Fermare la guerra contro Hamas sarebbe una resa Analisi di Paola Peduzzi
Testata: Il Foglio Data: 31 ottobre 2023 Pagina: 1 Autore: Paola Peduzzi Titolo: «Dialoghi tra alleati»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 31/10/2023, a pag. 1, con il titolo 'Dialoghi tra alleati', l'analisi di Paola Peduzzi.
Paola Peduzzi
Milano. Dal 7 ottobre, il presidente americano, Joe Biden, è stato molto chiaro: Israele ha il diritto di difendersi, i terroristi di Hamas devono essere sradicati perché rappresentano una minaccia globale, gli ostaggi devono essere liberati e i civili palestinesi a Gaza devono essere protetti. Queste sono le linee guida dell’alleanza tra gli Stati Uniti e Israele: sono state ribadite con forza e determinazione da Biden, per levare di torno le polemiche del passato e le ambiguità interne ed esterne. Ieri il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto di voler minimizzare le perdite tra i civili palestinesi così come di voler liberare gli ostaggi – nell’operazione di terra ieri è stata liberata la soldatessa Ori Megidish: sta bene – ma fermare la guerra contro Hamas non è un’opzione, sarebbe una resa. Netanyahu ha ribadito la minaccia collettiva che rappresenta Hamas, in gioco c’è il futuro di Israele “ma anche quello dei vostri paesi”, ha detto il premier rivolgendosi ai giornalisti internazionali che lo ascoltavano e ricordando che i terroristi a Gaza non hanno alcuna volontà di difendere i civili, li usano come scudi umani come fanno i terroristi. Ieri Hamas ha pubblicato il video di tre donne che tiene in ostaggio dal 7 ottobre, mentre arrivava la notizia della morte di Shani Louk, la ragazza di 23 anni tedesco-israeliana che compariva in un filmato di quel sabato di massacro: l’abbiamo vista tutti, era la ragazza nuda su un camioncino di Hamas. Aveva le gambe rotte, la gente le sputava addosso, i terroristi la mostravano in questa oscena parata come un trofeo: sono stati trovati frammenti del suo cranio, del suo corpo non ci sono notizie. Le tre donne che compaiono nel video di Hamas – Yelena Trupanob, Daniel Aloni e Rimon Kirsht – ripetono quel che i terroristi hanno detto loro di dire: sappiamo, dice Aloni rivolgendosi direttamente al premier Netanyahu, che si è discusso un cessate il fuoco, ma tu non hai voluto accettarlo, preferisci il caos politico e militare che già ha causato il massacro del 7 ottobre e ora “ci stai uccidendo, ci vuoi uccidere tutti” invece ci devi liberare, devi liberare i palestinesi, devi farlo subito – questo “subito” diventa un urlo disperato alla fine del video. Il capo del Mossad, Dedi Barnea, è stato in Qatar nel fine settimana, come ha rivelato l’imprescindibile Barak Ravid su Axios, per discutere della liberazione degli ostaggi: questi colloqui sono arrivati dopo che le forze israeliane avevano iniziato l’espansione delle operazioni di terra in seguito anche al fatto che, secondo questa ricostruzione, Hamas continuava a non fornire la lista degli ostaggi a Israele attraverso il Qatar. Doha prendeva tempo e non otteneva rilasci nonostante gli annunci, intanto Hamas aveva chiesto la liberazione di seimila detenuti palestinesi nelle carceri israeliane in cambio dei 239 (questo è il numero fornito ieri, tragicamente provvisorio) ostaggi presi il 7 ottobre. Barnea è andato per vedere se qualcosa si è sbloccato nella capacità del Qatar di fare pressioni su Hamas – pressioni che la leadership del gruppo terroristico a Gaza non vuole probabilmente ascoltare: gli ostaggi sono una garanzia preziosa – e il resoconto della sua visita è stato visto come una notizia incoraggiante. Il segretario di stato americano, Antony Blinken, ha detto a Doha parole concilianti. Ieri era in visita a Washington il ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, fratello di Mohammed bin Salman ed ex ambasciatore a Washington per un incontro che era stato deciso tempo fa all’interno dei colloqui sugli Accordi di Abramo, ma che ora serve all’Amministrazione Biden per prepararsi all’eventualità che il conflitto si allarghi. Per ora c’è stata un’azione di contenimento sui paesi della regione, ma l’operazione di terra potrebbe cambiare molte cose; il presidente ha detto la settimana scorsa che l’attacco di Hamas aveva anche lo scopo – oltre quello primario che muove il gruppo terroristico in ogni sua azione: cancellare il popolo ebraico – di tranciare i passi avanti fatti nella normalizzazione del rapporto tra Arabia Saudita e Israele. Per questo è ancora più importante tenere in piedi il processo, anche se Riad è stata fin da subito molto critica con le operazioni israeliane a Gaza. Resta un solido e sostanziale allineamento tra l’America e Israele: sui metodi per raggiungere gli obiettivi ci sono grandi discussioni, molti dicono che siano anche parecchio accese, come è normale – e utile – che sia di fronte a una crisi in cui ci sono molte vite da proteggere e salvare e una battaglia esistenziale non rimandabile.
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