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La Repubblica Rassegna Stampa
22.10.2023 Meloni a Netanyahu: avete diritto a difendervi
Cronaca di Tommaso Ciriaco

Testata: La Repubblica
Data: 22 ottobre 2023
Pagina: 4
Autore: Tommaso Ciriaco
Titolo: «'Condannate Hamas'. Il litigio Europa-arabi affonda il vertice di pace. E Meloni va a Tel Aviv»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 22/10/2023 a pag.4 con il titolo " 'Condannate Hamas'. Il litigio Europa-arabi affonda il vertice di pace. E Meloni va a Tel Aviv" l'analisi di Tommaso Ciriaco.

Meloni e Biden, più vicini di quanto pensiate”. L'elogio degli Usa alla  premier atlantista
Joe Biden con Giorgia Meloni

IL CAIRO — Succede a pochi minuti dall’avvio del vertice per la pace. Da ore, gli sherpa negoziano un’intesa. Algeria e Qatar, più degli altri, si impuntano. Non vogliono che Hamas venga menzionata. Certo, i qatarini si spendono da giorni per il rilascio degli ostaggi nella Striscia, ma su un punto sono irremovibili: l’organizzazione responsabile degli attacchi del 7 ottobre deve restare fuori dal testo congiunto. Nessuna condanna, anche se si tratta degli ostaggi. E se davvero si vuole inserire questo passaggio, rilanciano, allora si chieda anche la liberazione immediata dei detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane. È a quel punto che tutti capiscono che il vertice è destinato al fallimento. Che l’unica soluzione è prendere atto che Europa e mondo arabo possono concordare sulla necessità di non allargare il conflitto e sulla formula “due popoli, due Stati”, ma che non andranno oltre. Per non strappare l’esile tela di dialogo in mezzo ai venti di guerra, si affida alla presidenza di Al Sisi l’onere di una dichiarazione stringata. Risulterà ovviamente sbilanciata sulle ragioni dei palestinesi. New Capital sorge nel deserto, tirata su dal nulla per volere di Al Sisi. Il summit si gioca qui, tra grattacieli ancora da completare. È una tappa attesa da giorni, che ha permesso di regalare ossigeno a chi esplora margini diplomatici per contenere la reazione di terra d’Israele. Il tempo, però, stringe. E l’esito dell’incontro non incoraggia la speranza. Giorgia Meloni arriva al mattino, con un mandato politico chiaro: difendere le ragioni della mediazione della Casa Bianca. Tra i presenti, sarà la più esplicita nel citare e condannare gli autori delle stragi del 7 ottobre. Quello che il mondo arabo presente non accetta di sottoscrivere. «L’attacco di Hamas contro civili inermi lascia inorriditi. Dal nostro punto di vista è giusto condannarli senza ambiguità». Non solo. Tocca alla presidente del Consiglio volare subito dopo la conclusione del summit a Tel Aviv – dopo i viaggi di Joe Biden, Rishi Sunak e Olaf Scholz - per essere ricevuta un’ora dal primo ministro Benjamin Netanyahu (con il presidente Isaac Herzog avrà un contatto telefonico): quello che è successo, sostiene, è più di una guerra, «è un atto di antisemitismo». Un modo per consegnare un messaggio di solidarietà a Israele, che ha il diritto di difendersi. «Crediamo che siate in grado difarlo nel migliori dei modi, perché noi siamo diversi da quei terroristi». Prima, però, Meloni aveva sottolineato anche la richiesta di «commisurare la forza». «La reazione non può e non deve mai essere motivata da sentimenti di vendetta». È la linea del Presidente Usa, che davantia Netanyahu ha ricordato gli errori degli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Anche le ragioni dell’invito alla cautela sono identiche: sarebbe «molto stupido», sostiene la premier, cadere «nella trappola» di Hamas, che con gli attacchi mira a un obiettivo catastrofico: «La jihad islamica». Dosare la forza non significa restare immobili. Di fronte, però, ascolta una platea araba insofferente. Sempre più allarmata per quanto potrà accadere nelle prossime ore, come dimostra anche l’ingente spiegamento di forze di sicurezza che presidiano le strade del Cairo. Si temono reazioni di piazza. Ecco perché Al Sisi alza il livello della condanna verbale verso Israele. E perché poco dopo, il re giordano Abdullah II parla dei bombardamenti di Gaza come di «un crimine di guerra». Il resto lo fanno gli altri paesi arabi e del Golfo. Bloccano ogni possibile compromesso. Spingono al massimo per un immediato “cessate il fuoco” che l’Europa – con Usa e Gran Bretagna – non può accettare. Nel testo finale affidato all’Egitto non si menziona mai Hamas, né il diritto di Israele alla difesa, né la liberazione degli ostaggi israeliani e occidentali. Si sottolinea invece l’urgenza di aiuti umanitari a Gaza e di un orizzonte racchiuso nella formula “due popoli, due Stati”, che Al Sisi immagina basato sui confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale. Anche Meloni, lo spagnolo Sanchez e il presidente del Consiglio europeo Michel insistono per riattivare il percorso politico. «Dobbiamo fare l’impossibile per evitare una escalation. Serve un’iniziativa politica per “due popoli e due Stati”, con una tempistica definita». Ne discute con il presidente palestinese Abu Mazen, al quale ribadisce il sostegno italiano alla legittima autorità palestinese. Dopo il tramonto e lo Shabbat, Meloni vola in Israele. Incontra Netanyahu, che le dice: «È la nostra ora più buia. Una battaglia tra le forze di civiltà e barbari mostri. È un test di civiltà e lo vinceremo. Ci aspettiamo che tutti i Paesi si schierino per combattere Hamas». Nell’aria, al Cairo, resta la sensazione di un attacco di terra sempre più vicino. Israele non rinuncerà a distruggere i tunnel di Hamas, né i suoi depositi militari. Con quanta forza lo farà, però, è ancora nelle mani della diplomazia.

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