Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 10/11/2023 l'analisi di Fiamma Nirenstein con il titolo "L’anziana e il bimbo, il ricatto sugli ostaggi".
A destra: i terroristi di Hamas negli ospedali
Fiamma Nirenstein
Scelti con astuzia sapendo di andare a toccare il cuore e la mente d’Israele, sui teleschermi israeliani nelle ore del massimo ascolto serale, prima di cena, dopo 34 giorni di sofferenza e 2 giorni di confusione assoluta sul tema degli ostaggi, un video della Jihad Islamica, ha mostrato le facce sofferenti, emaciate, bianche, di Anna Katzir 77 anni, e del piccolo Yagil Yaakov, 12 anni, ambedue di Nir Oz, uno dei kibbutz della strage, rapito con i genitori e il fratello di 16 anni. Disseppelliti dalle gallerie li hanno fatto recitare la parte che gli faceva comodo. Probabilmente saranno liberati entro poche ore. Hanno parlato della loro sofferenza e del desiderio di tornare a casa, poi Anna ha rimproverato Netanyahu come responsabile di tutto, e Yagil gli ha detto che sparando rischia la vita degli ostaggi e gli ha chiesto di fornire acqua, medicine, etc. Poi il solito zombie mascherato, stavolta della Jihad Islamica, ha annunciato che li vogliono liberare “quando ce ne saranno le condizioni”. Due su 339, uno segnato dal tempo unito alla tortura, l’altro di un bambino stravolto dalla pena, ambedue segnati dalla sofferenza, un messaggio scelto con cinica furbizia come per il copione film.
I due ostaggi
È chiara l’intenzione di giocarsi gli ostaggi uno ad uno, nel tempo lungo che può servire di fronte a una guerra israeliana che avanza con successo. La mossa della Jihad Islamica, che evidentemente si è suddivisa con Hamas il compito di aguzzino dei 339 prigionieri, è legata a paura, a agitazione, è provocata da un sommovimento generale, punta a segnalare agli americani la necessità di spingere per la tregua, come peraltro Biden vorrebbe. Ma è soprattutto un singulto dalle gallerie ormai assediate, dagli edifici ormai semidistrutti: la battaglia negli ultimi due giorni si è svolta dove hanno sede i depositi di armi, gli strumenti strategici, i locali dello Stato Maggiore di Hamas. L’esercito ormai assedia gli ospedali Indonesiano e quello di Shifa sotto il quale ha sede il nido del ragno, la sede di Yehiye Sinwar. Tutti e venti gli ospedali di Gaza sembrano essere collocati sopra punti strategici dei 500 chilometri di gallerie. L’esercito si è mosso sulla base delle informazioni fornite dagli interrogatori dei terroristi presi dopo la strage, e Hamas sta subendo una sventola: i suoi ufficiali decimati, le quotidiane sconfitte sul campo, la fuga di decine di migliaia di gazani con le bandiere bianche, adesso Hamas cerca di giocarla con l’unica ma potentissima arma che ha in mano: i rapiti. Colpisce Israele nella sua insopportabile sofferenza, continua la tortura del 7 ottobre, spinge tramite Doha, dove israeliani e americani si sono incontrati, la tregua di cui ha bisogno in cambio di ostaggi. L’idea che Israele possa concedere 4 ore di tregua al giorno, in realtà non cambia molto, e si aspettano altre novità: Gerusalemme già concede tregue per i cittadini, cui l’ha chiesto con volantini e telefonate, che si spostano a nord. Le famiglie unite non spingono per tregue, chiedono solo di mettere i loro cari al primo posto. Sono ovunque: dalle piazze, dalle mura tempestate di foto, dai viaggi alla ricerca di solidarietà, chiedono di affrontare subito “achshav” la tragedia. Hanno tanti bambini, genitori, nonni, nelle mani dei macellai del Sabato nero, di cui non sanno più niente. Netanyahu che prima diceva “non ci fermeremo” ora ripete “ci sarà una tregua solo se restituiranno i nostri rapiti”. La Croce Rossa non porta informazioni, nemmeno il numero dei vivi, dei malati: ieri sera una grande manifestazione di medici le ha chiesto di fare il suo dovere.