinetto, si ingozzava di merendine. Nemmeno questa figuraccia lese l’amore che i “marxisti filopalestinesi” accecati da tutto ciò che è antiamericano e antiisraeliano, come dice Rampini, avevano per l’affamato Barghouti. Posso capire che i palestinesi lo vogliano al posto di Abu Mazen, un terrorista vale l’altro e almeno il primo non è Matusalemme, ma non posso tollerare che uno storico italiano, nella piena capacità delle sue funzioni cerebrali, possa proporlo come presidente di un futuro stato palestinese, ripescando dal passato l’assurdo soprannome di Mandela palestinese. Sarebbe come se qualcuno avesse voluto eleggere Eichmann come cancelliere tedesco dopo la morte di Hitler. Nel corso degli anni sono state indette numerose campagne per la sua liberazione, persino parlamentari europei perorarono la sua causa, invocandone la liberazione. Non meravigliamoci, amici, ricordiamo che Bettino Craxi equiparò Yasser Arafat, il più feroce terrorista del XX secolo, niente meno che a Giuseppe Mazzini.
Deborah Fait