Due nuove voci della letteratura israeliana Recensione di Giorgia Greco
Testata: Informazione Corretta Data: 31 ottobre 2023 Pagina: 1 Autore: Giorgia Greco Titolo: «Due nuove voci della letteratura israeliana»
Due nuove voci della letteratura israeliana
“Per cosa abbiamo fondato Israele, perché ve ne tornate laggiù? Siamo venuti qui perché voi non dobbiate mai, mai, chiedere favori ad altri popoli…”
Finché non tornerà la pioggia Saleit Shahaf Poleg Traduzione dall’ebraico di Raffaella Scardi
Neri Pozza euro 18
Lettera d’amore e d’assenza Sarai Shavit Traduzione dall’ebraico di Sarah Kaminsky e Maria Teresa Milano Neri Pozza euro 14,50
Dal 1946, anno della sua fondazione a Venezia, la casa editrice Neri Pozza ha rappresentato una delle più straordinarie avventure intellettuali del dopoguerra italiano pubblicando poeti e scrittori talentuosi. Con il passare degli anni pur rimanendo fedele all’impostazione originaria (narrativa e saggistica di qualità) la casa editrice si è aperta alle nuove tendenze della letteratura internazionale portando in Italia anche autori israeliani come Ayelet Gundar Goshen o Eshkol Nevo, molto apprezzati dai lettori e dalla critica.
Fra le novità Neri Pozza in libreria in questi giorni spiccano i romanzi di due autrici appartenenti alla nuova generazione di scrittori israeliani che mostrano come Israele, anche in campo letterario, sia un laboratorio di vivace creatività e in perenne divenire dove il femminile, sia nell’arte che nella vita, ha una “visibilità” che non è scontata in altri paesi.
“Finchè non tornerà la pioggia” è il folgorante esordio di Saleit Shahaf Poleg, scrittrice, editor e docente universitaria. Appena uscito è balzato subito in cima alle classifiche in Israele, registrando l’entusiasmo del pubblico e della critica e aggiudicandosi il premio del Ministero della Cultura per le opere prime. L’autrice che ha trascorso l’adolescenza in un kibbutz e in un moshav nella Valle di Jezreel, nel nord di Israele, ambienta proprio in questi luoghi il suo romanzo che il quotidiano Haaretz definisce “maturo e sofisticato, con una trama e una struttura superbe e un universo di personaggi incredibile”. Nella Valle “che rappresenta l’apice della realizzazione del sionismo e dei suoi ideali”, in uno dei più antichi insediamenti agricoli collettivi israeliani tre generazioni della famiglia Shteinman si trovano ad affrontare le conseguenze di un segreto, conservato troppo a lungo, le cui ripercussioni si trasmettono come un’infausta eredità.
Sono trascorsi dodici anni dall’ultima pioggia e mentre oltre i confini dell’insediamento le stagioni si susseguono in modo regolare, sui suoi terreni non è più scesa una goccia d’acqua, il frumento è secco, i frutteti avvizziscono e il bestiame non ha foraggio per sopravvivere. Qualcuno pensa sia una maledizione divina per quel che è accaduto, per i troppi peccati.
Dai kibbutz spesso i giovani fuggono alla ricerca di nuove sfide ed emozioni ma capita che le aspettative troppo ambiziose siano disattese. E’ il caso di Yaeli che ricevuta in eredità la casa di zia Zipa decide di lasciare Tel Aviv, un matrimonio ormai compromesso, e di tornare nel villaggio d’origine della sua famiglia per aprire un bed & breakfast e concedersi un nuovo inizio. In grembo porta un bimbo il cui futuro è incerto perché potrebbe avere una sindrome di cui ha già sofferto un prozio, il buon Shimale, “l’uomo delle gru”, colpito più volte dal destino infausto e dall’egoismo delle persone alcune delle quali si annidano persino all’interno della famiglia. Anche la sorella Gali in crisi con il compagno, un uomo superficiale e vanesio, decide di tornare al villaggio per sposarsi sotto l’albero di pompelmo, nel cortile della casa di famiglia. Ma non è certo che i suoi progetti si realizzeranno… Il romanzo che si dipana con una struttura corale dà voce a ciascun personaggio, dai nonni Sofie e Yoske, ormai anziani ma fedeli al mito dei Padri Fondatori, ai genitori di Yaeli, troppo coinvolti dalle loro professioni per curarsi della crescita delle figlie e così via in un caleidoscopio di figure che formano il ritratto di tre generazioni e di ciò che resta del sogno sionista. Molti se ne vanno all’estero altri vendono quella terra che più di ogni altra incarna il sogno dei Padri Fondatori, ma c’è chi resta con la volontà irriducibile di lottare contro le meschinità, le incomprensioni, le truffe (come quella dei contatori dell’acqua)
e la siccità che distrugge i raccolti.
In questo libro “tortuoso e serpeggiante” scritto con umorismo e ironia ma anche con compassione, Israele è presente in ogni pagina perché l’autrice descrive in modo magistrale sia le atmosfere che la geografia dei luoghi: dal caldo intollerabile, al sole che acceca, dai frutteti che appassiscono ai campi di orzo ed erba medica fino ai silos dalla cui sommità Shimale, uno dei personaggi più intensi del libro, osserva la Casa del Popolo che in tempi passati ospitava “grandi riunioni con tante grida allegre”. Nelle ultime pagine si svelerà l’antico segreto che precipita la famiglia Shteinman verso una drammatica resa dei conti dove la presa di coscienza del male fatto non sarà di consolazione.
Una struttura decisamente originale è quella del primo libro di Sarai Shavit pubblicato in Italia. Poetessa, editor e presentatrice televisiva, Shavit è anche docente di scrittura creativa alla Tel Aviv University e alla Bezalel Academy of Arts and Design. “Lettera di amore e assenza” è un racconto poetico di grande forza espressiva narrato con il ritmo della poesia, una storia d’amore universale che potrebbe accadere in qualsiasi luogo. Nel fluire dei “versi in prosa” si dipana una narrazione che copre vent’anni e arriva al lettore attraverso le missive scritte dalla protagonista, una studentessa universitaria, appassionata di scrittura, che incontra un maturo professore autore di romanzi, se ne innamora e inizia con lui una relazione destinata a finire. Lei lo cerca, lui la corteggia ma è sfuggente perché sua moglie attende un figlio e non vuole ufficializzare il rapporto. Lei gli sottopone un racconto per avere un parere, si incontrano nei caffè ma col tempo la relazione si logora, lei lo abbandona ma come spesso accade le parti si invertono.
La protagonista ripercorre questo rapporto complesso dove all’inizio c’è spazio per un viaggio a New York: lui è ospite d’onore alla presentazione del suo ultimo libro e lei lo ammira entusiasta, condividono sesso e pensieri. Li ha tenuti insieme oltre a un erotismo intenso, l’amore per la letteratura e l’avere in comune un lutto: lei è orfana della mamma da tempo, lui perde la sua durante la relazione ma ha bisogno di lei per confrontarsi con il vuoto che si è impadronito della sua vita e ritrovare l’equilibrio che ha smarrito, nonostante il successo e la fama acquisita negli anni. E’ un amore “assente” che non troverà compimento, la loro esistenza si svolgerà su binari paralleli senza mai incontrarsi.
Vent’anni dopo lei è diventata una scrittrice apprezzata e casualmente lo incontra a Chicago, ma ormai lui è uno scrittore anziano che non emana più alcun fascino. A questo punto la protagonista non può far altro che mettersi a scrivere rievocando il loro amore in una lunga lettera che lui non leggerà mai. Pur essendo una “storia universale” che parla di sentimenti, di perdite, della ricerca di se stessi, Israele si insinua fra le righe, in modo solo apparentemente casuale, con le descrizioni nitide del deserto del Negev “tra montagne e smottamenti”, o dei caffè segreti “lambiti dal mare dove un sole invernale si inabissa nella sabbia”. E poi ci sono le lezioni di letteratura con lo studio dei classici israeliani come “Chaim Brenner e Menachem Gnessin, Isaac Bashevis Singer e Shai Agnon: sradicati, ribelli, storti, gente che attraversa i continenti”, i veri capisaldi della letteratura d’Israele. In pagine che scorrono veloci, con poche frasi essenziali ma efficacissime, le parole così finemente cesellate acquistano un ritmo musicale e ci parlano dello scontro fra generazioni di scrittori con differenti sogni e aspettative, di nostalgia e di desiderio, oltre che della costante ricerca dell’identità.