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Il Giornale Rassegna Stampa
08.10.2023 Israele colpito al cuore
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 08 ottobre 2023
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israele colpito al cuore»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 08/10/2023 l'analisi di Fiamma Nirenstein con il titolo "Israele colpito al cuore".

Fiamma Nirenstein, Autore presso Fondazione Luigi Einaudi
Fiamma Nirenstein

Oltre ogni possibile immaginazione, Israele è ferita come non mai mentre Hamas festeggia la morte di centinaia di ebrei, e migliaia di feriti. È stato un disastro, le difese del mitico esercito di Israele sono crollate, non hanno funzionato. I missili hanno colpito e i terroristi hanno insanguinato oltre la misura su quasi tutto il territorio nazionale. Tel Aviv e Gerusalemme è finita nei rifugi. Il sud si è coperto di morti e feriti. E’ stato il giorno della sorpresa, dello stupore anche se adesso nell’inizio della nuova impresa “Spade d’acciaio” combatte duramente per non subire mai più un simile sfregio. Ci sono stati eroi, la gente ha combattuto contro un furioso assalto di sorpresa, programmato per mesi, chissà con quanto aiuto, soldi, uomini dell’Iran e dei suoi amici. Ma anche se in queste ore Israele, come ha detto Netanyahu è in un’autentica guerra di difesa che “ferma l’attacco, punisce i responsabili, dissuade chi ambisce a unirsi a Hamas”, brucia, brucia oltre la misura. 

Sono corsa una decina di volte nel rifugio al suono della sirena con parte della mia famiglia. Siedi nella semioscurità e senti le esplosioni, più forti, più piano, poi si spengono e puoi uscire. Puoi di nuovo. Pensavo nella stanzetta polverosa a una neonata a Kfar Aza, nel nord…ha pianto otto ore da sola, in mano alla guerra, finchè qualcuno l’ha trovata nella polvere di una casa vandalizzata. I suoi adesso forse sono ostaggi, oppure ammazzati, o anche impazziti di paura quando dalla Striscia sono arrivati su un camion nel loro villaggio un centinaio di terroristi urlanti, con i kalashnikov imbracciati, una torma selvaggia, con l’ordine di Ismail Hanye dal Qatar e di Yehie Sinwar e di Muhammad Deif da Gaza di “uccidere quanti più ebrei possibile” e di rapire, terrorizzare, picchiare. Quella bambina ignara e disperata è per me il simbolo di una giornata simile forse soltanto a quell’Yom Kippur di un anno e giorno 50 anni fa, nel 1973, quando mentre la gente d’Israele andava al tempio, fu aggredita inaspettatamente da tutte le parti, per poi vincere miracolosamente Egitto e Siria, ma prima perse migliaia di ragazzi. Le sirene furono l’inizio di un incubo inconcepibile. Di certo Hamas e la Jihad Islamica si sono ripassati parecchie volte quella vicenda.
Alle 6 comincia a scuotersi di singulti il mio telefonino, cosa vuoi così presto gli chiedo ancora mezza addormentata…. La risposta mi sveglia subito, una salva di missili su quasi tutta Israele, inclusa Tel Aviv. Due anni fa la sirena urlò solo un paio di volte a Gerusalemme, in genere la fitta popolazione araba limita gli spari palestinesi, per ora sembra solo la solita sventola di razzi da Gaza, la solita esclamazione insensata sulla “Tempesta” come ha chiamato la sua guerra stavolta Muhammed Deif il capo militare di Hamas. Ma qui le sirene sono fioccate una dopo l’altra, come in tutta Israele, una follia. Ci telefoniamo stupefatti. Al solito Hamas presenta le sue operazioni come gloriose battaglie religiose per salvare la Moschea di Al Aqsa. Anche stavolta, e come al solito al Aqsa non c’entra niente.

Le corse verso il rifugio si sono fatte frequenti nel corso della mattinata: il rifugio è polveroso, indispensabile quanto tedioso, senti i tonfi e non puoi fare niente, non c’è nemmeno una bottiglia minerale, manca una seggiolina, stai per terra, cerchi di sorridere per non spaventare gli astanti, vuoi solo capire quanto puoi uscire ma qui la radio e il telefono non prendono.

Durante la giornata diventa sempre più evidente che Hamas giuoca per la prima volta una doppia strategia: i missili ovunque, chissà con quanti fondi dell’Iran e la sorveglianza degli hezbollah, e le case e le auto e le persone colpite a caso per la strada. I capi si vantano della capacità tecnologica di colpire Tel Aviv e Gerusalemme. E poi, ecco il lato, le stragi dirette, compiute a mano dai terroristi nello stesso tempo, ovunque: a Beeri, a Ofakim (ancora in corso mentre scriviamo) a Magen, a Sofa, a Nir Itzkach, Nahal Oz e altri kibbutz e villaggi. Orde di terroristi con armi automatiche e potenti auto sono arrivati tutta la giornata su auto e camion e hanno occupato il terreno. La radio e la TV fra una sirena e l’altra trasmettevano le telefonate disperate della gente assediata dentro le case, mentre i palestinesi davano la caccia agli abitanti terrorizzati che vedevano, coi bambini, dalle finestre i bulli armati di fucili che si avvicinavano. Un gruppo di varie centinaia di giovani riunitosi nel deserto per una festa, ha preso una corsa folle mentre gli sparavano addosso: andava, tornava nel deserto come anatre- bersaglio in uno stagno, alcune decine sono spariti forse rapiti o uccisi, le madri seguitano a mandare messaggi disperati pregando di cercare i loro ragazzi. I terroristi hanno rubato carri armati e veicoli militari e ucciso tutti i soldati di guardia in una postazione vicina a Gaza; a Ofakim, a Sderot si sono scatenati, eccitati, avidi di uccidere e di portarsi via quanti più prigionieri secondo gli ordini. Si dice che i morti sono 100 e i feriti 700, ma sono numeri destinati a salire e di molto. Nella sala da pranzo del kibbutz Beeri si sono ancora 50 prigionieri di Hamas. Il sangue è scorso a fiumi. Gli ostaggi sono centinaia: vecchiette caricate su motociclette, giovani e ragazze legati, sanguinanti, col mitra puntato alla tempia, legati, trascinati, picchiati. E’ un trauma ancora indefinito, un’ansia sconosciuta, per cui anche il capo dell’opposizione ha dichiarato che è pronto a formare un governo di coalizione: Israele si sente giocate, messa a rischio, beffata. E il lutto è grande: tutto l’epos è in crisi, anche se già si conoscono molte storie di resistenza eroica. Ma come è potuto accadere tutto questo, l’uno chiede all’altro? L’Iran ha aiutato a programmare la maggiore operazione che Hamas, con la Jihad Islamica abbia mai intrapreso? La risposta logica è certa e la sua dichiarazione di sostegno si unisce com’è logico alla ferocia e al razzismo che ieri ha avuto una sua rappresentazione plastica. Adesso resta la guerra contro Hamas. Occupare Gaza? Lasciare di nuovo in piedi l’organizzazione sanguinaria che solo ieri ha cosparso Israele di sangue e lutto? Si discute in queste ore, mentre intanto si cerca di distruggere le strutture principali. Ma non basta. La deterrenza non è mai sufficiente. Ci vuole la prevenzione.    

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