La fine dell’illusione di una possibile pace
Analisi di David Elber
Quanto accaduto nel sud di Israele sabato 7 ottobre 2023 rappresenta la fine dell’illusione di una pace possibile. Si, della sua illusione, perché una reale pace non è mai stata contemplata dalla dirigenza palestinese. Essa, è sempre e solo stata, un’illusione covata da parte della società “progressista” israeliana e imposta a tutto lo Stato di Israele dagli USA e dall’Europa per mere ragioni di opportunismo politico ed economico. Fin dal 1948 è stato chiaro che gli arabi non hanno mai voluto la pace (e non la voglio oggi), ma si è voluto coltivare l’idea contraria, sia per interessi economici che per una pia illusione: cioè che una parvenza di benessere economico della popolazione araba potesse sostituire un odio ancestrale come è avvenuto in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ma questo è un ragionamento che è stato fatto, ed è fatto, da coloro che non conoscono né la storia del Medio Oriente né tanto meno la sua cultura.
Prendiamo ad esempio quanto fatto dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU lunedì 9 ottobre, cioè due giorni dopo la mattanza di civili operata da Hamas e costata oltre 1.300 morti, come riportato da Paola Peduzzi sul Foglio: «Lunedì pomeriggio, il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha osservato un minuto di silenzio per le vite perse nei territori palestinesi su richiesta dell’ambasciatore pachistano che ha detto che queste vittime “ricordano tristemente l’effetto di sette decenni di occupazione straniera illegale, di aggressione e di mancanza di rispetto della legge internazionale”». Può sembrare una macabra barzelletta ma è una realtà che va avanti da decenni, in ogni forum dell’ONU, con la piena compiacenza dell’Occidente. Questo modo di agire e di pensare, che può assumere queste forme grottesche, non è altro che una profonda, radicata e inscalfibile matrice antisemita che nel corso dei secoli ha solo cambiato pelle, e che in Europa recita: “se massacrano gli ebrei qualche cosa hanno commesso”. La vera vergogna, al Consiglio per i diritti umani, non è tanto che il Pakistan abbia proposto questa sconcezza (sono da rimarcare “i sette decenni di occupazione”) ma che nessun paese abbia accennato a proteste o sdegno. Ma questo è solo l’ultimo esempio di una lunghissima sequela di risoluzioni, mozioni, dichiarazioni simili e che ha, sempre, visto tutto l’Occidente accondiscendente. Così accondiscendente che ormai si ha la netta sensazione che i paesi Occidentali non presentino questo genere di proposte, solamente, per una sorta di “pudore post Shoah” ma si accodano ad ogni occasione, come a dire “lo penso ma non ho il coraggio di dirlo”.
Questo spiega il perché Israele sia trattato dall’Occidente, come dal resto del mondo, in modo differente rispetto a tutti gli altri paesi del mondo. Infatti, Israele è l’unico paese che sia stato minacciato, aggredito militarmente, e che abbia vinto tutte le guerre ma, inevitabilmente, è lo Stato che subisce le pressioni di tutti per costringerlo a concessioni all’aggressore per arrivare alla “pace”. Gli Stati Uniti hanno fatto concessioni al Giappone? L’Urss ha fatto concessioni alla Germania? O forse le ha fatte la Gran Bretagna? No, la pace è stata imposta dai vincitori ai vinti, come del resto, è sempre accaduto. Perché allora questo doppio standard? Il perché lo si capisce parafrasando la frase: “in fondo se tutti ce l’hanno con Israele, qualcosa avrà fatto”. Qui sta il punto, cosa ha fatto Israele? La realtà ci dice che Israele ha la “colpa” di essere sopravvissuto alla guerra di sterminio (uguale nei modi a quella di Hamas di sabato scorso) lanciata dagli arabi nel 1948. Nell’immaginario collettivo questa “colpa” ha assunto, di volta in volta, diverse forme che mutano, si modificano o si sovrappongono nel corso dei decenni. Tali forme sono: “gli ebrei hanno rubato la terra dei legittimi proprietari arabi”; “Israele occupa le terre degli arabi”; “Israele occupa illegalmente i territori palestinesi”; “Israele è una costruzione artificiale che non centra nulla con il Medio Oriente” e molte altre forme ancora. Diventa ovvio che se questa distorsione della realtà viene accettata (anche se non tutti osano dirlo apertamente in Occidente) ogni aggressione che Israele subisce, in qualche modo diventa accettabile, e le pressioni internazionali ogni volta ricadono, unicamente, su Israele.
Vediamo degli esempi.
Tra il 1948 e il 1956, quando Israele non era ancora accusato di “occupare” nessun territorio, men che meno quelli “palestinesi” che ancora come tali non esistevano nemmeno, era soggetto continuamente ad attentati terroristici che rapportati alla sua popolazione di allora erano paragonabili a quelli della seconda intifada. Questi attentatori partivano da località della Giudea e Samaria (allora occupata illegalmente dalla Giordania) e dalla Striscia di Gaza (allora occupata illegalmente dall’Egitto). Nonostante ci fosse uno stillicidio di attentati, nessuno all’ONU ha mai condannato l’Egitto o la Giordania per ospitare e armare gli attentatori, né il Consiglio di Sicurezza né l’Assemblea Generale o qualsivoglia agenzia ONU. Lo stesso vale per le cancellerie di Europa o Stati Uniti. Mai hanno fatto “pressioni” affinché questa illegalità omicida terminasse. L’Egitto, per di più, decise in modo illegale secondo il diritto internazionale, di impedire alle navi commerciali israeliane di attraversare il canale di Suez. Almeno per questo atto illegale, il Consiglio di Sicurezza approvò una risoluzione (ma non di condanna) che almeno chiedeva all’Egitto il libero passaggio alle navi civili israeliane come previsto dalle convenzioni internazionali, ma l’Egitto non fece nulla e tutto finì in niente. Nel 1956, Israele reagì agli attacchi originati dall’Egitto, sconfisse gli egiziani ma fu costretto a ritirarsi dal Sinai senza ottenere nulla in cambio. Anche gli attentati di lì a poco ripresero e il canale di Suez rimase sempre chiuso per Israele. Perché in occasione di quella legittima guerra difensiva, Israele, fu trattato al pari di un aggressore? Così come poi è successo, nei fatti, nel 1967, nel 1973, nel 1978, nel 1982 e fino ai nostri giorni? Semplicemente perché Israele di volta in volta era accusato di qualche illegalità: “uso sproporzionato della forza”; “occupazione illegale di territori”; “insediamenti illegali” oppure di tutte queste false accuse assieme. Benché principi come “uso sproporzionato della forza” o “insediamenti illegali” neanche esistono nel diritto internazionale vengono utilizzati per criminalizzare Israele, e unicamente Israele, per poi chiedergli di fare delle concessioni alla controparte. Criminalizzando Israele, nella pratica, lo si obbliga a cedere in sede di trattative, è stato così nella “pace” con l’Egitto, nella “pace” con la Giordania, nelle trattative con i palestinesi e in occasione degli accordi di Abramo. Israele in tutte queste circostanze è la parte che immancabilmente deve fare delle concessioni. Perché? Perché in fondo è considerato uno Stato illegittimo fin dalla sua nascita e, come tale, viene sempre considerato in sede di qualsiasi trattativa e per questa ragione è la parte che deve sempre cedere qualche cosa per espiare la propria “colpa”. Questo atteggiamento fa ritornare alla memoria un episodio, accaduto durante le trattative di pace, che si svolsero a Parigi nel 1919, quando Weizmann e Clemenceau si incontrarono e dopo una veloce descrizione delle richieste a nome del popolo ebraico fatta da Weizmann, Clemenceau gli rispose: «Noi cristiani non possiamo perdonare gli ebrei per aver crocifisso Cristo». Oggi le cose sono ancora congelate lì.
Ma vediamo degli esempi che valgono per altri paesi.
Gli Stati Uniti, dopo aver subito l’aggressione di Pearl Harbor, nella quale in proporzione hanno subito molti meno morti di Israele il 7 ottobre, hanno raso al suolo quasi tutte le principali città giapponesi, ha utilizzato due bombe atomiche e poi ha sconfitto il Giappone obbligandolo ad una resa senza condizioni. Sono mai stati accusati di “uso sproporzionato della forza”? Quando gli USA subirono gli attentati dell’11 settembre, nei quali in proporzione hanno subito molti meno morti di Israele il 7 ottobre, benché gli attentatori fossero sauditi, hanno invaso l’Afghanistan e poi l’Iraq, sono mai stati accusati di “occupazione illegale o uso eccessivo della forza”?
Quando l’Unione Sovietica, dopo essere stata aggredita dalla Germania e dopo averla sconfitta e obbligata ad una resa incondizionata, ha invaso e annesso l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, parte della Polonia, parte della Romania, è mai stata accusata di “occupazione illegale” o di “”uso sproporzionato della forza”?
Quando la Polonia, dopo la Seconda guerra mondiale, ha annesso la Pomerania e la Slesia tedesche, è mai sta accusata di “occupazione illegale” o di costruire “insediamenti illegali”?
Tanti altri esempi si potrebbero fare per dimostrare che uno Stato, dopo essere stato aggredito e aver sconfitto l’aggressore, non è mai stato accusato di “uso sproporzionato della forza” o di “occupazione illegale di territori”, questo vale unicamente per Israele. Questo perché gli USA, l’allora URSS, la Polonia, sono sempre stati considerati paesi legittimi mentre Israele in fondo in fondo non è considerato tale. Questo concetto è rafforzato dall’abitudine, ad esempio, nell’immediatezza di una aggressione subìta da Israele, o durante le viste ufficiali di capi di Stato o Premier in Israele, di assistere immancabilmente alla retorica frase relativa “al diritto di Israele di esistere”. Qualcuno ha mai sentito dire questa frase ad un capo di Stato che si reca in Francia, in Giappone o in Giordania? Perché questa esigenza di ribadirlo? Oppure quando, subìto dopo una aggressione, quando Israele legittimamente si difende, inizialmente tutti evocano “il diritto di Israele a difendersi”. Ma a ben vedere questo diritto è implicito ed è perfino sancito nello Statuto dell’ONU, perché ribadirlo? La frase corretta, invece, deve essere “Israele ha il dovere di difendersi”.
Poi, però, quando Israele inizia a difendersi la musica cambia: immediatamente e inevitabilmente si trova sul banco degli imputati per “uso sproporzionato della forza”, poi per “occupazione illegale” o per aver costruito “insediamenti illegali”. Tale modo di “vedere” Israele lo mette sempre in condizione di disparità in qualsiasi trattativa: è stato così con l’Egitto, con la Giordania e con i palestinesi. Quest’ultimo, poi, è un caso davvero emblematico. Nel 1948 quando Israele diventa indipendente, non sono neanche un popolo riconosciuto come tale, lo sarebbero diventati circa venti anni dopo. Per oltre 40 anni si impegnano solo nel terrorismo e nel coltivare odio antiebraico nei campi profughi che diventano una autentica incubatrice di odio con i soldi dell’Occidente. Il loro leader, Arafat, dopo una carriera da terrorista come pochi nella storia, e dopo aver parteggiato per tutti i peggiori dittatori del mondo (tra i quali Saddam Hussein appoggiato anche dopo l’invasione del Kuwait), viene riabilitato dagli USA e imposto come partner della pace ad Israele. Al tavolo delle trattative, sfociati nei così detti accordi di Oslo, fin da subito la situazione assume – cosa che è ancor oggi così – una dimensione da teatro dell’assurdo: i palestinesi rigidi nelle loro richieste, benché, non abbiano mai realmente accettato Israele e abbiano fatto tutto il possibile per cancellarlo, sono assecondati dalla comunità internazionale; mentre Israele è costretto, dalla medesima comunità internazionale, ad accettare le sempre maggiori e variegate richieste arabe. Questa è un ulteriore conferma che tra i due soggetti, quello, con le legittime aspirazioni, sono i palestinesi mentre Israele è considerato uno Stato, nei fatti, illegittimo. Si può pensare, ad esempio, ad una ipotetica trattativa di pace tra Gran Bretagna e la Germania, dove è la Germania a essere stata rigida nelle sue posizioni e tutte le pressioni internazionali cadono sulla Gran Bretagna “perché è il paese più forte che deve concedere” o “perché è con i nemici che si fa la pace per quanto dolorosa”. Si è mai visto nella storia una cosa del genere al di fuori di Israele? No, questo semplicemente perché i paesi che hanno vinto sono stati sempre considerati legittimati a fare le loro richieste a prescindere. Israele no, lui è frutto del peccato originale e ha sempre torto a prescindere, per questo che vinca o che perda (anche se tutti sappiamo benissimo, e i fatti del 7 ottobre lo dimostrano, che se dovesse perdere vi sarebbe uno sterminio) è lui che deve concedere: territori, la capitale, pagare i profughi causati dall’aggressione degli altri ecc.
Un’ultima annotazione è doverosa farla, ed è quella relativa alla conta dei morti civili nei vari conflitti a cui Israele è stato obbligato. Questa pratica è diventata un subdolo metodo di delegittimazione di Israele anche da punto di vista morale. Si è creato il finto assunto che chi subisca più morti civili ha sempre ragione e chi ne ha subiti meno ha torto. Naturalmente, anche questo metodo è applicato unicamente ad Israele. Nonostante gli avversari di Israele, palesemente, usino i civili come scudi umani e Israele difenda i propri civili in tutti i modi. Tutto questo, però, sparisce dalle cronache. Se utilizzassimo questo principio al resto del mondo, scopriremmo che la Germania nazista aveva ragione, così come il Giappone, come l’Iraq di Saddam o l’Afghanistan dei talebani per fare alcuni esempi.
Per quanto appena esposto e per quanto successo il 7 ottobre 2023 Israele non deve più cedere alle pressioni che lo obbligano ad una pace ingiusta, iniqua e immorale perché Israele, al pari di tutti gli altri Stati riconosciuti, ha per davvero il diritto al proprio Stato, nato per permettere l’autodeterminazione del popolo ebraico, e ha il dovere di difenderlo.