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Quello che alcuni media vorrebbero nascondere
Analisi di Michelle Mazel
(traduzione di Yehudit Weisz)
“Morte sospetta di un attivista in Cisgiordania”: uno di quei titoli ingannevoli di cui un grande quotidiano francese custodisce il segreto. Occorre scavare nel testo per capire che il suddetto attivista, un palestinese residente nei territori sotto il controllo dell'Autorità Palestinese, è stato arrestato dalle forze di sicurezza di questa Autorità; picchiato violentemente durante questo arresto, è morto poco dopo, per le torture subite, dicono i suoi parenti. Questo “incidente” getta una luce livida sui metodi di un regime corrotto guidato da un Presidente, il cui mandato è scaduto da tempo. Imbarazzante per chi sogna una Palestina indipendente guidata da quel buon padre di famiglia che è Mahmoud Abbas.
Nizar Banat Come ha commentato amaramente Human Rights Watch, “I governi che volessero sostenere lo sviluppo dello stato di diritto in Palestina, dovrebbero tagliare i loro legami con le forze di sicurezza perché queste, di fatto, lo indeboliscono.” Questo naturalmente non accadrà. I media hanno scelto da che parte stare. Inoltre, essi non hanno ritenuto opportuno menzionare un altro “incidente” avvenuto in Galilea, ovvero in territorio israeliano. Un attentato che ha provocato tre morti e una donna ferita. Perché questo silenzio? Perché se le vittime, ancora una volta, fossero state degli arabi israeliani, i colpevoli non sarebbero stati “coloni ebrei” ma altri arabi israeliani. Un banale fatto di cronaca? Un regolamento di conti tra bande rivali, di gangster uccisi da altri gangster? Fenomeno purtroppo troppo comune in una certa frangia della società araba ma che si verifica anche in Occidente? No, non proprio. Era una famiglia apparentemente serena, che stava viaggiando in auto tranquillamente su un'autostrada. Padre, madre, una sedicenne e una bimba di nove anni. Un'auto in corsa velocità elevata ha letteralmente crivellato di proiettili il loro veicolo prima di fuggire. Solo la più piccola è sopravvissuta. Sebbene ferita, la sua vita non è in pericolo.
Orfana a nove anni, traumatizzata a vita dalla tragedia, si trova in ospedale. Se gli assassini sono ancora in fuga, la polizia non ha avuto problemi a decifrare l'accaduto. Il crimine è apparentemente solo un nuovo episodio di una vendetta tra due clan. Una vendetta la cui origine si perde nella notte dei tempi ma che le generazioni successive perpetuano. Una questione d'onore, vi direbbero. Lavare via un affronto o vendicare la morte di un famigliare. Eppure si cercherebbe invano cosa potrebbe esserci di onorevole nell'assassinio a sangue freddo di civili innocenti - comprese donne e bambini - e indifesi? per il semplice motivo che fanno parte del clan nemico. Un assassinio che sfortunatamente ne richiamerà altri per rappresaglia e così via. Nel ventunesimo secolo, la società araba non è ancora in grado di sradicare queste usanze mortali. Avremmo voluto sentire i rappresentanti di questa società nella Knesset condannarli con forza e invitare genitori, insegnanti e figure religiose a combattere contro questo flagello. Non è successo. Per i leader della Lista Araba Comune, che ha sei deputati alla Knesset, il colpevole è molto diverso: è il governo israeliano e solo lui, la cui polizia si dimostra incapace di arginare la criminalità.
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