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Il Foglio Rassegna Stampa
18.10.2023 Teheran minaccia e poi si rimangia tutto
Analisi di Cecilia Sala

Testata: Il Foglio
Data: 18 ottobre 2023
Pagina: 1
Autore: Cecilia Sala
Titolo: «Teheran minaccia e poi si rimangia tutto: ha paura di finire male in una guerra totale»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/10/2023, a pag.1, con il titolo "Teheran minaccia e poi si rimangia tutto", l'analisi di Cecilia Sala.

Cecilia Sala (@ceciliasala) | Twitter
Cecilia Sala

Editorial cartoons for Oct. 15, 2023: Israel-Hamas war, leaderless House -  syracuse.com

Tel Aviv, dalla nostra inviata. Mentre i terroristi di Hamas massacravano civili ebrei nei kibbutz e alle feste, a Teheran le autorità organizzavano spettacoli pirotecnici e dipingevano bandiere israeliane a terra perché chiunque potesse calpestarle – ma questa volta gli spettacolini osceni non hanno sortito l’effetto sperato. Allo stadio, i tifosi del Persepolis hanno invitato un addetto alla sicurezza che provava a srotolare sulla loro testa una gigantesca bandiera palestinese a “infilarsela dove non batte il sole”. Nel centro della capitale, gli iraniani camminavano rasentando il muro in punta dei piedi pur di non calpestare la stella di David blu su sfondo bianco dipinta sull’asfalto. Nelle ore della strage, molti iraniani erano più lucidi nell’individuare i crimini, i criminali e le vittime di tanti studenti di Harvard. Un militare iraniano in pensione, raggiunto al telefono dal Foglio, dice: “Non conosco nessuno qui a Teheran che non inorridisca all’idea di un neonato fucilato nella propria culla, che sia nato in un paese di cui riconosciamo la legittimità o meno”. Dal 7 ottobre in cui è cominciato l’agguato di Hamas che ha ucciso più di millequattrocento israeliani, la linea ufficiale di Teheran si è contraddetta spessissimo oscillando tra una posizione difensiva – “non c’entriamo nulla con l’attacco”, “non sapevamo”, “non abbiamo intenzione di colpire Israele se prima non veniamo attaccati noi direttamente” – e una aggressiva e intimidatoria: “Ci vuole una mossa (militare) preventiva altrimenti Israele un giorno bombarderà anche i nostri bambini al pari di quelli di Gaza”, come ha detto due sere fa il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian. Amir-Abdollahian si è poi rimangiato la minaccia ieri, così: “Teheran non vuole che la guerra tra Hamas e Israele si estenda al di fuori della Striscia di Gaza”. E’ un altalenare quasi isterico, e dopo la smentita del ministro ora anche un comandante esperto dei pasdaran come Ali Fadavi ha voluto salire sul palco, affollato, da cui si prova a spaventare Israele: “Ci sarà un’altra onda d’urto. Gli attacchi del fronte della resistenza contro il regime sionista continueranno finché questo ‘cancro’ non sarà sradicato dalla mappa del mondo”. E la tv iraniana trasmette spot per arruolare volontari “che si uniscano alla lotta”. Lo stile minatorio è tipico dei Guardiani della rivoluzione, ma proiettare la propria forza (il proprio spirito distruttivo) non sempre significa essere pronti a usarla. I pasdaran avevano già minacciato ritorsioni da guerra totale dopo l’uccisione del generale Qasem Soleimani e dello scienziato-pasdaran Mohsen Fakhrizadeh, senza poi metterle in pratica. E Soleimani e Fakhrizadeh erano più importanti per Teheran di quanto non lo sia oggi Hamas. Dopo l’attacco dei terroristi che occupano Gaza, e dopo la risposta israeliana con i bombardamenti sulla Striscia, anche la Guida suprema Ali Khamenei ha lanciato i suoi insulti sguaiati contro Israele, ma dicendo allo stesso tempo che con l’operazione nei kibbutz Teheran non c’entra direttamente (è raro che Khamenei parli in prima persona e con parole chiare di questo genere di eventi), e in sostanza ricordando che la dottrina militare dell’Iran è non immischiarsi mai formalmente nelle guerre, lasciando fare il lavoro sporco alle milizie. In questo senso, anche le dichiarazioni del ministro degli Esteri, in cui si chiamava “una mossa preventiva” contro Israele, non si riferivano a un attacco militare dell’Iran, ma della milizia sciita alleata Hezbollah in Libano o dei combattenti amici in Siria. L’ambiguità iraniana negli ultimi undici giorni di guerra si è mossa su un equilibrio scivolosissimo: minacciare nella speranza che Israele rinunci a distruggere un protetto di Teheran, Hamas, per paura di una guerra più grande; provando allo stesso tempo a evitare di tirarsi addosso, in casa propria, quella guerra grande. Gli scambi di colpi al confine, tra Israele e Hezbollah in Libano, ci sono stati, ma finora nessuno ha voluto davvero aprire il fronte nord del conflitto. Per Israele sarebbe un problema dover combattere contemporaneamente con Hamas nel sud e con Hezbollah nel nord ma, a specchio, anche i più pragmatici tra gli analisti militari iraniani dubitano che a Teheran convenga rischiare di perdere una milizia più importante di quella palestinese, il cosiddetto “partito di Dio” in Libano, in una guerra allargata e nel momento in cui ci sono due portaerei americane schierate in difesa di Israele. Il piano B, secondo l’esperto Hamidreza Azizi, potrebbe essere schierare le milizie sciite in Siria dando loro il compito di “disturbare” da nord la guerra di Israele contro Hamas nel sud – perché quelle milizie sono più deboli quindi più sacrificabili. Gli aerei da guerra israeliani stanno decapitando Hamas, ieri hanno ucciso Iman Naful, l’equivalente di un generale e il vertice più importante eliminato finora (il settimo da quando è cominciata la guerra). Forse anche per questo, oltre che per le pressioni americane e per evitare un allargamento del conflitto, ieri il portavoce delle Forze armate israeliane ha detto che “la prossima fase potrebbe essere diversa da come molti se la aspettano”, cioè diversa dall’invasione della Striscia.

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