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Il Foglio Rassegna Stampa
03.10.2023 Il piano di Biden per Kiev
Analisi di Paola Peduzzi

Testata: Il Foglio
Data: 03 ottobre 2023
Pagina: 1
Autore: Paola Peduzzi
Titolo: «Biden ha un piano per Kyiv»

Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 03/10/2023, a pag. 1, con il titolo 'Biden ha un piano per Kyiv', l'analisi di Paola Peduzzi.

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Paola Peduzzi

How does Ukraine war end? Experts say 2023 could prove decisive, dangerous  – Harvard Gazette

Milano. Per altri 45 giorni, l’amministrazione pubblica americana continuerà a funzionare, lo shutdown con i salari sospesi e la macchina amministrativa in stallo è stato disinnescato da un’alleanza tra lo speaker repubblicano del Congresso, Kevin McCarthy, i democratici e la Casa Bianca. Gli aiuti all’Ucraina, quei 24 miliardi di dollari che Joe Biden vuole dare a Kyiv per difendersi dall’aggressione russa, sono stati stralciati dall’accordo all’ultimo minuto per evitare che questi fondi vitali per l’Ucraina ma ridotti per gli americani venissero ulteriormente strumentalizzati dal Partito repubblicano sottomesso a Donald Trump. Immaginate i titoli: l’America chiude per colpa dell’Ucraina – sarebbe stato più grave di un “passo indietro” e di una “stanchezza” che a Washington si sente meno che nei media italiani, di certo non la sente Biden che ha rassicurato Kyiv e gli alleati del fatto che finché ci sarà lui ci sarà l’aiuto all’Ucraina. Il giorno per agitarsi arriverà, ma non è oggi, non soltanto perché finora tutti i pacchetti di sostegno alla difesa ucraina sono stati votati in modo sicuro e bipartisan. Ma anche perché pure questo accordo sullo shutdown, che sembra la vittoria del trumpismo, è frutto di un dialogo bipartisan. McCarthy, che fin dalla sua nomina cerca di governare senza riuscirci l’ala reazionaria del Congresso e del suo partito, ha deciso, “messo contro il muro, di fare la cosa giusta”, ha scritto David Firestone sul New York Times, cioè proporre un accordo che escludesse gli aiuti ucraini in modo che non fossero più strumentalizzabili – e lo ha fatto assieme ai democratici. Tant’è vero che il suo rivale più accanito, il supertrumpiano Matt Gaetz, che viene dalla Florida, ha detto: basta, questo speaker troppo dialogante con i democratici che non è disposto a tutto pur di affossare Biden deve lasciare il suo incarico. Ora Gaetz vuole far votare una mozione per estromettere McCarthy. L’attuale speaker che, come buona parte del suo partito, non ha voluto fare i conti con Trump e il trumpismo dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e quindi si trova sotto assedio, ha giocato la carta del coraggio: se volete farmi fuori, fatelo, io lo shutdown non lo faccio. Ora, se si conosce soltanto un poco la carriera di McCarthy, è abbastanza evidente che l’audacia non è stata mai il suo motore, semmai l’abilità nel fare i calcoli. Anche in questo caso – in cui si sono ammonticchiati equivoci – lo speaker potrebbe aver azzeccato l’aritmetica politica: per quanto Matt Gaetz si voglia posizionare come il puro del trumpismo che non accetta alcun confronto con i democratici e con il loro presidente-impostore, avrà comunque bisogno del voto dei democratici se vuole cacciare McCarthy e nominare un altro speaker. Per mantenere il suo posto, McCarthy ha bisogno di 218 voti, essendo al centro di una rivolta interna dei repubblicani è probabile che siano i democratici a definire l’esito della mozione. Gaetz ne ha avvicinati già parecchi, ma i conteggi ora sono vaghi: di più concreto c’è che chi è disposto ad astenersi e quindi di fatto a votare McCarthy chiede in cambio di far passare il pacchetto da 24 miliardi di sostegno a Kyiv. Il piano di Joe Biden è piuttosto chiaro: continuare ad aiutare l’Ucraina senza che ogni soldo stanziato sia strumentalizzato dagli anti ucraini. Come è noto, l’aiuto all’Ucraina rappresenta il 3,5 per cento del budget per la Difesa americano; Jason Jay Smart, corrispondente a Washington del Kyiv Post, ha fornito qualche misura in più, come questa: l’aiuto all’Ucraina finanzia il funzionamento del governo americano per 27 minuti. Questi paragoni permettono di dire che l’ostinazione repubblicana sul sostegno a Kyiv è una formula elettorale invero poco conservatrice – l’eccezionalismo americano nasce nel mondo conservatore – e ingigantita dalla retorica. Per non farla attecchire più del dovuto bisogna muoversi con cautela come dimostra il megafono di Elon Musk: il tycoon di Tesla, proprietario di X e strategico con i suoi satelliti Starlink in Ucraina ieri ha pubblicato un meme di Volodymyr Zelensky giovane e tesissimo a un banco con la scritta “quando sono già cinque minuti che non chiedi miliardi di dollari in aiuti”. Musk si è messo a far funzionare Starlink a singhiozzo sul campo di battaglia in Ucraina e a far circolare indisturbato, anzi quasi volenteroso, il sentimento anti ucraino sottolineando la petulanza (e non solo) del presidente Zelensky. E’ evidente dove vuole arrivare il Partito repubblicano e il mondo conservatore. Biden mette a punto un piano che riduce il più possibile i momenti e gli argomenti pretestuosi contro Kyiv e nel frattempo fa funzionare la macchina della Difesa che ha una prospettiva che va oltre le elezioni del 2024. E a chi non sa governare il trumpismo come McCarthy dice: posso darti una mano, ma tu fai votare i soldi per l’Ucraina.

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