Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/08/2023, a pag.11, con il titolo 'Essenziale che la Cina fosse a Gedda. Non parliamo con Putin ma sì a mediazioni' l'intervista di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
Dmytro Kuleba
«Non siamo più disposti a negoziare direttamente con Putin. I crimini commessi dall’inizio dell’aggressione del nostro Paese sono troppo gravi perché si possa sedere allo stesso tavolo. Assolutamente, non ci fidiamo di lui. Però una mediazione da parte di terzi è possibile». Dmytro Kuleba si è appena ripreso dal Covid. «Sto tornando a lavorare dopo alcune settimane di cure», ci dice il ministro degli Esteri ucraino, che spesso ricorda l’identità europea del suo Paese e le sue memorie di «bambino di Chernobyl», quando dopo la tragedia alla centrale nucleare nel 1986 trascorse lunghi periodi ospite di una famiglia italiana.
Ministro la vostra controffensiva militare non sembra funzionare: motivi? «La controffensiva progredisce lentamente, ma continuamente. I problemi maggiori sono costituiti dalle forti posizioni difensive erette dai russi nell’ultimo anno. Non è facile per i nostri soldati avanzare. Ma ce la faremo. Penso alla battaglia di Montecassino durante la II Guerra mondiale. All’inizio gli Alleati furono bloccati dalle formidabili posizioni tedesche, occorsero quattro mesi per batterle, poi arrivarono a liberare Roma. Siamo in una situazione simile, ci sono le trincee estive e quelle invernali: sono certo che vinceremo».
Il fattore tempo sembra cambiato però. In primavera il vostro governo sosteneva che l’arrivo delle armi alleate dava enormi vantaggi. Ma adesso Putin mira alle elezioni americane: l’anno prossimo Trump potrebbe vincere. Preoccupato? «Se gli ucraini avessero avuto paura non avrebbero combattuto questa guerra. Noi andiamo avanti. Putin è dal 2014 che conta sulle elezioni di qualcuno, ma i risultati non lo hanno mai aiutato. Continuo a pensare che il fattore tempo ci sia alleato per il semplice fatto che le nostre capacità militari crescono, quelle russe diminuiscono. Noi vinceremo la guerra».
E Trump? «Stiamo a vedere».
Al recente summit di Gedda la Cina ha firmato la dichiarazione finale a sostegno della vostra integrità territoriale, ma ha anche confermato l’amicizia con Mosca. Cosa legge nell’ambiguità di Pechino? «Fondamentale che la Cina fosse al summit, un messaggio politico positivo: presente a un incontro multilaterale in cui si discuteva il piano di pace ucraino. Anche se adesso non ci attendiamo svolte drammatiche. E comprendiamo anche la relazione speciale che intercorre tra Mosca e Pechino. Ciò richiede una diplomazia molto delicata per garantire che la Cina resti dalla parte della pace e dell’integrità territoriale ucraina».
Washington teme che Pechino mandi armi a Mosca. «Non abbiamo mai visto sino ad ora l’invio di armi cinesi alla Russia. E speriamo che ciò non cambi, anche se siamo consapevoli del fatto che Mosca è molto interessata alle armi cinesi. Sappiamo di industrie cinesi che esportano componenti impiegate dall’industria bellica russa, un flusso minore. Condividiamo queste informazioni con il governo cinese, sperando che prenda provvedimenti».
Putin sembra essersi ripreso dal fallito golpe della Wagner, a giugno. A Kiev si credeva fosse la sua fine. Oggi la Wagner pare espandersi in Africa, minaccia l’Europa dalla Bielorussia. «La tempesta agita la superfice del mare, ma in profondità regna la calma. A Mosca vale l’opposto: sotto l’apparente tranquillità si cela la bufera. Il sistema costruito da Putin è abbastanza forte da nascondere le tensioni al pubblico, ma noi osserviamo scontri e antagonismi interni in crescita. La lezione più importante del golpe della Wagner resta che tutti hanno visto che è possibile marciare impunemente con le armi in mano sino alle porte di Mosca e che il potere di Putin è minato da fazioni, faide e debolezze strutturali».
Tra i Paesi Nato cresce l’idea per cui, se la vostra controffensiva fallisse, entro la fine dell’autunno si dovrebbe iniziare a negoziare. Putin è il partner con cui trattare? «No. Putin non è un partner. Ha commesso troppi crimini gravissimi. Ci sono altri modi diplomatici per trattare indirettamente. Ma per noi è chiaro che non potremo mai vedere Putin e Zelensky seduti allo stesso tavolo».
Se Putin non è un partner, allora sarà guerra totale... «Putin ha imposto questa che lei chiama guerra totale dal 24 febbraio 2022. La Russia ha praticamente compiuto tutto il male possibile contro l’Ucraina e il suo popolo sin dai primissimi giorni dell’invasione. Il peggio è già avvenuto, nulla può più sorprenderci. Noi combattiamo per la nostra sopravvivenza, non abbiamo alternative».
Intanto la guerra si espande ai cieli di Mosca, ai porti sul Danubio, al Mar Nero… «Non siamo stati noi a volerlo. Non c’è un’espansione, è stato sempre così».
Dunque, pensate che ogni negoziato per la pace debba essere preceduto dal cambio di regime a Mosca? «Possiamo negoziare con la Russia dopo il ritiro delle loro truppe dalle nostre terre, ma non con Putin. Questo obbiettivo può essere raggiunto con un misto di guerra e diplomazia. I nostri generali si occupano della prima, il loro lavoro è spingere i russi a ritirarsi e a comprendere che parlare è meglio che combattere. Io mi occupo della diplomazia e di dialogare quando possibile».
All’inizio della guerra Zelensky era aperto all’eventualità di un compromesso territoriale: sarebbe possibile oggi negoziare prima del totale ritiro russo? «Dipende dalle circostanze. Noi non ci fidiamo della parola dei russi, nessuno sano di mente potrebbe crederci. Prima del ritiro vorremmo essere certi che sia serio e non una finta per poi tornare ad attaccarci».
Se non trattate con Putin, con chi? «L’anno scorso l’accordo sul grano è stato mediato dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e dal presidente turco Erdogan. C’erano stati due accordi separati con noi e con Mosca, mai un’intesa diretta. Può essere una via: occorre creatività per trovare soluzioni. Noi le cercheremo con ogni mezzo, ma al momento mancano le condizioni: la Russia preferisce la guerra alla pace».
Crede che Erdogan abbia la possibilità di far ripartire l’accordo sul grano? «Sì, potrebbe farlo. La diplomazia turca lavora con quella russa. Intanto noi stiamo costruendo vie alternative per esportare il grano senza passare dal Mar Nero».
Vede novità rispetto alla mediazione di pace vaticana? «No, sinceramente non ne vedo. Ma l’invito al Papa per visitare l’Ucraina è sempre valido».
Cosa chiede all’Italia? «Ringraziamo di cuore tutti i nostri amici. Ma diciamo anche che gli aiuti saranno sufficienti solo quando avremo vinto questa guerra, sino ad allora continueremo a chiedere armi e munizioni. Le relazioni tra Kiev e Roma sono al massimo storico. Ringraziamo la premier Giorgia Meloni: agisce da vera europea e da italiana che ha compreso la gravità della minaccia strategica rappresentata dalla Russia per l’Europa intera. In particolare, chiediamo all’Italia artiglieria, munizioni e sistemi antiaerei».
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