Testata: Il Foglio Data: 11 novembre 2023 Pagina: 1 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Amnesty non se la sente di chiamare Hamas 'terrorista'. La triste fiammella della ong»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/11/2023, a pag. 1, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo "Amnesty non se la sente di chiamare Hamas 'terrorista'. La triste fiammella della ong".
Giulio Meotti
Roma. Prima Amnesty International ha parlato “di crimini di guerra da parte di tutte le parti in conflitto”, come se Israele e Hamas fossero sullo stesso piano, spingendo il governo di Gerusalemme a dichiarare che Amnesty “manca dell’autorità morale per presentarsi come un’organizzazione per i diritti umani”. Ora Jean-Claude Samouiller, presidente di Amnesty France, dice che non se la sente di usare il termine “terrorista” per riferirsi ad Hamas, preferendo “gruppo armato palestinese”. “Perché il termine terrorista non è riconosciuto dal diritto internazionale”. E “perché sia fatta giustizia”, ha continuato, “le cose devono essere descritte con precisione”. Nathalie Loiseau, europarlamentare di Renaissance, si è espressa su X: “Il termine ‘terrorista’ non è riconosciuto dal diritto internazionale???? Mi scusi?”, ha chiesto. “Hamas è nella lista europea delle entità terroristiche”. Anche Benjamin Griveaux, portavoce del governo francese dal 2017 al 2019, ha reagito su X ai commenti del presidente di Amnesty: “Samouiller sta annegando in un linguaggio nauseante”. L’ex deputato ha aggiunto una copia di un documento di Amnesty France che risale al 2015 e che utilizza la qualifica di “terrorista” per riferirsi al gruppo Boko Haram. Ha reagito pure l’Express: “Samouiller ha almeno guardato le immagini di questa nauseante carneficina?”. L’equivalenza morale è ormai un tratto distintivo della celebre ong. La direttrice dell’organizzazione a livello mondiale, la francese Agnès Callamard, aveva detto senza battere ciglio a proposito della guerra in Ucraina: “Abbiamo documentato la tendenza delle forze di Kyiv a mettere in pericolo i civili e a violare le leggi di guerra quando operano in aree popolate”. Alcuni mesi dopo, un’indagine interna metterà in discussione le conclusioni di questo rapporto. “Ma rifiutandosi di applicare la parola ‘terrorista’ a Hamas, il presidente di Amnesty International France dimostra che la sua ong è diventata il piccolo operatore telegrafico di Putin e Hamas. Hamas, Hezbollah e Iran vogliono eliminare Israele, ma chi avrebbe mai pensato che avrebbero trovato alleati in Amnesty International?”, si domandava il Wall Street Journal un anno fa, quando un rapporto dell’organizzazione etichettava Israele come stato di “apartheid” che merita la sanzione legale dell’occidente. Amnesty ha fatto campagna per la liberazione di terroristi palestinesi riconosciuti colpevoli come Ahmad Saadat, il capo del Fplp, condannato per attentati compiuti dalla sua organizzazione, in particolare l’omicidio del ministro israeliano Rehavam Zeevi. Nel 2002, Amnesty accusò Israele di crimini di guerra a Jenin. Una leggenda basata su menzogne dure a morire, come l’ospedale di Gaza bombardato da Israele. “Uno stato feccia”. Così aveva definito Israele il direttore di Amnesty International a Helsinki, Frank Johansson. “Dove sono le ong che abbiamo sentito parlare dopo i bombardamenti di Gaza, ma poco o per nulla dopo i massacri di Hamas? – si chiede questa settimana sul Monde Maurice Lévy – Dove sono le associazioni che si dicono umanitarie? Anestesia colpevole. Mutismo selettivo. Indignazione a due velocità”. Da quando si è spenta la sua fiammella, Amnesty sembra accecata dal pregiudizio e non si è più ripresa dal triste declino di una organizzazione fondata da un ebreo sionista (Peter Benenson) che si è battuta per eroi della libertà come Andrei Sacharov. Una vittima del gulag sovietico accostata a Guantanamo, “il gulag del nostro tempo”, secondo la celebre definizione di Irene Khan, allora segretario generale di Amnesty.
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