Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/10/2023, a pag.14, con il titolo "La Nobel Shirin Ebadi: 'Il prossimo premio lo meritano le donne iraniane e afghane' " l'analisi di Viviana Mazza.
Viviana Mazza
Shirin Ebadi
«Praticamente Biden, con il suo comportamento, ha fatto capire al regime iraniano che può prendere in ostaggio persone innocenti e chiedere soldi». L’avvocata e attivista iraniana Shirin Ebadi, che fu la prima donna musulmana ad essere insignita del premio Nobel per la pace nel 2003, critica la decisione del presidente americano che, in cambio della liberazione di cinque cittadini degli Stati Uniti detenuti a Teheran, ha accettato di «scongelare» 6 miliardi di dollari derivanti dalla vendita del petrolio alla Corea del Sud anche se ha specificato che la Repubblica islamica potrà servirsene per usi esclusivamente «umanitari». «Gli iraniani non accettano questa spiegazione, perché sanno che quei prigionieri erano degli ostaggi», dice Ebadi, che è stata ospite del Festival Nazionale dell’Economia Civile a Firenze, dove ha parlato della violenza del regime iraniano contro il suo popolo e, in particolare, delle studentesse che si sono ribellate al velo e sono finite in ospedale dopo essere state avvelenate con gas chimici a scuola. «E non è soltanto Biden — aggiunge Ebadi — prima di lui Obama aveva fatto lo stesso errore. Così come lo ha fatto l’Europa. Penso, per esempio, a un diplomatico iraniano che trasportava esplosivi ed era stato arrestato in Belgio, processato e condannato a vent’anni di reclusione. Poi, separatamente, un cittadino belga e altri europei sono stati arrestati in Iran. Dopo un anno, è stato fatto uno scambio tra queste persone. Così si incoraggia il regime ad arrestare persone innocenti».
Lei è in esilio dal 2009. Aveva lasciato l’Iran per qualche giorno durante le elezioni che segnarono la controversa riconferma del presidente Mahmoud Ahmadinejad: le proteste furono represse nel sangue, i suoi colleghi e colleghe — come Narges Mohammadi — furono arrestati, e lei capì che non poteva più tornare. «Ci sono più di mille femministe iraniane molto famose in carcere oggi, non solo Narges, ma anche Sepideh Gholian, Bahareh Hedayat... Sono dietro le sbarre da anni. Secondo me il prossimo premio Nobel per la pace andrà alle donne, una iraniana e una afghana, per il loro coraggio».
Oggi (ieri per chi legge, ndr) era l’anniversario del cosiddetto Bloody Friday: il 30 settembre 2022 a Zahedan, al confine con il Pakistan, le forze di sicurezza iraniane spararono sulla folla dal tetto di una moschea sunnita. Tra allora e il 5 ottobre ci furono almeno 97 morti, tra cui nove bambini. Fu una delle peggiori repressioni durante le proteste scoppiate per l’uccisione di Mahsa Amini. «Il regime è brutale. E la sua brutalità è ancora più accentuata nei confronti delle minoranze etniche in zone come Zahedan o nel Kurdistan molto più di quanto accada nella capitale».
Alcuni iraniani dicono che la rivoluzione iniziata dopo l’uccisione di Mahsa Amini è diversa da tutte le rivolte scoppiate in Iran dal 1979 in poi. Lei cosa si aspetta? «Che questa violenza esagerata del regime porti alla sua caduta».
Cosa pensa del riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita avvenuto con la mediazione cinese? «Io non voglio che il popolo iraniano sia isolato, ma comunque posso dire con certezza che il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita non durerà».
C’è chi pensa che l’accordo sugli ostaggi possa aprire la strada a un ritorno al negoziato sul nucleare tra l’Iran e l’Occidente, che teme altrimenti che il programma possa avvicinarsi alla costruzione di una bomba. Lei è favorevole? «Il popolo iraniano è contrario, perciò lo sono anch’io. Sono contraria a tutto ciò che può prolungare la vita di questo regime».
Lei è favorevole a un intervento militare? «Assolutamente no».
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