Testata: Il Foglio Data: 14 ottobre 2023 Pagina: 7 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Se scomparisse Israele»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/10/2023, a pag. 7, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo 'Se scomparisse Israele'.
Giulio Meotti
Lo stato di Israele nel 2024 è ridotto alla “città-ghetto” di Tel Aviv. Persino Jaffa è tagliata fuori. Il nord è sparito, il sud è sparito, Gerusalemme è sparita. Non ci sono più ebrei in Giudea e Samaria. Ciò che rimane è una zona fortificata di piccole dimensioni. Telecamere e droni vigilano sulla popolazione ebraica rimasta. Bram Mannheim è un ebreo olandese che insegna Storia all’Università di Tel Aviv. Deve ritrovare il figlio scomparso. Bram gestisce un ufficio che aiuta i genitori dei bambini israeliani scomparsi. Fantasia uscita dalla penna dello scrittore olandese Leon de Winter e del suo romanzo “Il diritto al ritorno”, ma neanche poi tanto, vista la cronaca del 7 ottobre 2023. E se Israele avesse perso la Guerra dei sei giorni? Provò a immaginarlo, due anni dopo il conflitto, un altro romanzo (questo mai pubblicato in italiano, mentre De Winter è uscito per Marcos y Marcos). Lo scrisse Robert Littell, romanziere e padre dell’autore de “Le benevole”. Si intitola “If Israel Lost the War”. Il romanzo si apre sull’immagine di una colonna di carri armati israeliani in fumo, migliaia di soldati israeliani fatti prigionieri, massacri dei civili. I palazzi di molte città israeliane sono già vuoti, e vuote sono le città, le macchine abbandonate lungo le vie come stormi di uccelli. In diretta tv, il presidente americano Lyndon Johnson dichiara: “Gli Stati Uniti sono fieri di aver evitato che il conflitto si sia trasformato nella Terza guerra mondiale”. Sirhan Sirhan non ha mai assassinato Robert Kennedy, ma decide di rientrare in Giordania per celebrare la distruzione dello stato ebraico. Israele, sconfitto, viene smembrato e spartito fra Egitto, Giordania, Siria e Libano. Gli occupanti arabo-islamici emanano il decreto numero 1223: “Deportazione di tutti gli ebrei nati all’estero”. Il Congresso americano si fa carico degli immigrati da Israele. Masse di ebrei affollano l’aeroporto Ben Gurion. Inizia una nuova diaspora. Il libro si conclude con l’elicottero di Nasser che sorvola le rovine di Tel Aviv e Moshe Dayan che viene portato di fronte al plotone di esecuzione. Uno scenario che sembrava più irrealistico quando uscì il romanzo, due anni dopo quel fatale conflitto, di quanto non lo sia oggi che Israele evacua decine di moshav e kibbutz al confine con Gaza, che ci sono 150 israeliani rapiti, che si parla di guerra al nord con Hezbollah, di evacuare l’alta Galilea e che il sud è deserto. Gli operatori umanitari di tutto il mondo hanno finalmente convinto i funzionari israeliani che il loro stato non ha il diritto morale di esistere. “Questo è tutto”, dice il primo ministro Netanyahu in conferenza stampa: “Stiamo smantellando la nazione di Israele. Ho fatto le valigie e domani mi trasferirò in Ucraina. I nostri critici hanno ragione: tutti i problemi del mondo possono essere fatti risalire a noi. A tutti gli ebrei israeliani e ai coloni illegali è stato ordinato di trasferirsi nei paesi dei loro antenati”. I paesi europei erigono enormi striscioni con la scritta “Bentornati a casa, ebrei”. L’Iran annuncia: “Con l’entità sionista fuori dai piedi, stiamo smantellando il nostro programma nucleare e smetteremo di finanziare Hezbollah e altri gruppi terroristici”. Al Qaeda e lo Stato Islamico: “Israele è stata l’unica ragione per cui abbiamo bombardato New York, il Pentagono, Parigi, Londra, Bali, Kashmir, Russia, Marocco, Nigeria, Austria, Svezia e Belgio. Ma ora, tutti le nostre operazioni cesseranno mentre ci dedicheremo alla costruzione di una catena di ristoranti mediorientali”. Sciiti e sunniti si abbracciano e mettono fine a secoli di faide. Erdogan declama: “Con la scomparsa di Israele, possiamo smettere di massacrare i curdi e ci ritireremo da Cipro Nord!”. Poi un portavoce di Hamas: “Trasformeremo Gaza in un resort per i vecchi europei”. Il Segretario generale delle Nazioni Unite: “Anche noi ci stiamo sciogliendo. Senza Israele da condannare, quali risoluzioni potremmo approvare? Il nostro lavoro è finito”. Il mondo intero tira un sospiro di sollievo. Una nuova alba per l’umanità. Scherzi a parte, in una piazza di Teheran c’è davvero un grande orologio che in questo momento conta i giorni che mancano alla distruzione di Israele. La data è settata per il settembre 2040, secondo le istruzioni date dalla Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei: “Entro 25 anni non ci sarà più nessun Israele”. Lo sceicco Ahmed Yassin, il fondatore di Hamas, era più ottimista e dava la fine d’Israele per il 2027, quarant’anni dopo la prima Intifada. Un missile iraniano oggi impiegherebbe dodici minuti per raggiungere le città dello stato ebraico e incenerirle. E’ come un rumore di sottofondo. E’ la possibilità che lo stato di Israele possa non sopravvivere. “Un Piemonte schiacciato e allungato, che si estende dalle Alpi a Roma”. Così definì Israele Carlo Casalegno sulla Stampa. Israele occupa una superficie inferiore a quella del Piemonte (poco più di 20 mila chilometri quadrati) e ha appena il doppio di abitanti di Roma. Ad Haifa, la terza città più grande d’Israele, c’è il più importante ospedale al mondo che sorge sotto terra. Un progetto da duemila letti, da usare in caso di attacco chimico e missilistico. Un sistema è pronto a lanciare a tutti i cellulari israeliani l’allarme in tempo utile. Dove per utilità s’intende il minuto necessario (ma sufficiente?) per raggiungere i rifugi antiatomici. Saul Bellow, Premio Nobel per la Letteratura, colse la condizione di Israele quando lo definì in questo modo: “E’ sia uno stato-guarnigione che una società colta, sia spartana che ateniese. Non capisco come possono sopportarlo”. Contro lo stato ebraico è in corso una guerra santa, una guerra totale. Non ci si venga a raccontare di una guerra di liberazione. E’ il paradosso dell’unica società aperta del medio oriente cui i nemici della democrazia e della libertà hanno chiuso tutti i confini. Tutti i voli internazionali da e per l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv possono essere interrotti in un attimo, come è appena successo, e Israele che si ritrova una sola via di uscita: il Mediterraneo, dove nel 1948 volevano buttare gli ebrei. Un progetto della Heritage Foundation ha calcolato le conseguenze del lancio di armi “sporche” su Tel Aviv. Un attacco a sorpresa con il gas sarin nel centro di Tel Aviv provocherebbe tremila morti. Una testata di 500 chilogrammi di botulino ucciderebbe 50 mila persone, mentre 450 chilogrammi di gas nervino Vx 13 provocherebbero la morte di 43 mila persone. Per avere un assaggio di quello che la umma ha in mente per Israele, l’ayatollah Khamenei ha ordinato alle Guardie della rivoluzione di diffondere un video in cui si vedono soldati musulmani che guardano Gerusalemme e si preparano a conquistarla. La sequenza si apre con dei primi piani di quattro soldati. Sulle divise sono visibili gli stemmi delle Guardie rivoluzionarie iraniane, di Hamas e di Hezbollah. L’inquadratura si allarga e mostra il gruppo di combattenti su una collina mentre scrutano Gerusalemme e la Moschea di al Aqsa in attesa dell’attacco. La clip porta il titolo “Preparazione alla completa distruzione di Israele da parte delle Guardie rivoluzionarie islamiche in Iran”. Se Israele dovesse oggi sparire, l’Iran estenderebbe la sua influenza su tutto il medio oriente fino al Mediterraneo. L’Iran potrebbe mettere il mondo in ginocchio riducendo la produzione di petrolio. Gruppi islamisti come l’Isis non sono stati ancora in grado di prendere il potere in Giordania soltanto grazie alla presenza dell’esercito israeliano. Se Israele dovesse scomparire, i palestinesi finirebbero con un’altra dittatura araba che li opprimerebbe e ridurrebbe in povertà. La prima a cadere sarebbe la Giordania, che gli islamisti disprezzano a causa dei legami di re Abdullah con l’occidente, gli Stati Uniti e Israele. L’Iraq sarebbe subito assorbito dal super-stato “Shiastan” che si espande dall’Iran khomeinista. E nulla impedirebbe all’Iran e agli islamisti di dichiarare guerra all’Arabia Saudita e ai paesi arabi alleati. Gli islamisti assumerebbero il pieno controllo di tutti i corsi d’acqua che le flotte occidentali potrebbero utilizzare per inviare navi e truppe nella regione, compreso il Golfo Persico e il Canale di Suez. A quel punto, gli Stati Uniti e l’Europa sarebbero davvero i vassalli dei regimi islamisti. A questa destabilizzazione ci siamo andati vicini in questi anni, con la presa del potere dei Fratelli musulmani in Egitto e i morti e il caos nelle strade, l’uccisione dell’ambasciatore americano Chris Stevens in Libia e l’ascesa dell’Isis nelle coste del Mediterraneo, la guerra civile siriana, la nascita di Al Qaeda nel Maghreb, la costruzione di uno Stato Islamico su un terzo del territorio iracheno. Anche se gli Stati Uniti trovassero i mezzi per difendere i propri interessi in medio oriente in caso di caduta di Israele, costerebbe molto di più dei tre miliardi di dollari che Israele riceve ogni anno, per non parlare dei costi in termini di vite umane di una lunga guerra in cui le truppe americane, senza una base amichevole come Israele da cui muoversi, sarebbero costrette a combattere. Questo, naturalmente, sempre nell’ipotesi in cui il popolo americano accettasse di affrontare una simile guerra, improbabile dopo la catastrofe in Afghanistan e in Iraq. Israele è dunque l’unico cuscinetto occidentale contro uno tsunami islamista che si espanderebbe fino all’Europa. C’è un film, “2048”, del regista Yaron Kaftori. Israele non esiste più. Un bibliotecario a Berlino cura il “memoriale della cultura sionista”, c’è una ex israeliana che ha aperto un ristorante in Canada, c’è la profuga che si è fermata a Cipro per essere più vicina a Sion. Si scopre un video girato nel 2008 per le celebrazioni per il sessantesimo anniversario dalla nascita dello Stato ebraico. Israeliani davanti al barbecue il giorno della festa dell’indipendenza, mentre rispondono alla domanda: “Come sarà il centesimo compleanno?”. Per quella data, Jonathan Sacks, già rabbino capo del Regno Unito e uno dei grandi maestri globali dell’ebraismo, aveva previsto due scenari. Uno è molto fosco: “L’anno è il 2050. Gli ebrei hanno lasciato l’Europa. E’ diventato così pericoloso indossare segni di ebraicità o esprimere sostegno a Israele in pubblico che gli ebrei hanno deciso di andarsene tranquillamente. A cento anni dall’Olocausto, l’Europa è jüdenrein. Negli Stati Uniti l’unico gruppo significativo sono gli ultra-ortodossi. Al di fuori dell’ortodossia, i tassi di disaffiliazione sono così alti che il resto dell’ebraismo diventa le nuove dieci tribù perdute. In Israele, una popolazione assediata si aggrappa cupamente alla vita. L’Iran, avendo vinto il suo confronto con l’occidente, ha usato la sua nuova ricchezza e legittimità per accerchiare Israele con gruppi terroristici armati fino ai denti, il suo arsenale nucleare è una minaccia serissima contro ogni reazione decisiva. Molti israeliani se ne sono andati sapendo di poter trovare arance e sole anche in Florida e in California. Non puoi far crescere i bambini all’ombra della paura”. Poi c’è lo scenario ottimistico tratteggiato da Sacks: “L’anno è il 2050. Gli ebrei in Europa stanno prosperando. Gli europei si sono finalmente resi conto che la minaccia dell’islam radicale non era solo rivolta agli ebrei e Israele, ma era contro la libertà stessa. Hanno agito, e ora gli ebrei si sentono al sicuro. Negli Stati Uniti, la vita ebraica è in aumento, i leader hanno deciso di sovvenzionare l’educazione ebraica e investire seriamente nella continuità ebraica. Israele, nel frattempo, avendo stretto alleanze strategiche con l’Egitto e l’Arabia Saudita di fronte a un Iran dotato del nucleare e all’islamismo apocalittico, ha finalmente trovato in Medio Oriente la propria accettazione de facto, se non la legittimità de jure”. Pochi mesi dopo la guerra del 1967, sul Los Angeles Times, un filosofo di nome Eric Hoffer scrisse: “Gli ebrei sono soli al mondo. Se Israele sopravvive, sarà solo per merito degli sforzi ebraici. Ho una premonizione che non mi lascia in pace; come va per Israele così andrà per tutti noi. Se Israele dovesse perire, l’olocausto sarà su tutti noi”. Il 7 ottobre della civiltà occidentale.
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