Stefan Ihrig, Giustificare il Genocidio. La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler, a cura di Antonia Arslan, traduzione di Camilla Balsamo, Guerini e Associati, pp. 512, 35,00 euro.
Di solito quando si parla del Metz Yeghérn, il genocidio degli armeni perpetrato dall’Impero ottomano soprattutto dal 1915 al 1916, nell’immaginario comune lo si tende a percepire come qualcosa di terribile ma lontano, avvenuto in luoghi remoti e senza legami diretti con l’Occidente. In realtà, stando a molte ricerche storiche, la scarsa solidarietà da parte delle potenze occidentali e una tendenza della Germania a giustificare le violenze piantarono i primi semi nella società tedesca per giustificare i massacri di intere popolazioni, il che si sarebbe poi manifestato in tutta la sua violenza durante la Shoah. Chi ha provato a studiare e ad approfondire l’argomento, attraverso accurate ricerche e una ricostruzione dettagliata, è lo storico tedesco Stefan Ihrig, direttore del Centro di Studi Germanici ed Europei dell’Università di Haifa, che vi ha dedicato il suo libro Giustificare il Genocidio. Uscito originariamente nel 2016, è stato tradotto solo recentemente in italiano, in un’edizione curata dalla scrittrice italo-armena Antonia Arslan.
La tendenza a negare o a giustificare le atrocità compiute ai danni della popolazione armena nei territori ottomani parte da lontano: a partire dalla seconda metà dell’800, la Germania guidata dal Cancelliere Otto Von Bismarck instaurò gradualmente relazioni sempre più forti con l’Impero Ottomano, il che li portò già dal 1890 a rimanere in silenzio e a giustificare i primi massacri degli armeni. Tutto questo avveniva in nome di un presunto pragmatismo geopolitico, di interessi economici e di una concezione gerarchica delle razze che stava già prendendo piede. Quest’ultima era legata al fatto che gli armeni venivano considerati in Germania come una sorta di “ebrei d’Oriente”; in una visione antisemita, erano visti come ricchi usurai e profittatori che indebolivano l’impero dall’interno, analogamente agli ebrei in Occidente. Se oggi si possono conoscere molti aspetti del giustificazionismo tedesco verso il genocidio armeno, avvenuto quando tedeschi e turchi erano alleati nella Prima Guerra Mondiale, lo si deve anche a quei tedeschi che denunciarono il genocidio e, in alcuni casi, intuirono in tempi non sospetti le potenziali ricadute che avrebbe avuto con gli ebrei tedeschi. Come Armin T. Wegner, paramedico militare trovatosi di stanza in territorio ottomano durante la guerra, che assistendo ai massacri si rifiutò di insabbiare le notizie e documentò ciò che vide. Con l’ascesa del nazismo, fu tra i primi a denunciare le violenze contro gli ebrei nel Terzo Reich. Ihrig analizza a fondo anche la copertura mediatica che ebbero sui giornali tedeschi i massacri degli armeni, l’attivismo di chi si batteva per i loro diritti e i pochi processi per crimini di guerra ad alcuni dei responsabili del genocidio, come il capo di Stato turco Talat Pascià. Infine, non mancano gli sviluppi nelle relazioni turco-tedesche nel corso dei decenni, dalla rivoluzione dei Giovani Turchi alla Repubblica di Weimar e all’ascesa di Hitler, con tutto ciò che ne conseguì. In conclusione, Stefan Ihrig traccia attraverso decenni di storia una linea che, partendo dalle marce della morte tra l’Anatolia e il deserto siriano, giunge fino a Berlino, dove venne elaborata dai nazisti la “soluzione finale” per cancellare il popolo ebraico. Uno sguardo al passato e un monito per il futuro, affinché non si ripeta.
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