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Antonio Donno
Israele/USA
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Gli iraniani scendono in strada, ma non contro Trump 29/06/2018

Gli iraniani scendono in strada, ma non contro Trump
Analisi di Antonio Donno

Demonstrators filled the streets of Tehran on Monday to protest economic downtown in Iran.
Teheran, manifestazione contro il governo

La sentenza della Corte Suprema americana a favore delle misure di Trump sull’ingresso di persone provenienti da paesi giudicati inaffidabili dal punto di vista del pericolo terroristico è un successo di grande importanza per il presidente americano. Si inserisce in un quadro di sicurezza nazionale indispensabile per riposizionare gli Stati Uniti al centro della lotta internazionale al terrorismo e una lezione per quei paesi europei che indugiano ancora sulle misure da prendere sul problema. 
Nello stesso tempo, come tutti i giornali hanno messo in rilievo, la popolazione iraniana è in uno stato ribellistico nei confronti di un regime che sperpera denaro per imprese imperialistiche nel Medio Oriente e fa sprofondare il paese nella miseria.
Le restrizioni di Trump verso l’Iran stanno dando i loro frutti e il popolo iraniano non va in piazza per condannare Trump, ma il proprio stesso regime affamatore. 

Questo dato è di estrema importanza nella storia delle relazioni tra i paesi islamici del Medio Oriente e gli Stati Uniti. La storia del secondo dopoguerra ci insegna una versione diversa da quella attuale, una versione incentrata su un diffuso, spesso radicale anti-americanismo come espressione massima di un generale anti-occidentalismo arabo.
Il ruolo dell’Unione Sovietica fu, ovviamente, cruciale. Ma oggi non c’è più l’Unione Sovietica e la Russia di Putin persegue una politica diversa nella regione. 
Ma non è questo il punto. L’Iran dello Shah era alleato degli Stati Uniti, ma, dopo il crollo del regime, Khomeyni e i suoi eredi hanno esportato nella regione e in tutto il mondo un terrorismo mai sperimentato in precedenza.
Il popolo iraniano ha sostenuto il regime, entusiasta del ruolo di opposizione agli Stati Uniti da parte dei propri nuovi governanti. Era l’espressione del consueto anti-americanismo islamico che conquistò buona parte della piazza araba dal 1979 in poi. 
Dieci anni dopo, il crollo dell’Unione Sovietica non alterò il quadro generale dell’anti-americanismo islamico, perché l’Iran era assurto al ruolo di massima espressione dell’odio anti-occidentale e anti-americano.

Benché le masse sunnite fossero nemiche storiche di quelle sciite, progressivamente le due facce dell’Islam si trovarono a condividere lo stesso odio verso gli Stati Uniti, nonostante che alcuni regimi arabi (Giordania e Arabia Saudita) continuassero ad avere convenienti relazioni con Washington.
Questa situazione incoraggiò le ambizioni iraniane sulla regione, ma alla lunga il passo si rivelò più lungo della gamba. 
Così, l’ambizione degli ayatollah di esportare il potere iraniano nel Medio Oriente portò, alla lunga, a un esito opposto rispetto a quello vagheggiato inizialmente. L’imperialismo americano fu sostituito da quello iraniano, ma l’Iran non poteva competere con gli Stati Uniti in fatto di capacità economica di sostenere un peso finanziario così imponente.

L’impegno di finanziare gli hezbollah e gli altri gruppi terroristici filo-iraniani e le proprie milizie nell’avventura siriana e in altre parti del Medio Oriente ha rapidamente eroso l’economia del paese. Le attuali manifestazioni di piazza, prima dei più poveri delle regioni periferiche, poi della stessa classe media in Teheran, sono il segnale di un profondo malcontento rispetto alla gestione dell’economia dell’attuale gruppo dirigente. 
A questo si devono aggiungere le sanzioni americane. Trump ha capito che la crisi economica iraniana doveva essere opportunamente acuita dalle misure economiche restrittive degli Stati Uniti. 
Il risultato congiunto dei due fattori – la pessima gestione economica legata alle ambizioni imperialistiche del governo iraniano e le sanzioni americane – stanno producendo un malcontento sempre più acuto che minaccia di esplodere in una rivolta generalizzata anti-sistema. 

Come detto all’inizio, l’esito di tutto questo rappresenta una novità nel tradizionale atteggiamento del popolo iraniano verso gli Stati Uniti. Nelle manifestazioni nelle strade delle città iraniane (e oggi nella stessa Teheran) non sono gli Stati Uniti l’obiettivo della contestazione, non si condannano apertamente le sanzioni americane, ma la protesta è contro la classe dirigente iraniana che ha portato il popolo a subire una crisi economica devastante.
“Morte alla Palestina”, si legge in alcuni cartelli della protesta, “Via dalla Siria” si legge in altri. Nulla contro la politica delle sanzioni messa in atto da Trump. Il presidente americano ha scelto il momento giusto per colpire un regime già in crisi per i propri errori.


Antonio Donno


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