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La Repubblica Rassegna Stampa
31.10.2023 Guerra terza fase
Cronaca di Daniele Raineri

Testata: La Repubblica
Data: 31 ottobre 2023
Pagina: 10
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «La base nelle retrovie: 'Pronti in dieci secondi per soccorrere i feriti'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 31/10/2023, a pag. 10, l'analisi di Daniele Raineri dal titolo "La base nelle retrovie: 'Pronti in dieci secondi per soccorrere i feriti' ".

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Daniele Raineri

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NEL SUD DI ISRAELE — Un padre va a trovare la figlia soldatessa in una base militare israeliana vicina alla Striscia di Gaza. Ha una sporta di plastica piena di melograni perché ha passato la domenica a fare il volontario per la raccolta della frutta ed è tornato a casa con una quota in regalo. In questi giorni l’accesso dei giornalisti ai soldati mentre invadono la Striscia di Gaza è proibito, ma l’esercito di Israele è un esercito di riservisti, secondo la formula “esercito del popolo”, e i genitori possono incontrare i figli quando riescono con una borsa di cibo o di cambi: si entra con i melograni, al cancello le sentinelle fanno passare con un cenno di approvazione. La base è dentro a un edificio pubblico riadattato alla bell’e meglio, e chiedono di non dare indicazioni sulla posizione, perché arrivano razzi di Hamas dalla Striscia ed è così vicina che il preavviso è soltanto di pochi secondi da quando scatta la sirena di allarme. L’ultima volta, tre ore fa, i razzi erano così tanti che tre sono riusciti a passare le maglie del sistema di intercettazione e hanno colpito fra i palazzi. L’unità è fatta da medici, infermieri e soldati, uomini e donne – ma sarebbe meglio dire: ragazzi e ragazze, molti fanno ancora la scuola infermieri e sono stati chiamati dopo il 7 ottobre. Ecco la loro missione. Aspettano in un avamposto sul confine della Striscia per trentasei ore, non si possono levare gli elmetti e gli scarponi, non possono farsi la doccia e possono mangiare soltanto cibo in scatoletta perché se c’è da partire devono essere pronti in dieci secondi. Quando Hamas ferisce un soldato israeliano dentro la Striscia di Gaza i compagni del soldato lo portano indietro a metà strada. L’altra metà della strada la fanno loro a bordo di un’ambulanza. «Il problema è che man mano che il fronte avanza dovremo andare sempre più dentro, e per salvare i soldati usiamo un’ambulanza ben equipaggiata che però non è corazzata » – dice Lori, 24 anni, che studia da infermiera. Siete scortati? «Sì, un mezzo militare davanti e uno dietro». Quando le trentasei ore di allerta finiscono, si torna a questa seconda base e sono trentasei ore di pigiama, flip-flop, docce e pasti caldi. I dottori e i paramedici chiamano “combattenti” i soldati che si occupano della protezione, ma tutti portano il fucile a tracolla anche quando sono in pigiama e non possono staccarsene. Sono atterriti. L’idea di entrare dentro Gaza con la divisa dell’Idf li spaventa, si aspettano che gli uomini di Hamas facciano tutto il possibile per ucciderli, ne parlano con preoccupazione – come se qualcuno avesse chiesto loro di mettere piede su un pianeta alieno. Stanno seduti attorno a tavolo basso mentre sbucciano i melograni e parlano delle perdite fra i soldati che, sono sicuri, saranno molto alte. «Per ora ne abbiamo portato indietro soltanto uno, ma siamo all’inizio». Da fuori arriva il rumore di un’esplosione spaventosa, è un raid aereo sulla Striscia. Uno commenta in inglese: «The stronger, the better », più forte è meglio è. Un altro dice: speriamo che l’aviazione faccia un buon lavoro così quando entriamo sarà meno pericoloso. In questa base tutta la conversazione pubblica su Gaza che sta avvenendo in Europa e negli Stati Uniti, le migliaia di vittime civili, il numero dei bambini morti, il continuo aggiornamento al rialzo, gli appelli internazionali al cessate il fuoco, è come se non esistesse. Il punto di partenza è anche il punto finale. Ti dicono: Hamas non può restare dove sta dopo quello che ha fatto il 7 ottobre. Lo dice Eli, un soldato. Lo dice Sarah, una soldatessa. Dai palazzi attorno portano vaschette di alluminio appena riempite e caffé. «Ci fanno anche la lavanderia», dicono i soldati. Aprono una stanza, è piena di scatoloni di cibo donato. Il sottinteso è: qui non è Londra, nessuno vuole più Hamas come vicino. Ci sono anche due frasi di dissenso. Un soldato si domanda: «Chissà cosa pensano in Europa, e se avremo problemi con i passaporti dopo questa operazione». Una soldatessa osserva: «Se io fossi una madre con bambini sarei contro questa guerra, è troppo pericolosa». Dentro all’enclave palestinese i carri armati israeliani hanno raggiunto la via Salah ad-Din, che corre da Nord a Sud al centro della Striscia, e da lì si stanno spostando verso il mare, in modo da tagliarla in due settori: quello Nord, con al centro Gaza City, che sta per essere accerchiata, e quello Sud dove gli israeliani vorrebbero che si concentrasse la popolazione di Gaza – ma adesso potrebbe essere troppo tardi. Il primo ministro Netanyahu dice che dopo il contenimento di Hamas e la campagna di bombardamenti comincia la terza fase della guerra, l’estensione della presenza israeliana nella Striscia.

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