Riprendiamo dal GIORNALE di oggi 10/08/2023, l'analisi di Fiamma Nirenstein.
A destra: Benjamin Netanyahu
Fiamma Nirenstein
Logico che Benjamin Netanyahu sia contento, come si vede dall’aria vigorosa con cui in un messaggio filmato ha rivendicato che le sue riforme certo non si fermano a quella giudiziaria, ma comprendono molti avanzamenti economici, sociali, di sicurezza. Per Bibi, un grande accordo con l’Arabia Saudita sarebbe il ritorno al successo politico mondiale che gli è valso più di un decennio da Primo Ministro. Ma davvero, che ventata d’aria fresca per tutto il mondo sarebbe l’accordo cornice fra Arabia Saudita e Stati Uniti che prevede anche finalmente, come scrive l’Wall Street Journal, una firma con lo Stato d’Israele. È da tempo che “il venticello” serpeggia, ma ora forse si avvicina il momento che “come un rombo di cannon” cambierà la situazione mondiale. Non fa piacere a tutti. Non è un caso che sul New York Times Tom Friedman abbia da tempo condannato il lento ma sicuro muoversi verso l’accordo di quella che chiama una “Trinità non santa”, gli USA, i Sauditi e Israele. Da tempo da destra e da sinistra, ma soprattutto da sinistra, si seguita, e così è accaduto ieri in Israele, a elencare prima di tutto le difficoltà in campo: Bin Salman dovrebbe avere più cura dei diritti umani (e questo ci appare davvero l’unica cosa urgente), dovrebbe chiudere i rubinetti del petrolio alla Russia, dovrebbe piantarla di avere a che fare col mercato cinese… E certo per Salman, e più ancora per Biden, Israele dovrebbe abbandonare l’West Bank e qualsiasi piano di annessione, stoppare la riforma giudiziaria, smantellare costruzioni nei territori, dare più potere ai palestinesi. Cose che si ripetono; ma la verità è che le critiche principali vengono dalla preoccupazione che un accordo di pace fra Bibi e Bin Salman benedetto da Biden, porrebbe fine a 120 anni di guerra ideologica del mondo arabo al ritorno degli ebrei a Sion, quindi stopperebbe come scrive David Wurmser, l’attacco continuo alla legittimità di Israele. Punto centrale: servirebbe da deterrente contro un Iran che fornisce un sostegno intensivo e continuo al terrorismo, ne bloccherebbe l’espansione in Libano e Siria tramite gli Hezbollah e in Yemen con gli Huthi, ne ridurrebbe il potere al fianco di Putin legato ai missili con cui lo zar fa la guerra all’Ucraina e domani potrebbe farla a noi. È vero che il principe della corona bin Salman si schermisce dalle voci troppo audaci, e anche il Wall Street Journal dice che ci vogliono ancora più di sei mesi: Bibi da parte sua ripete che ci spera, ma che l’accordo non dovrà richiedere cose troppo pericolose per i cittadini israeliani. Ma è chiaro che nessuno potrà richiedere ritiri ingenti che creino pericoli per Israele: quello che può succedere è che anche le piccole eventuali modifiche dello status quo per venite incontro all’accordo, provochino uno stallo della riforma tanto osteggiata, e il disegnarsi di una nuova alleanza più pacifista anche verso i palestinesi. Del resto la dottrina di Netanyahu punta sempre alla sicurezza, e l’ipotesi pace con l’Arabia Saudita è un obiettivo strategico, che egli, come Biden, vuole lasciare ai posteri. Forse anche bin Salman.