Netanyahu e i suoi critici Analisi di Antonio Donno
Testata: Informazione Corretta Data: 11 novembre 2023 Pagina: 1 Autore: Antonio Donno Titolo: «Netanyahu e i suoi critici»
Netanyahu e i suoi critici
Analisi di Antonio Donno
Benjamin Netanyahu
Le truppe israeliane avanzano nella Striscia di Gaza operando una sistematica eliminazione dei terroristi di Hamas fuori e dentro i tunnel in cui si rifugiano per evitare di essere colpiti e uccisi. L’operazione non finirà presto ma Netanyahu e i suoi generali sapevano fin dall’inizio che la ripulitura di Gaza dalla presenza dei terroristi di Hamas avrebbe comportato un tempo imprecisato. Comunque, l’operazione procede positivamente e questo va a favore della decisione di Netanyahu, grazie anche alla decisione di Biden di sostenere politicamente Israele e di mettere in guardia l’Iran da un qualsiasi tentativo di inserirsi nella guerra. Se l’operazione voluta da Netanyahu dovesse concludersi positivamente, tutto questo andrebbe a favore del leader israeliano all’interno del mondo politico del suo Paese.
Eppure, Netanyahu è sotto accusa a livello nazionale e internazionale. La sua posizione vacilla e le proteste interne non fanno che aumentare il suo discredito. La stampa lo martella continuamente, attribuendogli responsabilità di ogni tipo. Certamente i fatti del 7 ottobre e la mancanza di vigilanza ai confini con Gaza, con le conseguenze che tutti conoscono, giocano a sfavore di Netanyahu, ma lo stesso si può dire dei capi militari che avevano il compito di rendere sicuri gli ingressi da Gaza a Israele. Tuttavia, le accuse che a livello internazionale stanno colpendo Netanyahu hanno un’origine in gran parte diversa rispetto alle responsabilità politiche per ciò che è avvenuto il 7 ottobre.
Il governo americano di Joe Biden, benché ora schierato a favore dell’iniziativa di Netanyahu di eliminare i terroristi di Hamas da Gaza, e gli stessi governi dell’Europa occidentale da anni criticano Netanyahu per il suo rifiuto di accettare il piano che prevede la nascita di uno Stato palestinese ai confini orientali di Israele. A partire dalla pessima gestione degli affari internazionali degli Stati Uniti da parte di Obama, i governi che si sono succeduti a Washington e nelle capitali europee hanno assunto un atteggiamento di distacco dalla politica di Netanyahu proprio per il suo rifiuto di accondiscendere al piano che i suoi critici sostengono. Gli eventi che nel corso degli anni si sono succeduti nel Medio Oriente, tuttavia, danno ragione al primo ministro d’Israele. Netanyahu ha continuamente fatto presente ai governi americani che la crescita esponenziale dell’arsenale militare iraniano, compreso il progetto nucleare, è un pericolo sempre più grande per Israele e i Paesi sunniti della regione. Teheran sostiene politicamente e militarmente, da molti anni, i gruppi terroristici che si sono sistemati in vari contesti territoriali intorno a Israele. Gli Hezbollah a nord, ai confini con il Libano, ad est la continua erosione dell’Autorità Palestinese, e a sud i terroristi di Hamas a Gaza rappresentano una catena di continuità terroristica intorno ai confini di Israele.
Nonostante questa gravissima evidenza, le pressioni su Netanyahu si sono nel tempo accentuate. La creazione di uno Stato palestinese – ha sempre sostenuto il primo ministro israeliano – significherebbe di fatto creare il terreno ideale per il posizionamento dell’Iran ai confini orientali di Israele nella forma di uno Stato nelle mani di Teheran. Potrebbe essere la fine di Israele. In sostanza, le accuse che sono rivolte a Netanyahu per il fallimento del 7 ottobre fanno un tutt’uno con quelle che da molti anni lo mettono in difficoltà per il suo rifiuto di accettare l’ormai famoso ritornello “due popoli, due Stati”. Eppure, Netanyahu ha dei meriti incontestabili nel suo Paese. Se oggi Israele è una potenza economica a livello internazionale in molti settori, soprattutto in quello dell’high-tech, che esporta in ogni parte del mondo, ciò è dovuto ai lunghi anni di gestione di Netanyahu e dei suoi governi, che hanno portato il Paese fuori dal laburismo statalista – che pure ha avuto meriti incommensurabili nella fondazione di Israele e nella sua sopravvivenza di fronte a nemici che ne volevano la sparizione – per inserirlo a pieno titolo nel contesto mondiale del libero mercato, facendone un esempio di sviluppo capitalistico.