Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/07/2023, a pag. 2, con il titolo 'È una crisi dell’autorità. E l’Islam ha preso troppo spazio', l'intervista di Stefano Montefiori.
Stefano Montefiori
Manuel Valls
PARIGI Manuel Valls è stato ministro dell’Interno e primo ministro durante la presidenza Hollande, e da premier ha sostenuto la modifica della legge, poi approvata nel 2017, che regola l’uso delle armi nella polizia. Quella legge oggi è chiamata in causa per la morte di Nahel, perché allargherebbe troppo i casi in cui un poliziotto può sentirsi in diritto di sparare.
Signor Valls, quella legge va cambiata? «No, perché si è limitata ad allineare le regole per la polizia a quelle all’epoca già in vigore per i gendarmi. L’abbiamo preparata e votata noi della sinistra di governo, rispondendo alle richieste dei poliziotti spesso minacciati da auto che non si fermano all’alt».
Ma in questo modo non c’è il rischio di fare ricadere tutta la responsabilità di quello che sta succedendo sul poliziotto che ha sparato? Il suo avvocato e molti colleghi dicono che viene usato come un capro espiatorio. «L’agente è stato subito incriminato e incarcerato, è stato anche un modo per proteggerlo e per fare passare un messaggio. La morte di un ragazzo di 17 anni è un dramma, una cosa terribile per lui, la sua famiglia e tutta la società. Ma diciamo le cose chiaramente, quel ragazzo minorenne non avrebbe dovuto trovarsi alla guida dell’auto, e non era la prima volta che guidava senza patente. Ora bisogna lasciare lavorare la giustizia, perché gli agenti usano la violenza legittima dello Stato, hanno per questo una grande responsabilità e si trovano ad esercitarla in condizioni molto difficili».
La violenza sembra essere ormai radicata nella società francese, si passa da una crisi all’altra, dai gilet gialli agli scontri per la riforma delle pensioni, ai saccheggi e agli incendi dopo la morte di Nahel. Come mai secondo lei? «È vero, c’è violenza nella società francese, forse più che altrove in Europa. Io credo dipenda da una crisi dell’autorità, che da noi ha effetti più gravi. La Francia è un Paese giacobino, verticale, dove lo Stato tradizionalmente è molto forte, la spina dorsale della nazione. La crisi dell’autorità dello Stato, per esempio nella scuola, porta a rimettere tutto in discussione».
C’è poi un problema legato alle banlieue? «Sì, al tema generale della crisi dell’autorità si aggiunge il fatto che lì si sono concentrati gli immigrati e i loro discendenti, essenzialmente di origine africana. Parte di loro non si sono integrati, non si sono assimilati, non amano la Francia, le sue istituzioni, i suoi simboli. È un fatto, non so come dirlo altrimenti».
È anche una questione di povertà, di mancanza di prospettive? «A me non sembra. È stato speso molto denaro, in quei quartieri ci sono mediateche, centri commerciali, scuole, commissariati, locali pubblici, quelli che in queste notti vengono dati alle fiamme. Nanterre, per esempio, dove viveva Nahel, non è una città povera. Ci sono abitanti poveri, certo, ma sono molto aiutati, sostenuti. E il lavoro c’è, in tutta l’Ile de France, la regione di Parigi, il tasso di disoccupazione è bassissimo. Per questo la maggioranza dei francesi non vuole spendere altri soldi per le banlieue».
È una questione di valori, allora, più che di condizioni materiali? «Credo sia così. Sono crollate le grandi istituzioni politiche, il partito comunista, la chiesa, i sindacati, le grandi associazioni. Anche i sindaci non hanno più la forza che avevano vent’anni fa. E l’Islam ha preso un ruolo importante, forse eccessivo. Si è perso tutto quel che costituiva la coesione di una società. Per non parlare della perdita di autorità dei genitori».
Il governo chiede di tenere a casa i figli. «Ed è normale, perché quando un 17enne può mettersi più volte alla guida senza patente, e quando dei 15enni passano le notti in strada a devastare, come se fosse un videogioco, significa che l’autorità dei genitori va ristabilita».
Che cosa accadrà adesso? «Spero che una nuova scintilla non faccia ripartire la sommossa. La situazione è ancora molto grave a Marsiglia, a Lione e in altre città più piccole. Eppure, e tocco ferro, il peggio potrebbe passare presto. L’agente è stato arrestato e incriminato, la marcia di solidarietà per Nahel si è svolta, i funerali di quel povero ragazzo sono stati celebrati, la giustizia sta lavorando, questa fase potrebbe chiudersi. Poi bisognerà pensare a rompere una volta per tutte questi ghetti e cambiare le politiche di popolamento e di immigrazione. Ma ci vorranno dieci anni».
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