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La Repubblica Rassegna Stampa
24.10.2023 Il film sugli orrori di Hamas che i media internazionali ignorano
Commento di Francesca Caferri

Testata: La Repubblica
Data: 24 ottobre 2023
Pagina: 6
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Telecamere sulla strage. Il filmato dell’orrore che ha sconvolto Israele»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 24/10/2023, a pag.6 con il titolo "Telecamere sulla strage. Il filmato dell’orrore che ha sconvolto Israele" l'analisi di Francesca Caferri.

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Francesca Caferri

Israele, il massacro di civili ripreso dalle dashcam delle auto  parcheggiate al Nova Festival (immagini non adatte a un pubblico sensibile)  - Il Fatto Quotidiano

TEL AVIV — Ci sono corpi carbonizzati, bambini di pochi mesi massacrati, civili presi di mira come bersagli mentre guidano, cadaveri brutalizzati a colpi di vanga, intere famiglie morte nelle loro safe room , quelle allestite per salvarsi dai missili. L’esercito israeliano ha voluto rispondere alle immagini che arrivano da Gaza e che - secondo i portavoce militari rischiano di monopolizzare la narrazione su quello che sta accadendo, mostrando ieri ai giornalisti della stampa internazionale una parte delle «centinaia di ore» di video raccolti su quello che è accaduto sabato 7 ottobre: 43 minuti e 44 secondi estratti dalle telecamere di sorveglianza dei kibbuz e delle singole case assaltate, da quelle delle auto colpite, dai cellulari dei primi soccorritori ma anche da quelli dei terroristi catturati o uccisi. E dalle telecamere che molti di loro portavano addosso. La proiezione è avvenuta in una base militare alle porte di Tel Aviv: più di 200 i cronisti in sala. Sono immagini che è stato difficile guardare: a tratti più di una persona ha chiuso gli occhi. «Abbiamo pensato per giorni se mostrarvi questo video – premette il contrammiraglio Daniel Hagari, portavoce delle forze armate –. Se lo abbiamo fatto è perché vogliamo che capiate voi stessi per cosa stiamo combattendo: Hamas non è un nemico tradizionale. Se diciamo che è peggio dello Stato islamico è per dare una misura. Non ha niente a che fare con l’Islam: è un’entità che non vuole permettere l’esistenza di Israele e degli israeliani, che siano ebrei, beduini o arabi». Hagari sottolinea una parola: raw , grezzo. «Non abbiamo montato nulla: quello che vedrete è quello che è accaduto». Si parte con le immagini delle auto colpite, dei civili uccisi e delle loro auto saccheggiate. Poi si entra nei kibbuz, fra le case ancora addormentate dove c’è chi entra sparando e chi dà fuoco alle finestre. La fine che hanno fatto le persone che le abitavano la mostrano i video dei primi soccorritori: c’è chi è morto da solo, accanto alla lavatrice, chi con tutta la famiglia, in un rifugio. Chi ha cercato di nascondersi sotto a un tavolo: inutilmente. Uno dei frammenti più difficili da guardare è quello di due bambini e del loropadre che, svegliati all’improvviso, corrono verso il rifugio della loro casa, ancora in mutande. Nella telecamera di sicurezza appare una mano e lancia una granata: l’uomo è colpito in pieno e muore. I fratelli corrono fuori, coperti di sangue e si rifugiano nella cucina, dove colui che ha appena ucciso il loro papà si serve da bere, mentre loro gridano e invocano i genitori: l’Idf ha preferito non rispondere a una domanda sulla sorte dei due bambini. Del rave party di Re’im si sente la musica e si vedono i balli: poi gli stessi ragazzi appaiono stretti l’uno sull’altro in una stanza in cui un miliziano vestito di nero lancia una granata. Chi è ancora vivo è caricato su un pick up e portato a Gaza.Tutto secondo i piani: quelli trovati sui corpi dei miliziani uccisi che l’Idf ha distribuito ai giornalisti. E quelli che i terroristi catturati hanno rivelato alla polizia e allo Shin bet, a cui hanno confermato anche che a chi avesse portato a Gaza un ostaggio era stato promesso un premio di 10 mila dollari. Le immagini spiegano bene i sentimenti di buona parte dell’opinione pubblica in Israele in questo momento. Anche di quella che per mesi ha manifestato contro il governo e che ancora oggi chiede che il primo ministro Benjamin Netanyahu si assuma pubblicamente la responsabilità di quanto accaduto e faccia un passo indietro. Non è solo un Paese che ha dovuto affrontare iltrauma di 1.400 persone che credeva al sicuro e che invece sono state uccise in poche ore, questo: ma una nazione che ha dovuto guardare in faccia il come queste persone sono state uccise. E che è stata colpita in pieno anche sul campo della guerra psicologica: archiviate le macabre coreografie dell’Isis, le scenografie dell’orrore con le gabbie e le tute arancioni, Hamas ha trasmesso la morte in diretta, con i cellulari. «Nei primi giorni i nostri rappresentanti non hanno fatto che balbettare mentre Hamas si accertava che tutto fosse ripreso e condiviso. In questo senso ci siamo mostrati indietro di anni luce rispetto a loro », ha detto nei giorni scorsi aHaaretz lo storico militare Yaacov Falkov. È così. Per quanto l’esercito non abbia voluto mostrare le immagini ai media israeliani «per non ferire la sensibilità delle famiglie coinvolte», per quanto le maggiori televisioni abbiano deciso di non mostrare le immagini peggiori, e i siti internet si siano adeguati, chi ha voluto vedere non ha dovuto fare altro che andare su Telegram, sui canali dei soccorritori del Sud o su quelli di Hamas stessa. O cercare su Youtube, dove i video sono stati messi in tempo reale. Quello che tutto questo ha provocato a livello di opinione pubblica ce lo spiega spiega Liraz Margalit, psicologa della Reichman University specializzata nel comportamento collettivo: «Per giorni, è sembrato che non ci fossero che quelle immagini – dice –, la reazione che ne è seguita ha avuto fasi diverse: la prima è stata senza dubbio lo shock, la paura, il senso della perdita della sicurezza. Poi però è venuta la rabbia: la determinazione di reagire, tutti insieme. Questo Paese è stato diviso per mesi: oggi non lo è più. Certo, ci sono critiche verso il governo e Netanyahu per quello che è successo: ci saranno ancora. Ma al momento sono state messe da parte davanti all’esigenza di sconfiggere chi ci ha aggrediti». Quello di Margalit è un sentimento che condividono molti (non tutti, ma molti: lo raccontano i sondaggi) qui in Israele: guardare senza filtri quello che è successo il 7 ottobre può aiutare a capire perché.

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