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Il Foglio Rassegna Stampa
07.10.2023 Xaviel Niel compra Le Monde
Commento di Stefano Cingolani

Testata: Il Foglio
Data: 07 ottobre 2023
Pagina: 6
Autore: Stefano Cingolani
Titolo: «Comprati e venduti»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/10/2023, a pag.6, con il titolo "Comprati e venduti", il commento di Stefano Cingolani.

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Stefano Cingolani

Il giornale stampato è meglio, anche in campagna - CENTRO STAMPA QUOTIDIANI

Nasce all’ombra del potere, suo padrino è il generale de Gaulle, come per l’intera Francia del secondo dopoguerra. Quando il nuovo giornale per la nuova classe dirigente vede la luce, il 18 dicembre 1944, il conflitto mondiale non è finito, ma “les loups sont sortis de Paris”, i lupi, come li chiamava una famosa canzone di Serge Reggiani, sono usciti da Parigi. Gli occupanti tedeschi si sono ritirati il 24 agosto, due giorni dopo il generale Patton percorre i Campi Elisi e Charles de Gaulle alto, impettito, vero hombre vertical, varca l’Arco di Trionfo, mentre la voce di Edith Piaf fluisce come un fiume di speranza lungo i boulevards e i parigini escono alla luce di un altro sole. Dov’erano, cosa avevano fatto in quei quattro terribili anni? Se lo chiederà a lungo la nuova generazione quando comincerà a varcare senza paraocchi la linea d’ombra. Cercheranno una risposta gli scrittori come Patrick Modiano, nato il 30 luglio 1945, che non finisce di indagare sull’ambigua vicenda di suo padre Albert, ebreo di origine italiana. E “per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inesplicabili e scoperto il mondo della vita nel tempo dell’occupazione”, gli hanno assegnato nel 2014 il Nobel per la Letteratura. De Gaulle sapeva, ma cercava il riscatto non la vendetta, voleva far crescere una élite del futuro e intendeva dotarla degli strumenti necessari alla rinascita, chiamando a raccolta intellettuali di diverso colore politico, come André Malraux compagno di strada dei comunisti, o come Hubert Beuve-Méry che prima aveva aderito alla Repubblica di Vichy poi, nel 1942 si era unito alla resistenza. “Voi non siete dei miei”, gli dice il generale, ma lo convince a prendere le redini del nuovo quotidiano, “un giornale di prestigio e di riferimento”, con lo sguardo rivolto all’estero: Le Monde, nomen omen. Doveva essere “la voce ufficiosa” della nuova Francia, il Monde ne diviene presto la voce critica, soprattutto con la guerra d’Indocina e poi quella d’Algeria. Lo stesso Beuve-Méry a partire dal 1951 crea la Società dei redattori per vegliare sull’indipendenza del giornale, acquisisce il 28 per cento delle azioni ed eserciterà un ruolo crescente in parallelo al successo del quotidiano, a partire dagli anni 60. Autosufficienti e autoreferenziali, arbitri della linea editoriale e politica, i giornalisti creano un modello pressoché inimitabile nel panorama della grande stampa internazionale. Finché dura. La splendida solitudine è finita da tempo e ormai il quotidiano che voleva essere padrone di sé stesso è finito nelle mani di un solo padrone, quel Xavier Niel che, partito dal nulla, arricchitosi sfidando con la sua Iliad i colossi della telefonia, è diventato uno degli uomini d’affari più importanti di Francia, è riuscito a salire al vertice dell’establishment con una ragnatela di intrecci, anche famigliari. “La famille, c’est comme les branches d’un arbre”, dicono i francesi, come i rami che vanno da molte parti, ma hanno le stese radici. E poi si lamentano del familismo italiano. Il gran capitale era entrato nel Monde già negli anni 90, sia pure in punta di piedi. Dal ‘68 in poi il giornale si era spostato decisamente a sinistra e aveva appoggiato François Mitterrand. Nel 1981 la vittoria della Union de la gauche coincide con il massimo delle vendite. Poi una rapida discesa che accompagna le contraddizioni e gli zigzag del mitterrandismo: dalle 434 mila copie cala a 335 mila. Cominciano le prime serie difficoltà economiche e il braccio di ferro con le banche: Bnp esige la vendita dello storico palazzo di rue des Italiens nel Quartiere latino. Il rilancio avviene a metà degli anni 90 con la direzione di Jean-Marie Colombani. Nell’azionariato avevano già messo un piede gli Agnelli con la Stampa, ma adesso svolge un ruolo importante Alain Minc, figura di intellettuale e uomo d’affari molto francese che in Italia è gran consigliere di Carlo De Benedetti. Il giornale diventa un gruppo editoriale, tenta di acquistare il settimanale L’Express, compra la stampa locale e s’arricchisce di numerose pubblicazioni come Télérama specializzato in spettacoli, tv, cultura. Crescono le ambizioni, i debiti e i conflitti dentro la società dei redattori e con la nuova compagine azionaria nella quale s’affaccia niente meno che Lagardère, il quale con Matra produce armamenti e con Hachette era il primo editore francese. Al tornante del nuovo secolo la stampa è in subbuglio e diventa il campo di battaglia dei nuovi patron, i Bolloré, gli Arnault, i Bergé, i Pigassse e Niel che si fa strada sgomitando. All’Eliseo c’è Nicolas Sarkozy, particolarmente attento alla nuova mappa del potere economico che cerca di accompagnare oppure ostacolare. Bolloré, Arnault, Lagardère sono tutti suoi amici, il Monde si mette di traverso e ne paga lo scotto. La lotta si fa dura, non c’è più spazio per utopisti e anime belle, o si è di là, con loro, con i sarkozisti, o si è di qua, ma con chi? E’ il 2009 e sembra che di qua ci sia solo il deserto, il giornale è nei guai, la Bnp non è disposta più a far credito, Arnault, Bolloré, Lagardère sciolgono i contratti per stampare sulle rotative del Monde i loro giornali: Les Echos, Direct Matin e Le Journal du dimanche. E’ guerra aperta. Sono mesi in cui tutto sembra perduto senonché al trio di Sarko si contrappone un altro trio composto da Pierre Bergé il fedele compagno di Yves Saint Laurent, Matthieu Pigasse uomo di sinistra, ma vicepresidente della banca Lazard, e il rampante Xavier Niel. Con loro ci sono anche Le Nouvel Observateur ed El País allora partner della Repubblica. Alain Minc, che era già in stretto contatto con Emmanuel Macron, sponsorizza l’ingresso di Orange (ex France Telecom), ma la società dei redattori è per i tre moschiettieri. E’ la svolta, però il giornale è venduto, lo scriverà Le Monde diplomatique, da sempre ala gauchiste del gruppo. Il patto crolla con la morte di Bergé nel 2017. Pigasse e Niel si spartiscono la quota del terzo socio e tra loro comincia un braccio di ferro. Due anni dopo Pigasse molla e vende all’oligarca ceco Daniel Křetínský già entrato in Francia e proprietario del giornale di estrema destra Marianne e del settimanale femminile Elle. Non poteva durare e, se non fosse stato per la pandemia. la strana coppia sarebbe già scoppiata. Ora il momento è arrivato. Il mese scorso Niel ha liquidato Křetínský comprando per 50 milioni di euro l’intero pacchetto. Un anno fa aveva preso anche la quota rimasta a Pigasse. A questo punto, è l’unico azionista del quotidiano che ha al vertice una società nella quale si regolano i conti della proprietà. Il nuovo patron ha deciso di trasferire l’intera sua quota alla fondazione creata nel 2021, dal nome rassicurante: Fonds pour l’indépendance de la presse. Resta un 25 per cento in mano al Pôle d’indépendance che riunisce giornalisti, collaboratori e lettori. Con questa mossa, diventa impossibile una scalata da parte di qualcun altro, ben o mal intenzionato che sia. Nel Fondo, Niel ha fatto entrare anche il figlio Jules di appena vent’anni. Ma l’indipendenza della stampa è il cruccio del patron di Iliad, assicura il suo partner Louis Dreyfus (un cognome una garanzia) che dal 2010 ne cura gli interessi ai vertici del giornale; perché l’indipendenza è il valore per il quale si batte chi ci lavora e chi legge il Monde. Il direttore editoriale Jerome Fenoglio plaude ai recenti sviluppi e in particolare all’uscita di scena del magnate ceco con il quale non c’è mai stata nessuna vicinanza. Indipendenza va cercando ch’è sì cara, ma come la mette Fenoglio con l’intreccio familiare? Perché la compagna di Niel si chiama Delphine e di cognome fa Arnault: sì, il padre è proprio lui, Bernard il re del lusso, il quale possiede due quotidiani, Le Parisien e Les Echos. Chi stappa champagne è il presidente Macron perché Niel è suo amico da sempre e Arnault lo è diventato. Ogni giornale francese a questo punto è nelle mani di un gran patron. E ogni patron ha una sua vicinanza politica se non vogliamo parlare di vero e proprio patronage. Le Figaro, il più antico e maggior concorrente del Monde, dal 2004 è interamente controllato dal gruppo Dassault fondato da Marcel, nato Bloch poi convertito al cattolicesimo, sopravvissuto a Buchenwald, gran costruttore di aerei, gaullista della prima ora e deputato all’Assemblea nazionale. L’erede, il figlio Serge, ha seguito le sue orme; deceduto nel 2018, l’azienda che fattura una quarantina di miliardi è passata in mano ai discendenti diretti (“la famille, toujours la famille”). In politica i Dassault pendono verso il centro-destra anche se gli eredi del generale si sono dispersi in molti rivoli. Intanto s’è fatto largo a suon di miliardi Vincent Bolloré: controlla Vivendi, ha acquisito i libri di Hachette in mano a Lagardère, anche se è stato costretto a vendere la sua Editis che ha passato a Křetínský, possiede anche il maggior settimanale, Paris Match, e il Journal du dimance che esce solo la domenica, ma ha una certa influenza. Senza contare la radio Europe1 e il canale televisivo CNews chiamato il Fox francese. Un universo mediatico possente orientato verso una nuova destra, non meno dura, ma meno à l’ancienne di quella lepenista. L’operazione Zemmour non è riuscita, il progetto resta. L’informazione televisiva è divisa tra il primo canale TF1 in mano al costruttore Bouygues, governativo da sempre, i due canali pubblici France 2 e France 3 orientati a sinistra con varie sfumature, France 5 decisamente gauchiste e M6 nazional-popolare. L’icona della gauche, Liberation, fondata nel 1973 da Jean-Paul Sartre, dopo essere stata salvata nel 2006 da Édouard Étienne Alphonse de Rothschild, nel 2014 è stata ripescata dal fallimento da Patrick Drahi, imprenditore francese-israeliano di origini marocchine che ha sfondato nelle telecomunicazioni con Altice, società via cavo quotata alla Borsa di Amsterdam. Drahi è cittadino francese, portoghese e israeliano, vive in Svizzera, è diventato il maggior azionista di British Telecom. In Francia possiede anche il settimanale L’Express. La stampa locale è forse ancor più influente di quella nazionale che poi è in realtà parigina. Il quotidiano più diffuso con oltre 600 mila copie è Ouest France: con sede a Rennes, copre dalla Bretagna alla Loira, la sua impostazione potremmo definirla liberal-europeista. La Dépêche du Midi (Tolosa) è sempre stata di centro-sinistra, Sud Ouest (Bordeaux) di centro-destra, le testate del sud risentono della radicata presenza lepenista. Una miriade di giornali locali, tra i quali Nice Matin, è rimasta in mano al gruppo Hersant anche dopo che i suoi gioielli, come il Figaro, sono stati presi da Dassault. Un quadro complicato, talvolta confuso, sempre in movimento, ancor più oggi che una grande trasformazione percorre la stampa e i mass media in generale. I protagonisti in ogni caso, anche in Francia, non sono più i “padron delle ferriere” vecchio stile, ma i padroni del digitale. Niel, del resto, subito dopo l’acquisizione del Monde ha annunciato che investirà 200 milioni di euro nell’intelligenza artificiale e nel sostegno alle startup. Ma come ha fatto un ragazzo di classe media, praticamente autodidatta, ad arrivare tanto in alto? Un sogno americano nella vecchia Francia? In fondo tutto si deve a suo padre, non perché avesse aziende e proprietà da trasmettere, ma perché gli ha regalato un Sinclair ZX81 e lo ha fatto appassionare all’informatica. Era il 1982 e Xavier aveva appena quindici anni. Presto abbandona gli studi, si appassiona al Minitel (il servizio telematico francese), crea un sito di incontri a luci rosse: un successone, il ricavato lo investe in sexy shop e locali di spogliarello. Finirà in prigione per sfruttamento della prostituzione, accusa poi caduta nel nulla al contrario di quella per uso improprio di beni societari (due anni e 250 mila euro di multa). Una dura lezione, intanto affina la sua passione informatica, fonda due società, Iliad e Free, ma soprattutto lavora a un progetto del tutto nuovo: una triplice connessione a internet, al telefono e alla tv. Nasce così la Freebox che lo renderà ricco. E’ il campione dell’high tech francese, ha lo spirito del costruttore, ma anche l’istinto del distruttore, o meglio di chi vuol rompere gli equilibri e gli interessi costituiti. Su un mercato ingessato, in mano a tre grandi operatori che fanno utili a palate, lancia nel gennaio del 2012 l’offerta Free Mobile, a 19,90 euro, con telefonate illimitate verso numeri francesi e di 40 paesi esteri. Un’altra rivoluzione, che trasformerà completamente lo scenario, mettendo in difficoltà i concorrenti e portando Free a conquistare, in tre anni, una quota del 17 per cento e 12 milioni di clienti (cui si aggiungono i 6 sul mercato del fisso) il che lo rende terzo operatore francese. In Itala Iliad mette alle corde la Tim, Vodafone, Wind, con una guerra dei prezzi senza quartiere. “Guerra dei prezzi? La fanno i grandi operatori”, replica Benedetto Levi, il giovane ad di Iliad in Italia. “Se guerra c’è stata è per la trasparenza e il mercato ci ha premiato”. Intanto ha raccolto dieci milioni di clienti nella telefonia mobile e si dice che intenda acquisire Vodafone se il gruppo britannico volesse uscire dal Bel Paese. Ma non è di rivoluzione digitale che ci occupiamo adesso (anche se ormai due terzi degli incassi del Monde vengono proprio da lì). La carica disruptive di Niel lo porterà anche a lanciare una “guerra dei giornali” o meglio dell’informazione? Le Monde sembra più una corazzata che un vascello corsaro, eppure usando la sua credibilità e la professionalità dei suoi giornalisti può portare aria fresca in un clima mediatico inquinato e in uno scenario politico per molti versi compromesso non solo dal montare del populismo di destra e di sinistra, ma anche dall’affievolirsi della spinta innovativa di Macron e del suo progetto: scompaginare i vecchi equilibri e i vecchi partiti. Non vogliamo caricare Niel di troppe responsabilità e di aspettative eccessive. Ma lui come gli altri patron della stampa stanno cambiando molte regole che hanno regnato finora nel Grand Opéra francese con le sue lussureggianti messe in scena e il virtuosismo degli interpreti.

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